Lo scopo che mi prefiggo qui è di chiarire alcune questioni sull’attività imprenditoriale di Silvio Berlusconi, ma – poiché sul tema gli aspetti politici e imprenditoriali sono ormai diventati una coppia di gemelli siamesi – non posso che partire da un premessa di carattere politico: ero e resto abbastanza orgoglioso del fatto di non avere mai votato per Forza Italia o per il PdL, sia a livello locale che a livello nazionale. Sono dunque ben lungi dall’affrontare il tema di Berlusconi imprenditore sulla base di un giudizio politico a lui favorevole. E tuttavia, non riesco a capacitarmi del fatto che molti cittadini italiani riescano a passare sotto silenzio – se non a disprezzare apertamente – il modo in cui le televisioni di Berlusconi, a partire da Canale 5, abbiano spezzato il monopolio inefficiente della RAI sul mercato nazionale.
Non è necessario essere in collegamento spiritico con Adam Smith per capire che un monopolio tipicamente porta a prezzi eccessivamente alti per i consumatori e a un insufficiente ventaglio di scelte. Come si applica questo schema al caso delle televisioni, e in particolare di quelle italiane? I mass media sono il tipico caso di un “mercato a due lati” (two–sided market), in cui i clienti sono da un lato i lettori e gli ascoltatori, e dall’altro lato gli inserzionisti pubblicitari, i quali pagano per l’attenzione dei primi.
Ebbene, l’entrata aggressiva dei canali di Berlusconi nella situazione iniziale monopolizzata dalla RAI è stata una manna per gli inserzionisti pubblicitari, che hanno visto scendere i prezzi medi praticati e hanno potuto beneficiare di una più precisa definizione dei gruppi di potenziali acquirenti per i loro prodotti. Detto in termini banali ma – spero – chiari: se vendo articoli sportivi, pur apprezzando la accresciuta baldanza fisica dei cittadini anziani, preferisco che i miei spot siano principalmente visti da telespettatori giovani o di mezza età, con il fine banale di massimizzare le vendite per ogni euro (o lira) di pubblicità acquistata.
Che dire delle possibilità di scelta per i consumatori? Mi si consenta una deriva autobiografica: ben mi ricordo la mia felicità quando ero alle elementari di poter vedere programmi nuovi e meno barbosi come Dallas e Drive In, trasmessi su Canale 5 e Italia Uno. I paternalisti e i radical chic che vorrebbero imporre i loro gusti radiotelevisivi sulla popolazione dovrebbero riflettere su quanto piacere ricaverebbero dall’essere costretti – in una rivisitazione trash di Arancia Meccanica – a guardare a getto continuo Dallas, Drive In, il Pranzo è Servito e il Gioco delle Coppie senza possibilità di scelte diverse.
L’economista che è in me sostiene dunque con forza che un duopolio fatto di imprese che competono tra loro in maniera effettiva è largamente meglio di un monopolio deciso per legge. I problemi nascono – o per meglio dire risorgono – quando il duopolio passa dalla competizione alla collusione, cioè i due gruppi televisivi smettono di farsi la guerra e preferiscono la piacevolezza di accordi più o meno impliciti.
Un’ipotesi facile da formulare – ma non così semplice da testare – è che questo passaggio da un duopolio competitivo a un duopolio collusivo coincida con la “discesa in campo” di Berlusconi nel 1994. Ma questa è un’altra storia, che vediamo in replay da quasi 20 anni.
Twitter: @ricpuglisi