Fedele Confalonieri non è Gianni Letta, non è l’uomo delle relazioni felpate e romane, della crostata e della Bicamerale con D’Alema, dell’inciucio, del patto col diavolo e dei pensieri sempre pettinati. Non è un ambasciatore politico, non è un appassionato del “Cortigiano” di Baldassarre Castiglione, non è meridionale come Letta, che è abruzzese, ma è nato a Milano, e dunque non è olio d’oliva ma solido burro, non sempre lenisce. Confalonieri è la mobilia, il portafoglio, la famiglia, l’affetto più radicato e profondo, il depositario d’ogni segreto, l’uomo che conosce le origini dell’impero, dell’enorme fortuna problematicamente acquisita. Rappresenta dunque l’interesse sovrano, è l’anima indecifrabile e finanziaria del berlusconismo, il calco positivo, o negativo, a seconda dei punti di vista, di Silvio Berlusconi. E dunque se il Castello di Arcore ha deciso di schierare il presidente di Mediaset sul campo di battaglia, d’inviarlo ambasciatore al Quirinale per trattare con il capo dello Stato, che lo ha ricevuto giovedì in gran segreto, allora significa che la vertenza sta per concludersi, che la faccenda è seria, e che insomma ci siamo, è fatta, in pochi giorni si compirà il destino del governo di grande coalizione e forse anche quello di Berlusconi.
Per il Cavaliere, Confalonieri non è soltanto un amico, ma il numero due della famiglia, il padrino di Marina, lo “zio” Fedele. Da ragazzini vivevano nello stesso palazzo, al quartiere Isola di Milano, piccoli borghesi, non ricchi ma dignitosi, compagni di scuola, poi di università, i primi calci al pallone, lo stridore della ferrovia non lontana da casa, i libri, il giradischi, i guadagni saltuari, poi le speculazioni immobiliari: il primo appartamento del primo palazzo innalzato da Berlusconi fu acquistato dalla madre di Confalonieri, «lo comprò senza neanche vederlo, non era nemmeno costruito, c’erano solo un terreno e la fantasia di Silvio». E dunque la passione in comune per la musica, l’orchestrina jazz nella quale uno cantava e l’altro suonava il piano, «ma la stella era sempre Berlusconi», i viaggi all’estero per imparare le lingue e conoscere le ragazze, poi i matrimoni, i figli cresciuti assieme, l’amicizia delle mogli (le due del Cavaliere e l’unica di Confalonieri).
Due vite intrecciate e un solo destino, non si sa mai dove finisca l’uno e cominci l’altro, Confalonieri e Berlusconi, soci, fratelli e coetanei. Di Confalonieri, garbato e mai sopra le righe, affabile e spigliato, spiritoso, allegro, amante delle citazioni dotte, della letteratura e del pianoforte, di Shakespeare e di Balzac, si dice che sia un moderato, che sempre contenga i tracimanti umori neri del suo amico. Ed è stato spesso così, Confalonieri, autore dei pensieri più assennati, ha salvato Berlusconi da sé stesso, e in molte occasioni. «L’errore di Berlusconi è pensare che tutti i magistrati siano rossi. Sbaglia. E io glielo dico», ha confessato una volta a Claudio Sabelli Fioretti. E insomma Confalonieri è aggraziato, parla da pari a pari con il suo amico e capo, lo critica persino, ne conosce i difetti e le vanità, può permettersi l’ironia: «Con D’Alema, Veltroni, Bersani io riuscirei a parlare. Lui no, lui vuole conquistarli e convertirli». E ancora, lo sberleffo affettuoso: «Silvio non avrebbe fatto quello che ha fatto se non fosse un po’ megalomane». Ma simpatia, cultura, moderazione, levità e libertà di tono, non sono categorie dello spirito politico e imprenditoriale, non fanno grande il politico, né ricco l’imprenditore, sono piuttosto il prezzo che il potere paga al vizio. E dunque il suo carattere e le sue qualità personali non fanno di Confalonieri la colomba di Arcore, né il consigliere “buono”, il frondista spesso raccontato dai giornali e contrapposto alla corte bovina, con l’anello al naso, armata e pronta a ogni inutile spargimento di sangue.
E’ infatti facile conquistare un po’ di potere, il difficile è farselo perdonare: per conservare e accrescere il potere servono cultura, simpatia, moderazione e levità, cioè la cifra esatta di Fedele Confalonieri, che, con il Cavaliere, da più di vent’anni, è uno degli uomini più potenti d’Italia. E dunque in famiglia, nei pranzi del lunedì di Arcore, in quel rito inaccessibile che assomiglia al consiglio d’amministrazione d’un’azienda o al concilio ristretto di un piccolo regno, intorno al grande tavolo ovale della sala da pranzo, lì dove l’azienda è tutto – le televisioni, i giornali, ma anche la politica – ebbene in quei momenti che tante volte sono stati decisivi per l’alterna fortuna di Berlusconi, Confalonieri è stato spesso un duro, il braccio e il sostegno delle manovre più temerarie di Berlusconi. E’ un uomo tosto, quadrato, talvolta persino l’anima grigia del Cavaliere che nella sua lunga vita ha dovuto affidarsi all’amico Fedele per sbrogliare tante oscure matasse, combattere innumerevoli e non sempre limpide battaglie per la sopravvivenza – «ai tempi delle prime tv si viveva alla giornata, la prospettiva era tirare avanti fino alla settimana successiva» – lui che ha dovuto sgomitare per non affogare, ancora prima che arrivasse la politica con la schiuma dei processi e la foga del conflitto giudiziario. Quella al Quirinale, adesso, è l’ultima missione.