Come hanno fatto i tedeschi a recuperare l’Est della Germania in vent’anni, mentre l’Italia non è mai stata in grado di risollevare il Sud dalla crisi economica permanente? È vero ciò che si dice: non esiste alcuna formula magica che, dalla Foresta Nera, possa essere importata nel Bel Paese. Esistono idee, sacrifici e – come vedremo – anche qualche trucco, che svela piccoli inganni dietro la magia tedesca. E ammettiamo subito: i tedeschi sono stati bravissimi a riformarsi – per forza o per iniziativa – e hanno introdotto una serie di misure efficaci. Non tutto, però, è come sembra.
1) La riunificazione tedesca è costata una marea di soldi
La scelta del termine “marea” non è casuale, perché nessuno sa di preciso di quanti soldi si tratti. Si stima che la cifra si collochi tra un trilione e due trilioni e mezzo di euro, tra il 1990 e il 2010 – in paragone a un Pil tedesco (Est e Ovest) che nel 2000, in mezzo al programma di riunificazione, non arrivava neanche a 1,9 trilioni di euro.
2) I trasferimenti fiscali tedeschi dalle ricche zone del Sud del paese sono stati accompagnati da robusti piani di riforma dello stato sociale e dei contratti di lavoro
I Länder della Germania Est hanno recuperato gran parte dello svantaggio solo a partire dalle riforme introdotte nel 2004 dal governo socialdemocratico di Gerhard Schröder, tramite il programma “Agenda 2010”. Il programma ha introdotto nuove formule di lavoro atipico, ha consentito di deviare dalla formula del “contratto unico nazionale”, ha ridotto i sussidi alla disoccupazione (si poteva di fatto passare una vita da disoccupato praticamente a stipendio pieno).
3) I contratti atipici hanno aperto un mercato lavorativo a persone meno qualificate dall’Ovest, ma gli stipendi sono ancora molto bassi
Il Pil medio pro capite all’Est è circa il 25% più basso rispetto a quello dell’Ovest. Abbassare il costo del lavoro nell’Est ha consentito di spostare milioni di persone dalla condizione di “disoccupati di professione”, a una in cui lo stipendio non basta neanche per il sostegno delle spese vitali. Escludendo Berlino dai calcoli, nell’ex-Germania Est ci sono attualmente circa 630.000 disoccupati, mentre oltre 1,3 milioni di persone ricevono assegni sociali – un dato molto alto su una popolazione orientale totale di 12,5 milioni di persone (sempre senza Berlino).
4) Le statistiche sulla disoccupazione sono “mascherate” – e questo è il principale dei “trucchi della Foresta Nera” cui accennavamo all’inizio
Per uscire dalle statistiche di disoccupazione basta avere un lavoretto da più di 15 ore la settimana, anche per 165 euro al mese (la cifra che non viene scontata dall’assegno di disoccupazione base, l’”Arbeitsloesengeld I”). In Germania circa un quinto dei lavoratori è considerato “a basso reddito”, cioè con lavora da meno di 9,50 euro l’ora. La media del gruppo è di circa 6,50 euro l’ora, per una settimana lavorativa media di 45 ore.
5) A parte le conseguenze sociali, il recupero dell’Est è stato possibile grazie a una collaborazione delle grandi imprese e a un’adeguata considerazione della posizione geografica
Mercedes, BMW, Schering e tante altre grandi aziende tedesche hanno investito nei nuovi Laender, con la prospettiva d’inserirsi nel percorso di sviluppo dell’Europa Est.
6) Una classe politica è stata pronta a sacrificarsi per riunificare il paese
La “terapia d’urto” scelta da Helmut Kohl è stata un’idea ardita per sfruttare l’occasione offerta dalle condizioni del 1990. Schröder anni dopo è stato spinto dai mercati – la Germania era “The Sick Man of Europe” – e ha pagato la decisione con l’invito dell’elettorato a lasciare la Cancelleria.
Il modello tedesco è replicabile per il Sud Italia? In parte sì, ma tale parte non è rappresentata dall’ “austerity” proposta dai fautori della politica di stampo germanico. Riforme del lavoro e liberalizzazioni – così come avvenute in Germania – funzionano solo se sono accompagnate da piani vigorosi di aiuti pubblici. Quale simbolo dei tempi, sono costretto qui a citare un’intervista realizzata con uno dei grandi alfieri del pensiero austeritario tedesco, il direttore dell’IFO di Monaco, Hans-Werner Sinn. All’obiezione che “Margaret Thatcher ha riformato, ma senza diminuire la spesa sociale” (è aumentata dell’1,1% l’anno quando era al potere), Sinn ha obbiettato subito: “La Thatcher ha distrutto lo stato sociale, e chi dice altro è un ignorante!”. Sarò ignorante, ma le riforme si pagano – e lo ha fatto anche la Germania.
Oltre a questo, rispetto al Sud Italia la Germania Est ha comunque potuto contare su una storia recente di relativo successo economico rispetto agli altri paesi del Patto di Varsavia. È vero che produttività, qualità e affidabilità delle produzioni industriali non erano paragonabili con quelle del mondo capitalista, ma nella sfera sovietica la Germania Est era considerata un gioiello di efficienza. Costruire su un’etica lavorativa relativamente buona è più facile, rispetto alla ricostruzione su danni provocati da decenni di assistenzialismo e di consenso elettorale comprato con soldi pubblici.
Nonostante tanti sforzi economici e una vera visione politica, la Germania Est non è scampata al drenaggio demografico che contraddistingue territori in situazioni simili. Così come il Mezzogiorno, la gente è costretta a emigrare per cercare condizioni economiche migliori. Nel 2000 vivevano nell’Est (inclusa Berlino) 17,2 milioni di persone, mentre nel 2011 il conteggio era sceso a 16,3 milioni – nonostante sviluppo e riforme. La disoccupazione è diminuita anche grazie a questo.
Con buona pace dei tedeschi, la “questione orientale” tedesca è poca cosa rispetto a quella del Mezzogiorno italiano. Il totale dei residenti dell’est tedesco. Come proporzioni, i cittadini dell’ex-DDR rappresentano il 20% del totale tedesco, mentre quelli del Sud Italia sono il 35% della popolazione italiana. Ci sono poi enormi differenze in termini di geografie e opportunità economiche – considerato anche che il bacino mediterraneo, attualmente, non presenta le stesse prospettive rispetto all’Est Europa.
La magia tedesca sembra insegnare che non c’è alcuna formula magica per risollevare un’economia, e che i cambiamenti sono possibili solo al costo di grandi sacrifici. Nessuna delle soluzioni adottate dalla Germania funziona se presa singolarmente: la spesa pubblica senza riforme provoca assistenzialismo, mentre le riforme senza spesa non funzionano. Serve una guida politica pronta a sacrificarsi per far ingoiare l’amara pillola. L’Italia è pronta ad accettarlo?
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