Il debito delle aziende italiane piace agli investitori

Alla ricerca del rendimento

Nota positiva per quanto i mercati ad agosto siano poco indicativi come il calcio d’estate: ieri il covered bond a sette anni lanciato da Unicredit ha registrato ordini per 1,4 miliardi, più che raddoppiando l’obiettivo di raccolta, fissato in almeno 500 milioni di euro e una cedola pari al 2,62 per cento. In un clima d’incertezza dopo la decisione della Fed di aspettare ancora a decidere la chiusura dei rubinetti, riducendo la portata della terza fase di quantitative easing, la droga monetaria da 85 miliardi di dollari al mese che finiscono sul mercato in seguito all’acquisto dei titoli di Stato Usa da parte della banca centrale statunitense, gli investitori stanno comprando debito corporate made in Italy. Considerato un porto sicuro al di là del rating degli emittenti, comunque grandi imprese e blue chip di Piazza Affari, sulla scia della fiducia in un timido miglioramento dei fondamentali economici del Paese e di un rendimento reale interessante a parità di scadenza rispetto ai titoli di Stato. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) prevede una contrazione del Pil dell’1,8%, +0,6 per cento per l’Europa. Dunque una lenta ma effettiva prima uscita dalla recessione. In fondo si tratta della prima estate relativamente “tranquilla” sui mercati dal lontano 2007.

Renato Panichi, Director Corporate Ratings di Standard and Poor’s, ha detto a Radiocor di aspettarsi, in un contesto di ripresa dell’Italia da qui al 2017 nell’ordine dell’1-3%, un aumento del peso dei bond sul totale del funding corporate dall’attuale 8% al 14-17 per cento. Piccoli passi verso l’auspicata disintermediazione bancaria, vale a dire la riduzione della dipendenza delle aziende dagli istituti di credito per reperire risorse fresche. Escludendo le banche, in Europa il totale delle emissioni, secondo i calcoli di Société Générale, hanno raggiunto i 21,5 miliardi di euro, mentre per quanto riguarda il debito subordinato degli istituti di credito la cifra ha raggiunto i 70 miliardi a fronte di rimborsi per 220 miliardi entro la fine dell’anno. Un mismatch che crea spazi di manovra per gli acquisti.

Eni, A2a, Amplifon, Indesit, Telecom Italia e Fiat Finance: sono questi i nomi dei principali emittenti italiani nel 2013. L’anno scorso corporate italia si è finanziata con questo tipo di strumenti per complessivi 25 miliardi di euro, a fronte di 6 miliardi rimborsati agli investitori a scadenza. Poche settimane fa il Lingotto ha visto il successo del bond a 6 anni da 850 milioni di euro e rendimento del 6,75% con richieste per 3 miliardi, con il 60% delle richieste provenienti da Inghilterra, Germania e Svizzera. Più complicata la situazione di Telecom Italia, che dopo il declassamento da parte di Fitch del rating a BBB-, un gradino sopra il livello “junk” (spazzatura). Il quale ha trasformato di fatto Telecom in un “high yield” ovvero un titolo ad alto rendimento e rischio elevato. Nel primo trimestre dell’anno, secondo i dati dell’Afme, la lobby bancaria europea, i bond corporate ad alto rendimento hanno raggiunto i 32,9 miliardi, +75,9% rispetto al primo trimestre del 2012.

Il bond Telecom con scadenza al 2033 e cedola al 7,75% – dopo un’impennata del rendimento a 7,5% in seguito ai disinvestimenti di inizio agosto – attualmente è sceso al 7,35% e viene scambiato a 103 (da 120) ma potrebbe ritornare a crescere in seguito allo scioglimento del patto di sindacato che lega i soci di Telco (Telefonica, Intesa, Mediobanca, Generali), la holding che detiene il 22,5% dell’ex monopolista. Il declassamento del rating di Italcementi a Ba3 con prospettive stabili in seguito al peggioramento della situazione egiziana – dove la società realizza il 20% dei margini – è costato invece la discesa da 105 a 102 del bond emesso lo scorso febbraio con scadenza al 2018, che rende il 6,125 per cento. 

Sul fronte dei Cds, derivati che fungono da assicurazione contro il rischio di insolvenza di un’emittente, l’indice iTraxx di Markit, che monitora i Cds di 125 corporate bond europei con rating investment grade, è sceso a 104,6 punti base, rispetto alla salita di 7,3 punti base registrata nel corso di questa settimana, mentre l’indice iTraxx Crossover, che invece misura i Cds dei 50 emittenti più rischiosi, è sceso di 3,8 punti base a quota 430. Merito dei numeri dell’indice Pmi composito dell’Eurozona, che ad agosto è salito a 51,7 punti, sopra il consensus degli analisti, fermo a 50,9 punti, segnando i massimi da giugno 2011. Convenzionalmente se l’indice supera i 50 punti significa che l’economia è in fase di espansione. E dunque il debito delle blue chip è più sicuro. 

Attenzione però, il clima potrebbe però cambiare dopo la fatidica data del 22 settembre. Quando cioè Angela Merkel, probabilmente rieletta, dovrà affrontare molte delle questioni comunitarie che sono rimaste in congelatore nel periodo estivo/elettorale. Con i chiari di luna del governo di larghe intese e la minaccia di un ritorno alle urne, corporate italia rimarrà interessante?

Twitter: @antoniovanuzzo

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