La settimana della ventennale controversia sulla Tav in Val di Susa è cominciata così: con un incontro, lunedì mattina, fra parlamentari del Pd, quelli a favore dell’Alta Velocità senza sì e senza ma, e imprenditori per chiedere al Governo di coprire le spalle alle aziende danneggiate dai roghi.
E infatti il senatore Stefano Esposito, simbolo di una battaglia impopolare fra Bussoleno e Venaus, (dove buona parte della popolazione autoctona continua a considerare il binario che ancora non c’è un’opera inutile e devastante) e protetto da una scorta dopo le ultime minacce ricevute, ha deciso di presentare un emendamento alla legge finanziaria per dare protezioni economiche agli imprenditori locali, intimoriti dalle violenze, e indurli a farsi avanti nelle gare, in vista dei lavori del tunnel di base, a Susa, nel 2015.
Un incontro, che si è svolto appositamente all’hotel Napoleon di Susa, anch’esso bersaglio della rabbia No Tav perché il suo destino commerciale è intrecciato a quello dei suoi ospiti: soldati dell’esercito arrivati da ogni dove per presidiare il cantiere di Chiomonte, considerato sito strategico dal governo e fortino da espugnare dall’ala radicale del movimento No Tav. Ora che i campeggi estivi degli attivisti sono finiti (improvvisati nei boschi limitrofi al cantiere della Maddalena, e separati solo da una rete di 5 metri, tagliata in continuazione dal partito “cesoia e martello” dei fautori del boicottaggio della Tav) , tutti i protagonisti di questa intricata vicenda, guardano con aspettative o timore alla manifestazione che si terrà in valle il 5 ottobre. Da una parte gli antagonisti di fede luddista, annunciano “un autunno caldo e un settembre di fuoco”, come ha fatto un militante storico del partito No Tav, Alberto Perino, postando un video messaggio sul blog di Beppe Grillo.
Sul fronte avversario, gli inquirenti guidati dal procuratore generale di Torino, Gian Carlo Caselli, e i poliziotti della Digos continuano la loro battaglia investigativa per reprimere o prevenire atti di violenza. Perché nella bassa Val di Susa è già in corso un settembre di fuoco. Letteralmente, visto che la settimana scorsa è stato appiccato il tredicesimo rogo dall’inizio dell’anno in un cantiere di una ditta coinvolta nella fase iniziale dei lavori del tunnel esplorativo. E gli arresti si sono intensificati. Gli ultimi, venerdì scorso, hanno coinvolto tre attivisti anarchici, che avevano minacciato e intimidito una cronista di Repubblica, Erica Di Blasi, durante una manifestazione, il 10 agosto a Chiomonte. Preceduti il 30 agosto dal fermo di due attivisti, colti in flagrante durante il trasporto di materiale per creare ordigni esplosivi. “Ordigni micidiali”, secondo il gip, Giuseppe Marra, che ha convalidato la custodia cautelare di Davide Forgione, torinese, e Paolo Rossi, bergamasco, come si legge nella perizia richiesta dagli inquirenti (clicca qui per il testo completo).
Dietro una lunga sequela di eventi, che dimostrano l’acuirsi dello scontro fra gli antagonisti No Tav e lo Stato, ci sono una serie di interrogativi a cui è difficile trovare risposta. Infatti, nella bassa Val di Susa, dove gli abitanti sono più inclini a un modello eco-sostenibile che a quello industriale, ci si perde facilmente dietro le opposte fazioni e ideologie, che scatenano gli appassionati delle dietrologie. «Chi sta strumentalizzando la lotta No Tav per acuire lo scontro contro lo Stato e trasformare il cantiere della Maddalena in un campo di addestramento per la lotta antagonista ed insurrezionalista europea?», si chiedono sul fronte dei Sì Tav. «Quale manina esterna sta appiccando i roghi nelle aziende per giustificare la repressione e far dimenticare la posta in gioco di un’opera costosa, devastante e inutile?», accusano i leader storici del movimento No Tav. Quale che sia la verità, una cosa è certa. Il clima è esasperato e mantenere una posizione equilibrata fra Avigliana e Venaus è impresa ardua.
Chi ritiene che il progetto definitivo, sottoscritto da un accordo italo-francese nel 2012, non abbia un impatto ambientale devastante, anzi, perché sono state messe in atto tutte le verifiche per evitare di trovare incognite nella montagna, non vuole sentire ragioni. Dopo vent’anni di conflittualità, il partito Sì Tav pensa che sia arrivato il momento della tolleranza zero contro ogni forma di sabotaggio e opposizione alla realizzazione della Tav. Chi invece, la considera un’opera inutile, costosa, che nasconde molti illeciti, continua a ribadire che in Val di Susa ci vogliono più scuole e ospedali, servizi e investimenti per ridurre la disoccupazione. Come se servizi e grandi opere fossero binari interscambiabili.
Certo, quando e se la tratta dell’alta velocità sarà operativa, forse nel 2030, il flusso di merci fra Francia-Italia, per ora stimato sui 150 miliardi di euro, potrebbe non essere più tale. E inoltre, per coprire i finanziamenti di 8,2 miliardi di euro previsti per la tratta internazionale fino a Susa, ci vuole il nulla osta dell’Unione europea, che deve metterci il 40% dei fondi. Un nulla osta, che è sempre dietro l’angolo, eppure non arriva mai. A inseguire i tecnicismi ci si perde, perché oggi i lavori in corso nel cantiere della Maddalena, che gli antagonisti hanno cercato, invano, di trasformare nella “Libera repubblica della Maddalena”, sono diventati una partita giocata su diversi tavoli, dove l’aspetto ambientale o la sostenibilità economica, appaiono secondari.
