La Ue lancia l’Erasmus per chi cerca lavoro all’estero

La Ue lancia l’Erasmus per chi cerca lavoro all’estero

Creato nel 1993, Eures è un network che, attraverso il suo portale, mette a disposizione una serie di servizi volti a garantire la possibilità ai giovani europei in cerca di lavoro di visionare offerte aggiornate in tempo reale in 32 paesi europei.

Attraverso “My Eures” è possibile caricare il proprio CV-online che può essere visionato dalle aziende di tutta Europa. Nello stesso sito, è presente anche un servizio di consulenza, garantito da oltre 850 consiglieri “accreditati” alla rete Eures, per questioni pratiche, giuridiche e amministrative legate alla mobilità a livello nazionale e transfrontaliero.

Inoltre, è disponibile una particolare sezione dedicata alle “Condizioni di vita e di lavoro” che contiene informazioni su una serie di questioni importanti come: la ricerca di un alloggio o di una scuola, le imposte, il costo della vita, la sanità, la legislazione sociale, la comparabilità delle qualifiche, ecc. La banca dati è accompagnata dalla sezione “Informazioni sul mercato del lavoro” che, invece, si concentra sull’andamento del mercato del lavoro europeo (Riquadro 1 – Distribuzioni opportunità di lavoro in Europa).

All’interno del programma a supporto della mobilità professionale perseguito dall’Unione Europea, Eures ha lanciato una nuova iniziativa, nota come Your first Eures Job, e indirizzata alle giovani generazioni alle prese con la ricerca del loro primo impiego.

Nel concreto, l’iniziativa fornisce, ai giovani residenti negli stati membri dell’Unione con un età compresa tra i 18 e 30 anni, informazioni e soprattutto “aiuti finanziari” e supporto logistico nel caso questi vogliano trovare un lavoro in un altro paese dell’UE. Infatti, una volta caricato il proprio curriculum in inglese, è possibile candidarsi a diverse offerte oppure indicare i profili professionali per il quale si sta cercando lavoro. Se selezionato, il candidato verrà contattato da un “servizio specializzato” per la verifica dei dati e della disponibilità al fine di realizzare il colloquio di lavoro con l’impresa (è previsto un contributo finanziario per le spese di viaggio). Inoltre, nel caso di buon esito del colloquio, una volta firmato il contratto di lavoro, il giovane potrà anche usufruire di un contributo per le prime spese di trasferimento nel paese nel quale andrà a lavorare.

Questo percorso “ideal-tipico” è teso ad affrontare una serie di problemi del mercato lavoro comunitario che vanno dalla riduzione della disoccupazione giovanile, al mismatch tra domanda e offerta di lavoro e infine ad agevolare la transizione scuola-lavoro.

L’iniziativa Your first Eures Job rischia tuttavia di non raggiungere gli obiettivi prefissati per una serie di fattori, tra i più rilevanti, vi sono: 
1. una bassa padronanza della lingua straniera da parte delle giovani generazioni;
2. l’assenza di un network europeo dei servizi pubblici per l’impiego. 

Il problema della scarsa conoscenza dell’inglese è un fattore “cronico” nella forza lavoro italiana. Infatti, dall’analisi dei dati Isfol Plus 2010, sia nel settore pubblico che privato, i lavoratori che dichiarano di conoscere la lingua inglese è meno del 30% , una quota quasi raddoppiata se prendiamo in considerazione solo gli under 30 (Tabella 1). 

Tuttavia, il 46% dei giovani italiani non parla inglese e va tenuto conto che le risposte sono basate sull’autodichiarazione delle proprie capacità e, quindi, suscettibili a distorsioni. In altri termini la conoscenza dell’inglese potrebbe riguardare una popolazione molto più ridotta.

A ciò si aggiunge che, analizzando gli effetti marginali di un modello che prende in considerazione una serie di variabili, emerge come la probabilità di conoscere l’inglese aumenti al crescere del livello di istruzione e/o passando dai residenti del sud a quelli del nord d’Italia, mentre non emergono differenze significative in termini di genere. Inoltre, coloro che sono ancora studenti fanno registrare una probabilità di conoscere la lingua di 22 punti superiore a chi già inserito nella forza lavoro (Tabella 2). 

Infine, coloro hanno frequentato un corso di formazione professionale hanno una maggiore padronanza nella lingua inglese, ma in questo caso è più utile conoscere la capacità dello strumento formativo nel collocare i giovani.

In particolare, l’indagine IZA sull’efficacia delle politiche attive del lavoro nei confronti dei giovani tedeschi disoccupati, mostra come i corsi di breve periodo (come ad esempio quelli dedicati all’inglese o all’informatica) non ottengano quasi mai i risultati sperati in termini di maggiori competenze spendibili con successo nel mercato del lavoro.

Alla luce di queste considerazioni, la possibile soluzione è suggerita dalla stessa indagine IZA. Infatti, sembra che verso i giovani meno istruiti i percorsi formativi di almeno 12 mesi ottengano risultati nettamente migliori (1) . D’altronde, in una società globalizzata e in un mercato del lavoro sempre più internazionale, l’inglese non è più una risorsa aggiuntiva, è una necessità. Altrimenti, possibilità come Eures, si perdono semplicemente perché non in grado di saperle sfruttare.

Per quanto riguarda la soluzione al secondo problema, che potrebbe ostacolare l’iniziativa promossa dalla Commissione Europea, è necessario sostenere l’operato dei consulenti Eures affiancandoli ad una “efficace” rete di servizi per l’impiego, delegati tramite un modello blackbox (basato sul principio no-cure-no-pay), in modo da migliorare la mediazione dei giovani più “svantaggiati”.

In questo momento, tale compito non può essere svolto dai “nostrani” Centri per l’impiego (2) , ma solo da alcuni attori in grado da subito di fornire una capillare presenza nelle principali città europee, con personale locale che abbia piena padronanza del contesto territoriale e dei problemi dal punto di vista logistico/amministrativo. In altre parole, suggeriamo di sfruttare il network oggi in possesso di alcune tra le più note agenzie di somministrazione appartenenti alla rete Eurociett per migliorare il collocamento su scala europea.

Twitter: @F_Giubileo @AndreaParma82

Note
(1) In questo caso, le principali difficoltà consistono nel garantire da parte dei giovani la frequenza e l’impegno richiesto piuttosto che le risorse necessarie per finanziare il programma di politica attiva al lavoro. Infatti, la formazione di lunga durata può essere facilmente finanziabili con Fondi bilaterali o direttamente da Fondo sociale europeo (FSE) visto che l’obiettivo è chiaramente quello di promuovere la coesione tra i diversi stati membri.
(2) Le difficoltà dei Cpi sono ormai note e certamente questo non rappresenta una “priorità” rispetto ad altre urgenti questioni. Per approfondimenti, si veda: Olivieri L., Lavoro giovanile, una corsa a ostacoli, LaVoce.info; Giubileo F., Sfruttiamo l’Europa: strumenti per contrastare il fenomeno NEET, mag.workcoffee.it.

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