La condanna di Berlusconi condannerà anche il Pd?

La reazione del Pd e gli scenari

Quando sta per finire la più lunga giornata della legislatura in corso una come la renziana Simona Bonafè ai microfoni di La7 sintetizza il clima in casa Pd: «Se ci sarà da votare la decadenza di Silvio Berlusconi il Pd sarà compatto». Chiaro. Ma – aggiunge – «molto dipenderà dalla reazione del Pdl». Ecco la linea Epifani, unico fra i super big di Largo del Nazareno, sede del Pd, a prendere la parola dopo la sentenza della Suprema Corte. «Una linea» che viene condivisa persino dalle truppe del primo cittadino di Firenze. Afferma il segretario: «Per quanto riguarda il Pd questa condanna va non solo, come è naturale, rispettata ma va anche applicata e resa applicabile e a questo spirito si uniformerà il comportamento del Gruppo parlamentare».

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Il gruppo parlamentare del Pd lascia trapelare che apparentemente rimarrà compatto. Non mostra crepe, nessuna defezione che può segnare la fine del governo. Niente di tutto questo. Anzi. L’ordine di scuderia dell’attuale segretario, il “traghettatore Epifani”, viene eseguito alla lettera. «Guai ad incartarsi in dichiarazioni che possono danneggiare il nostro gruppo», è il diktat che filtra in Transatlantico e giunge alle orecchie di tutti i democrat. Del resto anche il giovane turco Matteo Orfini dice a Linkiesta: «Vale quello che ha detto Epifani. Siamo tutti in attesa delle reazione del Pdl. Di certo se reagiranno in modo offensivo nei confronti della magistratura è chiaro che finisce tutto». Punto. 

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Perché i democrat vogliono capire cosa succederà oggi in Aula, quando si voterà il ddl costituzionale sul comitato parlamentare per le riforme, e si verificherà che ne sarà delle larghe intese e del «governo di servizio». Infatti, mormorano a taccuini chiusi esponente di diverse aree, «sarà lì che comprenderemo l’atteggiamento del gruppo del Pdl». E «sarà lì che il Pdl deve dimostrare se è un partito o un’azienda». Già, il partito azienda, quello che ha accompagnato per tutta la seconda Repubblica le case degli italiani, con slogan, invettive contro la magistratura, e contro «i comunisti».

Di certo il videomessaggio di Berlusconi e la posizione del siciliano Gianfranco Micciché, che ha rimesso «il mandato nelle mani di Berlusconi», non aiutano e non lasciano ben sperare sulle sorti della legislatura. Ma sono segnali che ributtano la palla nella zona del campo dell’avversario, oggi alleato: il Pd. Perché i democratici sono chiusi in una morsa: da un lato devono sostenere “senza se e senza ma” il governo presieduto dall’ex vicesegretario del Pd; dall’altro la «base» ribolle, e si domanda come «può il Pd governare insieme a un condannato di nome Silvio Berlusconi». Oltretutto, come dice un parlamentare vicino al primo cittadino di Firenze, «non siamo noi renziani a essere in difficoltà: noi abbiamo sempre detto che Berlusconi andava sconfitto sul campo. Sono Bersani, Franceschini e Bindi, coloro che hanno costruito la carriera sull’antiberlusconismo, a essere in grande difficoltà.».

A ciò si aggiunge il silenzio assordante dei big del cosiddetto “patto di sindacato” interno al Pd. Ieri l’ex segretario Pier Luigi Bersani è stato tutto il giorno a Montecitorio. Ha partecipato ai lavori d’Aula, ma poi si è rifugiato con i suoi, Nico Stumpo e Davide Zoggia, in una stanza di Largo del Nazareno a seguire il verdetto della sentenza ai danni di Silvio Berlusconi. E, ovviamente, è rimasto in silenzio, evitando i cronisti che lo osservavano da lontano. Soltanto stamane, intervendo ad un convegno a Milano, si è lasciato scappare: «Il Pd parli con una sola voce. Anche all’interno del nostro partito c’è da fare una riflessione». Dario Franceschini, ministro per i Rapporti con il Parlamento, «il numero due» del governo Letta, non ha proferito parola. Stesso discorso vale per altri super big del Nazareno come Walter Veltroni e Massimo D’Alema. Il Presidente della Fondazioni italiani europei è in silenzio da settimane. Parlerà? «Probabilmente fra qualche giorno dirà qualcosa, prima preferisce che si stemperi il clima», dicono quelli più vicini al lìder maximo.

Tuttavia lo scenario resta fluido, e difficile da decrittare. E c’è chi, come il popolare Beppe Fioroni, evoca lo spettro dello scissione: «Questo può diventare il BigBang per il paese e per il sistema politico, e il Pd se si alimentala faida tra Letta e Renzi può spezzarsi in tre tronconi con una forza centrista che si organizza». Del resto in casa Pd il post sentenza si intreccia anche con il congresso che dovrebbe tenersi «entro l’anno». E per la prossima settimana sarebbe stata convocato l’ennesima direzione nazionale, incentrata sulla defizione delle regole congressuali, ma nella quale (forse) si discuterà anche dell’alleanza con il Pdl. Una direzione che potrebbe essere un boomerang per i democratici: per dividersi ulteriormente, e per destabilizzare il governo «scricchiolante» di Enrico Letta.

Twitter: @GiuseppeFalci 

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