Per lo Stato, che non vuole essere ostaggio di una valle, è diventato un problema di ordine pubblico. Per l’ala più radicale degli attivisti No Tav, una palestra per l’antagonismo italiano ed europeo. Per i lavoratori e gli imprenditori, che lavorano nella buca scavata sotto il raccordo autostradale della Torino-Bardonecchia, più volte assediato e attaccato da guerriglieri in erba e reduci di rivoluzioni mancate, una trincea. Per gli intellettuali, un sipario dove cercare le luci della ribalta o mettere in scena le proprie convinzioni.
Lo scrittore Erri De Luca, scrive e ribadisce il diritto al sabotaggio, che appartiene alla storia della lotta operaia. Il filosofo Gianni Vattimo difende gli attivisti finiti in carcere dall’accusa degli inquirenti di aver commesso atti eversivi, mentre l’attore Ascanio Celestini parla della difesa del territorio e lo scrittore Mauro Corona equipara la Tav a uno stupro della Val di Susa. E così, purtroppo, questo conflitto, troppo esasperato, per poter rientrare su un altro binario, quello della dialettica democratica, rivendicata, in modo legittimo, dal movimento pacifista No Tav, risente di questo clima. I fondamentalisti su entrambi i fronti parlano di guerra, e ogni dubbio viene respinto con furia. Le comunità sono divise, dilaniate da un conflitto culturale, quasi morfologico. Figli contro i padri, vicini che si guardano con sospetto, sindaci che scelgono da che parte stare anche per opportunità politica. E magari ufficialmente dicono di essere contrari alla Tav, per evitare di essere contestati, minacciati, ma poi confidano, privatamente, di non avere alcuna riserva verso il progetto definitivo, mentregli altri sindaci, in cambio di una compensazione, fanno buon viso a cattivo gioco. Anche se nei due Comuni direttamente coinvolti, Chiomonte (dove si trova il cantiere del tunnel esplorativo, geognostico), e Susa (dove verrà costruito quello per il tunnel di base), le amministrazioni locali hanno sposato la fede Sì Tav.
Perché di fede si tratta ormai, ed è difficile capire dove inizia il bene e dove finisce il male. Dove inizia la ragione e dove finisce il torto. A scorrere le pagine delle diverse ordinanze di custodia cautelare, che hanno portato in carcere numerosi attivisti No Tav, fra il 2011 e il 2013, si vede a occhio nudo un’evoluzione delle forme di boicottaggio, ormai di natura eversiva. Il procuratore generale Gian Carlo Caselli evoca lo spettro degli anni di piombo, uno schema investigativo a cui molti non credono, e pochi giorni fa don Ciotti, anima incorruttibile della lotta alla ’ndrangheta, si è esposto per denunciare la violenza ed esprimere solidarietà alle forze dell’ordine, agli operai, agli imprenditori, vittime del conflitto. Pur ribadendo il suo diritto alla disobbedienza civile e pacifica contro un’opera pubblica, che considera dannosa e nociva.
Ma nel frattempo è iniziato il conto alla rovescia dei giorni che mancano per far entrare in azione la fresa, che tutti chiamano talpa, per scavare nelle viscere della Clarea, e terminare il tunnel esplorativo. E una volta messa in moto la talpa, per ragioni tecniche, sarà più difficile giocare a fare la guerra e trasformare il cantiere in una trincea e/o fortino militare da espugnare. Ecco perché gli inquirenti, che battono soprattutto la pista investigativa indirizzata verso la galassia anarchica (ma non solo), per rompere il pericoloso sodalizio fra una minoranza radicale valsusina e antagonisti forestieri, guardano con preoccupazione a questo testo, dal titolo apparentemente innocuo: La Lavanda. Dove nel 2011 viene tracciato un percorso di lotta, in nome della guerriglia partigiana e con lo scopo di arrivare a un’insurrezione generale (sic!).
E così, se il sonno della ragione genera mostri, guai a dire ai luddisti del terzo millennio che forse si stanno prestando a una partita più grande di loro. Interna alla sinistra, fra diverse anime del Pd, che governa comuni e buona fetta degli organismi territoriali e imprenditoriali. Giocata in modo azzardato dal M5S, che punta come sempre sulle contraddizioni della “casta” dei partiti per aumentare il suo bacino elettorale. E anche fra lobby territoriali, che aspirano alla conquista della loro “nazione” nel Risiko degli appalti. Infatti pochi giorni fa il Consiglio regionale del Piemonte ha deciso di formare una commissione antimafia, composta dal presidente del Consiglio, Valerio Cattaneo, e i due vicepresidenti: Fabrizio Comba (Pdl) e Roberto Placido (Pd). Con la collaborazione del pool guidato da Gian Carlo Caselli per vigilare sugli appalti da assegnare. La posta in gioco è alta e, mentre la recessione fa diminuire gli scambi delle merci, si fa più agguerrita la competizione fra la lobby del partito della gomma, che sta raddoppiando il traforo autostradale del Fréjus e quella dei binari, delle ferrovie italiane e francesi, che si contenderanno il traffico import-export. Ammesso e non concesso, che nel 2030, dopo che verranno realizzati quei benedetti (o maledetti) 12 chilometri di Alta Velocità, (45 in Francia) non sia già stato inventato il teletrasporto.
Twitter: @GiudiciCristina