CHIASSO – Italiani siete benvenuti, ma solo se non fate concorrenza sleale agli svizzeri. Alla fine era questo il vero messaggio che l’amministrazione cittadina di Chiasso voleva dare il 26 settembre al seminario tanto atteso “Benvenuta Impresa”, organizzato dal sindaco Moreno Colombo nel teatro comunale Spazio Officina.
Un seminario “blindato”, che si è svolto a porte chiuse, anche per impedire, pare, ospiti sgradevoli della Guardia di Finanza italiana, in cerca di potenziali ed eventuali evasori. Un incontro affollatissimo, a cui hanno partecipato 260 aziende, ma erano 600 quelle che si erano iscritte per partecipare. Presenti anche numerosi consulenti a caccia di clienti: commercialisti, traghettatori, delocalizzatori.
Tutti gli imprenditori, arrivati a Chiasso in cerca di un nuovo mercato per le loro aziende in difficoltà, sovrastati dalla crisi, dalla burocrazia, dalla mancanza di credito bancario, sono rimasti abbastanza delusi. Il seminario infatti aveva un duplice obiettivo: spiegare i vantaggi della delocalizzazione nel Canton Ticino, ma soprattutto frenare l’esodo dei frontalieri italiani, che sottraggono posti di lavoro in una città, già sofferente per la riduzione rilevante dell’indotto finanziario, che «oggi può offrire solo 375 posti di lavoro», ha precisato il sindaco. E, considerato che oggi nel Canton Ticino il tasso di disoccupazione è del 5%, una percentuale molto alta per la media svizzera, l’amministrazione cittadina vuole aprire le porte solo a società italiane che offrano servizi, meglio se hi-tech, che affittino o comprino spazi lasciati vuoti da istituti finanziari costretti a chiudere.
Ecco perché molti imprenditori, arrivati a Chiasso nella speranza di trovare le condizioni per trasferire la loro produzione oltre la frontiera, sono usciti dal seminario scornati. Il sindaco è stato categorico: «Non possiamo tollerare che le aziende paghino stipendi che non siano adeguati ai nostri parametri» (un operaio in Svizzera guadagna circa 40mila euro lordi annui).
Le istituzioni locali infatti vogliono attirare investimenti e know-how italiano di aziende solide, che siano attratte da una minore pressione fiscale (nel Canton Ticino circa il 20%), ma solo se si adeguano al costo del lavoro, che in Svizzera è molto più alto. E non facciano dumping salariale.
Camion in coda sulle autostrade svizzere (Afp)
Forse non è un caso che oggi ad alcune frontiere sia scattata l’operazione “padroncini” per verificare che i frontalieri fossero in regola. Perché l’esodo delle aziende italiane in Svizzera (nei primi sei mesi del 2013, 60 solo dalla provincia di Varese) è in crescita. E ogni giorno ci sono 60mila frontalieri che vengono qui, nel Canton Ticino, a lavorare, dove gli abitanti sono complessivamente 340mila. E dove ormai gli spazi per capannoni industriali sono saturi (il 26% delle aziende sono straniere). Quindi, va bene che il sistema moda abbia creato una piccola Fashion Valley ( oltre alla storica presenza di Ermenegildo Zegna, negli ultimi anni nel Canton Ticino sono arrivati anche Tom Ford, Gucci, The North Face, Guess, Timberland) perché portano capitali e know-how. E va bene che molte società italiane vengano qui per fare il salto di qualità dell’internalizzazione in un Paese, che favorisce con regole chiare e poca burocrazia l’export verso l’Europa e mercati emergenti; ma non va bene che vengano manovali o artigiani italiani, che offrano servizi a costi bassi. O aprano call center, che si portano dietro i loro lavoratori precari con stipendi da fame. E soprattutto non va bene (per gli svizzeri) che ci sia anche un esodo di traghettatori di aziende che danno fastidio alle lobby di consulenti finanziari, commercialisti, notai ed avvocati indigeni.
