Con la Merkel la Germania ha rotto il tabù nazionalismo

Le elezioni tedesche del 22 settembre

E d’un tratto sono comparsi ai lati della strada: ragazzini che tenevano in mano bandierine tedesche e le sventolavano alle auto di passaggio. «È schifoso», ha detto la mia accompagnatrice. Era il 2006, anno dei mondiali di calcio in Germania, e la nazionale si era appena qualificata per i quarti di finale, dopo una bella vittoria contro la Svezia. Per molti le bandierine erano ancora un tabu, con la memoria scolastica che tornava alle immagini in bianco e nero sui libri di storia. Nei giorni successivi, le bandierine sarebbero comparse più numerose sui tettucci delle auto, sulle magliette, per strada. Alla vittoria per quattro a zero contro l’Argentina, ho assistito a un brindisi chiamato da un signore evidentemente inebriato: «Hanno giocato come la nostra unità nazionale».

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Il 2006 è stato l’anno in cui la Germania non ha più avuto paura di essere se stessa. Il grande quartiere amministrativo al centro di Berlino, con il nuovo cancellierato, era praticamente ultimato. Nei parchi della capitale erano comparse statue giganti di automobili e scarpe sportive, a simboleggiare la Germania “terra delle idee”, per l’iniziativa industriale e le esportazioni. Nei sondaggi internazionali il paese veniva considerato a sorpresa “il più popolare del mondo” – e lo diceva la Bbc, l’emittente pubblica di quegli stessi britannici che non hanno mai avuto in gran simpatia il popolo germanico.

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Presto sembravano essere state dimenticate le polemiche sull’opportunità di “essere fieri di essere tedeschi”. Ancora nei primi anni duemila, la frase “ich bin stolz, Deutscher zu sein” era argomento di polemiche rancorose tra televisioni e giornali. Era un’uscita riservata ai neofascisti dell’Npd, che se passava per la bocca di un qualche politico più presentabile, scatenava ondate di critiche per tutto il Paese. Dal 2006 la questione non viene più posta: i tedeschi sono tedeschi e basta. È un pericolo? Ci si accorge adesso che la risposta alla “Domanda tedesca” – la questione del carattere unitario e politico del Paese – non si è risolta con la riunificazione del 1990. Adesso la Germania si trova in una posizione mai avuta prima: quella di dover essere leader, ma di un contesto che non percepisce come “amico”. Lo spirito nazionale è dilaniato tra le tentazioni di credere in un nemico comune – quello dei “paesi che chiedono soldi” – e l’ideale di una Germania che, per una volta, può proporre internazionalmente dei valori guida.

Il problema è che la Germania, in tutto questo tempo, non è riuscita a interrogarsi veramente sulla sua vera anima. Questo periodo sarà ricordato per molto tempo come l’epoca della Merkel: il “merkelismo” come fine arte politica del compromesso e del sagace opportunismo sta cambiando il volto nazionale. Merkel è anche una questione: la Germania fiera di sé è tale a causa della Merkel, o perché la Merkel se n’è disinteressata? La Germania è ancora quel soggetto politico da contenere di cui parlava De Gaulle? «Mi piace così tanto la Germania», disse, «che mi auguro ce ne saranno sempre due». Forse la Germania rischia di strafare, e forse le tendenze “basse” del nazionalismo spicciolo la porteranno di nuovo verso qualche patologia politica? Vinceranno le rancorose opinioni dei beceri editorialisti della Bild Zeitung, o gli articoli di fondo (sempre meno) ingessati della Frankfurter Allgemeine?
La campagna elettorale va avanti, e forse è la più debole da decenni, riaccesa solo un po’ dal grande duello televisivo vinto dall’asfittico candidato dell’Spd Peer Steinbrück, che si fa accompagnare in giro per la Germania dall’ex-cancelliere Gerhard Schröder. È un giro degli sconfitti due volte: non solo alle ultime tornate elettorali, ma anche come eredità politica. Fu proprio l’Spd di Schröder a introdurre le riforme che tanto bene stanno facendo alla Germania di oggi. Schröder era cancelliere perfino quando la Germania ha vinto l’assegnazione per i mondiali del 2006.

Nello spirito più pieno dello ying&yang politico, l’Spd ha dovuto incassare la spesa politica, regalando poi alla Cdu la dote da cui sarebbe nato il merkelismo. Secondo gli ultimi sondaggi, i socialdemocratici hanno raggiunto il livello più basso di approvazione dell’anno, al 22%, mentre il principale partito di governo della Cdu/Csu svetta al 41%. L’Europa dei mercati aiuta il successo della Merkel: le tensioni sullo spread sono diminuite, e ritorna un minimo di fiducia. Le economie promettono di crescere sfidando le leggi dell’economia: aumentano le tasse, diminuisce la spesa pubblica, ma il Pil dei Paesi “si riprenderà entro l’anno”. Potere della Merkel, regina d’Europa.

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