BRUXELLES – A due giorni dalle elezioni tedesche di domenica, a Bruxelles è fiato sospeso – ma fino a un certo punto. Più che per i risultati elettorali, in effetti, l’attesa è che finalmente queste benedette elezioni passino, e si possa ricominciare a lavorare. «Il voto tedesco è da un anno a questa parte la scusa per bloccare un mucchio di cose», si sfoga un diplomatico di un importante paese dell’euro. Pochi, a dire il vero, si aspettano stravolgimenti della posizione tedesca, come invece sembra sognare qualcuno dalle nostre parti. «La strategia del risanamento dei conti come base fondamentale per il superamento della crisi non cambierà più di tanto, al massimo gli accenti e i toni» commenta un altro diplomatico europeo. Certo, in caso di Grande Coalizione Cdu–Spd, aumenterebbe l’enfasi sulla crescita.
Una cosa, però, preoccupa, e non poco, la Commissione Europea: la crescente insistenza del cancelliere Angela Merkel sul ridimensionamento dei poteri dell’esecutivo Ue a favore degli stati nazionali. «Sarebbe meglio una grande coalizione, l’Spd in questo non è tanto d’accordo con la Merkel», commenta una fonte comunitaria. Una riedizione dell’attuale coalizione di centro–destra, è il timore a Bruxelles, potrebbe portare a un’accelerazione su questo punto. Non a caso negli ultimi tempi il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, ha dato più enfasi al principio di sussidiarietà, insistendo che «le cose più grandi vanno fatte a livello europeo, quelle più piccole a quello nazionale», e preannunciando nuove regole che limitano l’influsso di Bruxelles sui dettagli della quotidianità dei cittadini. Si vedrà, fonti della cancelleria tedesca comunque insistono che la Merkel è molto decisa sull’idea di “rimpatriare” parte dei poteri da Bruxelles alle capitali nazionali. E non è sola, a parte i soliti britannici la vedono così ad esempio gli olandesi, un tempo bastione dell’europeismo o gli austriaci. Consolazione di Bruxelles: «almeno – dice un portavoce di Barroso – dei grandi partiti tedeschi, al governo come alla coalizione, tranne forse Die Linke, nessuno è chiaramente anti–europeista, a differenza di vari altri grandi stati europei».
Lo sblocco elettorale, del resto, è fortemente atteso perché siamo a fine legislatura europea, e da qui a dicembre Commissione (in scadenza nella seconda metà del 2014) e Parlamento Europeo (da gennaio di fatto bloccato in vista delle elezioni di maggio), devono concludere alcuni importanti progetti. Tra questo c’è la spinosissima questione della seconda “gamba” dell’unione bancaria, il meccanismo europeo di risoluzione delle crisi bancarie. La Germania è recisamente contro una vera authority centrale Ue, come propone la Commissione (che vorrebbe se stessa in posizione chiave), adducendo questioni giuridiche. Almeno, passata la campagna elettorale, si potrà entrare nel vivo anche se difficilmente la posizione di Berlino si sposterà più di tanto, magari qualche piccola concessione sarà possibile.
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Del resto ci sono vari altri progetti di legge bloccati dalla campagna elettorale tedesca, come la normative sulle quote rosa fortemente voluta dal commissario alla Giustizia Viviane Reding o la spinosissima questione dei limiti di emissione di Co2 per le auto, tema campale per i tedeschi soprattutto i campagna elettorale. O ancora la Tobin Tax in formato di cooperazione rafforzata (anche se qui sono molti a dubitare che ci si riuscirà). E poi, a novembre sono attese decisioni sui paesi in crisi. Non solo la Grecia, ma, ad esempio, anche l’Irlanda, che a partire da gennaio dovrebbe tornare sui mercati. Si tratta di decidere se Dublino, come aiutino per il ritorno alla normalità, potrà, come sta già chiedendo, usufruire del programma di acquisto di titoli da parte della Bce insieme al fondo salva–stati Esm. Mentre la Spagna chiede con forza una modifica dei criteri impostele per il rientro del deficit, ad esempio considerando l’elevatissima disoccupazione. Quanto all’Italia, chiunque vinca domenica non potrà farsi troppe illusioni: non ci sarà troppa comprensione a Berlino – neppure in casa dei socialdemocratici, “cugini” del Pd – se sforiamo i parametri del deficit violando i nostri impegni europei.
La partita tedesca, infine, viene osservata con attenzione anche per le implicazioni per il rinnovo della Commissione Europea. L’attuale presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, spera ovviamente che l’Spd vada al governo (anche se magari “solo” in una grande coalizione), ma non solo per amore del proprio partito: i socialdemocratici al potere a Berlino potrebbero favorire la sua ascesa a nuovo presidente della Commissione Europea – sempre che la sua famiglia politica arrivi prima alle elezioni europee (il nuovo trattato di Lisbona prevede che si “tenga conto” dei risultati elettorali nella nomina del nuovo capo dell’esecutivo Ue). Schulz potrebbe comunque avere ottime chance se non altro di essere il commissario tedesco nella nuova compagine che sarà scelta a fine 2014. «Una cosa è chiara – commenta un altro diplomatico – dopo il 22 settembre riparte tutto». In quale direzione, tuttavia, resta da vedere.