Le immagini della pioggia di meteoriti negli Urali in Russia, che lo scorso febbraio hanno fatto il giro del mondo, provenivano da alcune automobili. A bordo delle vetture le “dash cam” (contrazione di dashboard camera), telecamere di sicurezza che hanno contribuito a creare un archivio di filmati, diffusi poi via YouTube. Si tratta di piccoli strumenti posti sul cruscotto delle auto, molto diffuse in Russia e negli Stati Uniti.
I motivi per cui vengono installate le dash cam sono diversi: in Russia si deve anche alla corruzione della polizia. Il malcostume di molti agenti permette che, qualora manchino prove inconfutabili, si possa definire colpevole di un incidente stradale in base al valore della bustarella che un conducente può pagare. Ma con la prova video di un incidente tutto questo non può più succedere.
Aldilà del caso particolare, le dash cam sono utilizzate prevalentemente per definire le cause e le responsabilità di un incidente, in caso di contenzioso. L’interesse verso questi piccoli attrezzi tecnologici non si limita alla Russia (e agli Usa). Il ministro dell’Interno francese, Manuel Valls, ha appena annunciato che Francia e Unione Europea hanno intrapreso “una vasta riflessione riguardo l’interesse delle videocamere installate a bordo delle automobili”. Su LeFigaro.fr, Matthieu Lesage, avvocato esperto in sicurezza stradale, ha affermato che «spesso ci si imbatte in litigi e bisogna fare appello ad un esperto che però può sbagliarsi anch’egli. Ma la videocamera non può mentire». Questa posizione non è condivisa da molti francesi che criticano soprattutto l’ingente costo che un’operazione del genere potrebbe comportare alle casse dello Stato: «gli investimenti che domandano questi dispositivi – spiega un assicuratore – potrebbero essere utilizzati per una migliore prevenzione di strada».
La situazione italiana
L’installazione delle dash cam verrà discusso in molti paesi (e non solo in Europa). Ma qual è la situazione in Italia? Per il segretario generale della Fondazione Ania per la sicurezza stradale, Umberto Guidoni, «questo argomento va inquadrato in maniera accurata», evitando generalizzazioni tra i paesi. «Per quanto riguarda l’Italia è già presente la scatola nera», un dispositivo che non registra un video ma solamente alcuni dati, che possono essere utili alle forze dell’ordine e ai tribunali per determinare l’eventuale responsabilità di uno scontro stradale. «Noi come Fondazione ANIA per aumentare il livello di sicurezza stradale stiamo già sperimentando alcuni dispositivi simili (ma non identici) alla dashcam, consistenti in un video data recorder dotato di un GPS e di un accelerometro, che registra i 30 secondi precedenti e successivi ad un crash».
La sperimentazione di ANIA riguarda mezzi pesanti e mezzi pubblici: «perchè questi dispositivi siano collegati a un mezzo pesante e a un mezzo pubblico, è necessario il consenso dei sindacati» ricorda Guidoni. E un ulteriore punto su cui sicuramente ci sarà da lavorare è la possibilità di collegare il dispositivo non solo ad un pc, ma «che sia presente un collegamento costante con una centrale operativa» (come già avviene per le scatole nere).
Lo scorso 26 luglio, su proposta del ministro delle infrastrutture e dei trasporti Maurizio Lupi, è stato approvato un disegno di legge con delega al governo per la riforma del Codice della strada, all’interno del quale si fa riferimento all’introduzione di «disposizioni atte a favorire l’istallazione e la diffusione di sistemi telematici applicati ai trasporti ai fini della sicurezza della circolazione e in un’ottica di semplificazione delle procedure di accertamento delle violazioni». Secondo Guidoni, l’ampiezza del criterio con il quale è presentato l’intero disegno di legge «non esclude che possano essere prese delle decisioni in direzione delle dash cam».
Una raccolta di video catturati dalle dashcams russe. Da incidenti stradali (provocati e mancati) a incursioni animali sulle carreggiate.
Twitter: @giovanniferrar