Quando si parla di soluzioni tedesche per i paesi europei in crisi, la memoria torna verso un leggendario sketch di John Cleese in una puntata del Monty Python Flying Circus. All’inizio dell’episodio, Cleese dichiara che insegnerà agli spettatori a suonare il flauto. Alla fine prende un flauto e dice: «basta soffiare qui e muovere le dita su e giù qui». Nella versione europea, al posto di buchi e pertugi in cui soffiare c’è il mantra delle «buone politiche fiscali e dell’ambiente economico favorevole», che salveranno l’Europa e la spingeranno fuori dalla crisi. Su quali siano tali politiche fiscali e su come si creino ambienti favorevoli alla crescita, poco è dato sapere.
Si guardi il dibattito in Germania. Il ministro delle Finanze tedesco Woflgang Schäuble in un articolo pubblicato in tutto il continente (“Noi tedeschi non vogliamo un’Europa tedesca”) ha attirato le ire di Jürgen Habermas, filosofo tedesco anti-austerity che gli italiani (così come spagnoli, greci, portoghesi) si illudono sia ascoltato. Habermas ha scritto che «la Germania nega di avere responsabilità per gli effetti europei della sua politica di crisi – una responsabilità che assume tacitamente prendendo il ruolo di potenza leader».
Ma, per l’appunto, Habermas non se lo fila nessuno in Germania – e se qualcuno se lo fila, si tratta di gente che a sua volta non viene filata da nessuno. Altri sono gli “intellettuali” davvero in grado di stimolare il dibattito pubblico. Si favoriscono le posizioni più oltranziste dell’indipendenza nazionale. Si sostiene che il male economico è frutto dei peccati contabili, e che la pietà economica non è un diritto. La Germania vuole perseguire un modello “autonomista” che deriva dalla sua storia: mettere il naso fuori dai confini è attività da evitare fin dal 1945; e, se lo si fa, la Germania deve mantenere un profilo molto basso. C’è poi l’esempio dell’eccezionalismo cinese: come Pechino, anche Berlino persegue un’agenda estera basata sull’interesse commerciale, senza mai scoprirsi in questioni idealiste di politica internazionale.
Il problema per chi vorrebbe una Germania più misericordiosa è che i dati economici sembrerebbero dar ragione alla politica tedesca. Eurostat ha rilevato come nel secondo semestre l’eurozona abbia fatto segnare una crescita dello 0,3%, facendo sperare in una fine della recessione. Anzi – scrive la Frankfurter Allgemeine, il più autorevole quotidiano tedesco – «l’eurozona ha superato la più lunga recessione della sua storia». Eppure, rimane una questione da risolvere: la recessione è stata superata grazie oppure nonostante le politiche d’austerity? Viene da pensare che il “nonostante” sia la risposta.
Ciò deriva prima di tutto dalla situazione dell’Italia. Il nostro paese aveva ricevuto complimenti negli scorsi mesi per aver attuato riforme che ancora non erano riuscite altrove. L’Italia si candidava a essere un modello per i paesi “dell’olio d’oliva”, mentre i veri guai sarebbero giunti da quegli incorreggibili sciovinisti francesi – che di riforme non ne volevano sentir parlare. Il risultato? Mentre la Francia è cresciuta dello 0,5%, l’Italia è arretrata dello 0,2%. Chapeau.
È vero che lo spread tra titoli del Sud Europa e Germania si è ridotto, ma ciò è avvenuto per motivi diversi rispetto a quelli che sarebbero valsi prima della crisi. Una premessa: la crisi è stata in realtà una riorganizzazione del sistema economico, che ha portato a una maggiore polarizzazione dei redditi e a un ulteriore spostamento del lavoro verso i paesi emergenti (lo ha scritto anche Fabrizio Goria in un suo abituale tweet verso le tre del mattino). Per questo – come stimato dall’Fmi – il tasso di disoccupazione “strutturale” (che rimarrebbe anche in caso di pieno recupero economico) nell’eurozona è passato dal 7,4% al 10,1%. Significa che la domanda interna, attualmente depressa, non tornerà mai ai livelli precedenti la crisi.
Per questo, si è ridotto il deficit nella bilancia dei pagamenti dei paesi meridionali, ma ciò è stato dovuto a una diminuzione nelle importazioni, più che a particolari virtù economiche. La domanda interna è crollata, ma i cittadini continuano a pagare le tasse – che sono aumentate. I mercati sanno che questa situazione di “stabilità depressa” (o “depressione stabile”) rimarrà nel medio/lungo termine, e premiano i Pigs acquistando titoli di stato, visto che ora ci sono maggiori garanzie sul fatto che saranno pagati.
Ci troviamo in una situazione in cui, pur in assenza di riforme, è garantita la stabilità finanziaria. Essa consentirà ai paesi creditori di vedere onorati i debiti contratti dal Sud. Ciò è avvenuto al costo del sacrificio sociale dei paesi mediterranei. Così, la Germania ha portato a termine il proprio disegno politico – che probabilmente era l’unico possibile per un paese dotato dell’unico governo stabile d’Europa. Per gli altri, una buona notizia – quella della “ripresa economica” – non è sempre una buona notizia.
Twitter: @RadioBerlino