The Neighbors, quando i vicini di casa sono gli alieni

Critica sociale in salsa extraterrestre

La premessa è folle: una famiglia americana si trasferisce in un quartiere abitato da alieni che si vestono come giocatori di golf, che si presentano sempre con nome e cognome (abituatevi a sentire Larry Bird e non Larry, Dick Butkus e non Dick) e che portano il nome di famosi atleti statunitensi. The Neighbors (che in Italia arriverà – su Fox – a settembre con il titolo di Vicini del terzo tipo) sulla carta si presentava come una comedy surreale, di quelle destinate a far ridere occasionalmente e pronte a finire nel dimenticatoio in breve tempo. Non pago, il primo episodio sembrava sbucare dal passato: una sit-com anacronistica, arrivata con vent’anni di ritardo all’appuntamento con la comicità degli anni Novanta. E invece sono bastate un paio di puntate per far sì che The Neighbors si rivelasse non solo una piacevole sorpresa, ma addirittura una delle comedy più brillanti in circolazione.

La comicità televisiva non hai mai attraversato una crisi nera come quella in cui è sprofondata nell’ultimo biennio, confermando che i mostri della risata sono pochi e sono rari. Non è un caso che da tempo immemore siano sempre le stesse serie ad accaparrarsi nomination e premi (come The Big Bang Theory o Modern Family, tralasciando il discorso Girls, che poi a dirla tutta comedy non è – ma questa è un’altra storia).

The Neighbors parte dalla premessa più stupida e irreale per costruire invece un palcoscenico di umorismo intelligente e concreto, che guarda agli esseri umani da una posizione esterna, li descrive da un punto di vista alieno mettendo in evidenza quelle folli convinzioni a cui attribuiamo un senso ma che un senso in realtà non hanno (basti pensare all’inspiegabile slang che usiamo con gli amici – «Hey bitches» – estremizzato da programmi come Il Grande Fratello o Real Housewives o alla necessità di mascherarsi per Halloween, giusto per fare qualche esempio). Lo show da un lato sottolinea il grottesco che caratterizza la nostra vita, dall’altro schernisce l’ignoranza dell’americano medio. Dotata di sottile cinismo, la serie nasconde, dietro a gag indubbiamente esilaranti, una critica sociale degna del miglior drama. Che poi dovrebbe essere il senso dei film e delle serie di questa categoria: far ridere e sorridere per qualcosa di vero, non per tette, lati B, doppi sensi e rutti come ci insegnano i cinepanettoni nostrani.