Quando la tuta arancione da detenute è cool

“Orange is the New Black”

Dall’America gridano al capolavoro. «È la serie dell’anno?», si chiede l’Huffington Post. Entertainment Weekly, che già aveva gioito per House of Cards, è convinta che Netflix con questa sua seconda creazione si sia addirittura superato. L’arancione è davvero il nuovo nero, per dirla giocando su un concetto che nel mondo della moda è sempre in primo piano: black is cool. Orange is the New Black se non è la serie dell’anno, è sicuramente quella dell’estate. E se l’avete persa, correte ai ripari. Per cinque ragioni.

1. Se le comedy stanno attraversando un periodo di crisi nera, quelle produzioni che rientrano in quel buffo neologismo di dramedy dimostrano che ridere non è poi così difficile. Il punto di partenza di Orange è tutt’altro che comico, ma il modo in cui viene narrato e il modo in cui vengono tinteggiati i personaggi fa piegare dalle risate. È un umorismo intelligente. Non volgare. Non di pancia. Ma c’è. Ed è di questo, soprattutto d’estate, che abbiamo bisogno.

2. Netflix l’ha rinnovata ancora prima del suo debutto. Già la parola Netflix dovrebbe bastare a convincervi. La sua prima produzione, House of Cards, si è accaparrata tutte le nomination possibili ai prossimi Emmy. E se questo colosso di streaming on demand (che ha avviato l’ultima rivoluzione della televisione seriale) ci crede, perché non dovremmo farlo noi?

3. Perché non c’è una sola storia. Ma ci sono diverse storie nelle storie, quelle di tutte le detenute che si trovano nella prigione in cui la protagonista Piper si fa (volontariamente) rinchiudere. E dimenticatevi Oz e tutte le altre serie ambientate nelle carceri: Orange si serve di un contesto dagli equilibri fragili per approfondire tanti aspetti, dalla sessualità alla solidarietà femminile, dalla socialità alle tematiche razziali.

4. Per un nome. E non è quello della protagonista Taylor Schilling che al mondo seriale è più o meno sconosciuta (fatta eccezione per lo sfortunato medical drama Mercy). Il nome è quello della creatrice Jenji Leslie Kohan, già mamma di Weeds. E se avete visto la comedy nera sul mondo della droga, sapete come sia in grado di sgretolare pezzo per pezzo le convinzioni più radicate. Senza esimerci da grasse e grosse risate.

5. Perché non ci sono gli eccessi. Cioè c’è tutto, un po’ di violenza, un po’ di sesso lesbo e un po’ di sesso etero, un po’ di scene di nudo, un po’ di dramma e un po’ di risata. Ma senza quel gioco «vediamo chi la spara più grossa» a cui molte produzioni si appigliano. A dimostrazione che non serve gridare per farsi ascoltare. O in questo caso, vedere.  

Twitter: @aleamu

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