L’ipotesi di un conflitto siriano sta spingendo il petrolio verso l’alto? Il brent, negoziato prevalentemente tra il Medio Oriente e l’Europa, ha toccato il suo massimo da sei mesi, a oltre 115 dollari al barile. Anche negli Stati Uniti le quotazioni del Wti hanno superato i 110 dollari. Si teme che un intervento militare in Siria potrebbe far scattare una risposta iraniana, con il tanto paventato blocco dello “Stretto di Hormuz”, che collega il Golfo Persico con l’Oceano Indiano. Circa un terzo del traffico mondiale di petroliere passa per Hormuz.
L’idea di Teheran di bloccare lo stretto non è niente di nuovo: già nel 2012 i militari iraniani avevano fatto presente di “aver predisposto un piano” in merito. Non ci sono altri rischi particolari nel mercato del petrolio: la Siria non è un produttore significativo, ed è da escludere che l’Opec attui una politica di taglio per vendetta contro un intervento occidentale – non siamo più nel 1973, e un’azione americana sarebbe diversa rispetto al sostegno che Richard Nixon diede allora a Golda Meir in Israele. L’Iran stesso difficilmente potrebbe decidere di attuare la strategia sansonica di blocco delle esportazioni.
Ci sono due dati che lasciano pensare a cause “non militari” per l’aumento del prezzo del petrolio. La prima è che il petrolio era in crescita da mesi. In aprile le quotazioni del blend “americano” Wti erano ancora sotto i 90 dollari al barile. Al momento del colpo di stato in Egitto, il 3 luglio, il petrolio era già in piena salita. L’accento dell’ultima settimana da 105 a 109 dollari è solo l’ultimo guizzo di una rincorsa iniziata da lontano.
Il secondo elemento è dato dalla differenza tra quotazioni del WTI e del Brent. Ancora a metà febbraio era di 23 dollari. Il blend più caro era l’”europeo” Brent, mentre il WTI era ancora spinto al ribasso dall’orgia di shale in America del Nord. Adesso la differenza si è abbassata ad appena 5 dollari. Il gap si sta chiudendo in particolare per un aumento dell’americano Wti: da maggio è passato da 92 a 109 dollari, mentre il Brent è aumentato da 102 a 115. Quest’ultima informazione lascia intendere che gran parte della rincorsa sia dovuta alla ripresa dell’economia americana – tanto che il capo della Fed, Ben Bernanke, sta progettando d’interrompere i piani di “quantitative easing” in Usa, per evitare problemi d’inflazione.
Dal punto di vista strettamente petrolifero, il mercato ha assorbito con flessibilità l’impatto del conflitto in Libia e le tensioni di lungo periodo con l’Iran. L’aumento attuale delle quotazioni può essere stato certamente influenzato dalla situazione siriana, ma è da escludere che tutto il problema sia dovuto a Damasco. Le minacce americane di questi giorni servono anche per testare la tenuta del mercato all’eventualità di un intervento armato. Da questo punto di vista, il petrolio è aumentato “poco”. In termini relativi, un aumento del 5-6% su un prezzo base di oltre 100 dollari è irrisorio. In altre parole, il mercato del petrolio sta dando via libera ai bombardamenti.