«Io produco valvole a Saronno», spiega un piccolo imprenditore a Linkiesta.it, «e da cinque anni penso di trasferirmi, ma non mi decido mai, perché dovrei chiudere tutto in Italia, portare qui la famiglia per evitare che poi la Guardia di Finanza mi crei problemi in Italia».
A Chiasso sono arrivati imprenditori da tutta la Lombardia, ma persino da Ravenna. In cerca di spazi per aprire nuove filiali per le loro produzioni, ma anche per aprire società di servizi di cui il Canton Ticino è affamato perché vuole diversificare il proprio mercato del lavoro, che attraversa una fase critica. E molti sono tornati a casa a mani vuote. O quanto meno molto incerti perché non hanno capito se conviene loro trasferirsi o meno.
È vero, il carico fiscale è minore, in Canton Ticino non supera il 20%, ma per aprire una S.A., società anonima che corrisponde alla nostra Spa ci vuole un capitale sociale di 80mila euro, mentre per una Sagl, società a garanzia limitata che corrisponde alla nostra Srl, ci vogliono 20mila euro. E affittare uno spazio costa 100-200 euro al metro quadro, 800 se si vuole comprarlo. La mano d’opera è cara, e il Comune di Chiasso ha promesso agevolazioni fiscali solo se si assumeranno lavoratori svizzeri.
«La verità vera è che qui la sindacalizzazione è minore. Tranne che per alcuni settori come l’edilizia, i contratti sono aziendali e gli imprenditori trovano una flessibilità maggiore del mercato del lavoro: in pratica possono licenziare con più facilità» spiega uno dei traghettatori italiani, che ha fatto fortuna in Svizzera, grazie all’esodo delle aziende italiane.
Perciò stabilirsi in Canton Ticino conviene alle aziende molto solide, con molta liquidità, che vogliono fare un nuovo investimento perché le regole sono rigide, ma chiare, e non ci si trova intrappolati dentro castelli kafkiani della burocrazia. E per chi esporta è più facile affacciarsi dalla Svizzera, un Paese che serve anche come un buon biglietto da visita per la stabilità politica ed economica, a nuovi mercati emergenti. E chi si trasferisce ha anche maggiori ammortizzatori sociali, in caso di disoccupazione.
Ma, come hanno ammesso gli organizzatori del seminario “Benvenuta Impresa”, solo il 2% degli imprenditori arrivati oggi Chiasso spinti dall’esasperazione, decideranno poi di delocalizzare le loro imprese. Molti preferiscono creare solo società per commercializzare i prodotti e pagare meno tasse, ricorrendo a società di consulenza italiane. E aumentando la concorrenza, che l’amministrazione cittadina di Chiasso vorrebbe combattere. Intanto però l’esodo continua. Al punto che il direttore delle imprese ticinesi, Ati, Stefano Modenini, contrario all’iniziativa “Benvenuta Impresa” perché il seminario ha acceso ulteriormente i riflettori sui vantaggi fiscali per le aziende italiane e ha aumentato il nervosismo delle aziende autoctone, spiega che «ogni giorno riceve richieste di lavoro dall’Italia che cercano un impiego oltre la frontiera». Come se la Confindustria locale fosse un ufficio di collocamento per disoccupati italiani. E la Svizzera del Canton Ticino, che ha perso la sua vocazione finanziaria, teme lo spettro della disoccupazione. Tranne che per gli operai del settore edilizio, perché come spiega il sindaco al bar a un suo concittadino “nessuno qui vuole mettersi a sistemare la strade. Per questi lavori vanno bene gli italiani”.
Morale: sono benvenute le aziende con un alto valore aggiunto, che importino capitali e creatività made in Italy, e aiutino il Cantone a creare nuovi posti di lavoro, sì, ma per gli svizzeri.
Twitter: @GiudiciCristina