L’abisso dei derivati vale nove volte il Pil mondiale

La finanza cambia strumenti

Seicentotrentaduemila miliardi di dollari. Per la precisione 632.579 miliardi di dollari. È questo l’ammontare complessivo dei derivati over-the-counter (otc), ovvero quelli negoziati sui mercati non regolamentati. Numeri che fanno tremare le gambe, specie in rapporto al Pil mondiale, che secondo i dati del CIA World Factbook valeva 71.830 miliardi di dollari a fine 2012. Ma le cifre dei derivati presenti sui mercati otc sono anche la testimonianza di un sistema che garantisce liquidità in modo costante alle istituzioni finanziarie. Un settore tanto opaco quanto importante che è in costante evoluzione dopo la crisi subprime.

Nell’agosto 2007 il mondo prese coscienza che ci sono strumenti finanziari tanto complessi da far paura. Tutto iniziò con il congelamento di tre fondi da parte di BNP Paribas. Per la banca transalpina era impossibile calcolare il valore di Parvest Dynamic Abs, BNP Paribas Euribor e BNP Paribas Abs Eonia, tre prodotti che avevano investito sul mercato immobiliare statunitense. Il crollo di quest’ultimo ha scosso l’intero universo della finanza, cambiandone gli schemi, mutando paradigmi che sembravano dogmi e modificandone le regole. Il risultato è che anche il mercato dei derivati è stato sottoposto a un ridimensionamento così intenso che è ancora in corso.

I dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bank for international settlements, o Bis) possono dire molto più di quanto si possa immaginare. Nel giugno 2006 a livello globale erano presenti contratti di derivati sui mercati otc per 370.178 miliardi di dollari, compresi i Credit default swap (Cds), gli strumenti finanziari che fungono da assicurazione contro il rischio d’insolvenza. I 370mila miliardi di dollari fanno riferimento al valore nozionale lordo, cioè la somma delle controparti, seller e buyer. Nell’arco di un anno e mezzo, si è arrivati a quasi 600mila miliardi di dollari. A dicembre 2007 infatti il valore nozionale lordo era schizzato a 596.004 miliardi di dollari. Non è mutato molto il valore netto, passato da 9.949 miliardi di dollari a 14.522 miliardi. In questo lasso di tempo è interessante osservare quali sono stati i derivati più in voga. La Bis prende in esame cinque categorie di strumenti: foreign exchange contract, interest rate contract, equity-linked contract, commodity contract, Cds. Fra 2006 e 2007 hanno registrato un’impennata i derivati sui tassi d’interesse, passati da 262.526 miliardi di dollari a 393.138 miliardi. Ma anche i Cds sono entrati nel cuore degli investitori, passando da 20.352 miliardi di dollari a 57.894 miliardi. Il desiderio di protezione è andato via via aumentando. Secondo la Bis deriva tutto dal fatto che fra 2006 e 2007 sempre più investitori avevano paura che qualcosa potesse accadere. Avevano ragione.

È nel 2008 che succedono le cose più imprevedibili. Dai continui bailout delle banche americane alla fusione delle stesse, passando per il collasso di Lehman Brothers e il congelamento dei mercati interbancari, niente è stato immune alla fase peggiore della crisi subprime. Nel giugno 2008 il valore nozionale lordo dei derivati otc ha raggiunto e superato quota 600.000 miliardi di dollari, attestandosi a 683.726 miliardi. Nell’arco dei sei mesi successivi, il crollo derivante da Lehman Brothers. A dicembre 2008 i derivati in circolo valevano 547.983 miliardi di dollari.

Fra 2009 e 2011 poi si ricomincia a ballare. Dopo lo shock iniziale, negli investitori torna la voglia di rifarsi dalle perdite patite e il numero dei derivati in circolo aumentano sempre più. Se è vero che nei due anni successivi al disastro di Lehman Brothers il valore nozionale lordo resta stabile fra i 580.000 miliardi di dollari e i 603.000 miliardi, è altrettanto vero che nel 2001 succede qualcosa di molto particolare. Nel maggio di quell’anno si è raggiunto il massimo storico a quota 706.884 miliardi di dollari. Poi, lentamente si è calati fino al valore odierno. E non è chiaro quale sarà l’evoluzione nei prossimi mesi. Complice una regolamentazione post-Lehman che ha puntato forse troppo sulla ricerca di un capro espiatorio sull’onda delle risposte che la politica, specie quella statunitense, doveva dare ai contribuenti per via dei salvataggi bancari, la finanza mondiale è stata oggetto di una chiusura che ha spostato i rischi, non li ha ridotti.

Quello che oggi è il mercato dei derivati è difficile da comprendere. Non è un caso che gli operatori stia migrando sempre più sui mercati over-the-counter. Sono più flessibili, spesso permettono una formazione del prezzo migliore che quelli tradizionali, garantiscono una liquidità che difficilmente ha eguali. Il tentativo di una loro regolazione per motivi politici, come è stato finora, ha prodotto più danni che benefici. Ma era la via più semplice e immediata per dare risposte ai cittadini. A discapito dei rischi. Come disse una volta Stanley Fischer, ex governatore della Bank of Israel e considerato uno dei più abili banchieri centrali di sempre, «i derivati non sono il male, sono gli uomini che li usano il problema».  

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