Dimissioni. È questa la parolina magica che continua a risuonare nella testa di Silvio Berlusconi rinchiuso nella sua villa di Arcore, in attesa che la giunta per le immunità decida sulla sua decadenza dal Senato. Le «dimissioni» da senatore infatti – opzione che il Cavaliere ha continuato a escludere in questi giorni con i suoi – sono in realtà l’unica vera via di fuga dall’impasse che sta tenendo con il fiato sospeso il governo di Enrico Letta e l’Italia.
E forse potrebbero rappresentare persino il modo per addolcire le posizioni del Colle su una possibile «grazia» nei prossimi mesi, quando la situazione si sarà tranquillizzata. Berlusconi, secondo fonti del Partito Democratico, potrebbe “spacciare” l’addio come «una scelta di salvezza per l’Italia» aprendo così spazio a una nuova fase della politica italiana. Nel centrodestra c’è chi prevede le dimissioni del Cavaliere già per questa settimana. Forse in quel famoso videomessaggio ancora nel cassetto.
Dopo il travagliato inizio della discussione nella giunta di palazzo Madama, i venti di crisi di lunedì sembrano essersi placati e si vocifera che il leader del centrodestra stia prendendo atto della situazione. In sostanza, di non avere più carte da giocare, anche perché passerebbe alla storia come il responsabile di una crisi di governo dagli esiti «economici» e «internazionali» ancora incerti. Sia per l’Italia sia per le sue aziende. Per questo motivo Berlusconi – che per domani ha disdetto la riunione con i parlamentari del Pdl – starebbe tornando a più miti consigli.
A quelli, in sostanza, che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli aveva fatto recapitare già nel mese di agosto. E che Emanuele Macaluso, ex direttore dell’Unità e del Riformista, amico del Capo dello Stato, gli ha riformulato in un’intervista a Repubblica: «Un attimo prima che il presidente apra le votazioni, il Cavaliere si dimetterà, non darà mai al centrosinistra la soddisfazione di finire sotto i colpi di una votazione che lo dichiari incandidabile».
È una frase che Berlusconi si è riletto più di una volta a villa San Martino. Che i suoi, da Sandro Bondi fino a Daniele Capezzone, hanno stigmatizzato per tutta la giornata attaccando Macaluso («Ha l’anima del vecchio Pci»). Ma che forse racconta più di mille verità sulla trattativa che in questi mesi si è aperta tra il Colle e il Cavaliere. Perché una trattativa c’è stata. C’è, esiste, ma riceve contraccolpi ogni giorno, rappresentati dall’umore altalenante di Berlusconi, pronto a seguire i falchi o le colombe in modo disordinato e confuso.
A quanto pare Napolitano, che fu più che mai chiaro nel comunicato del 13 agosto su grazia e clemenza,non ha tollerato un aspetto della trattativa: Berlusconi avrebbe rivendicato troppo. Per questo motivo, in queste giornate così convulse, tra inutili ricorsi alla Corte di Strasburgo e una giunta delle immunità parlamentari più che mai incandescente, ha fatto scalpore il passo indietro di domenica di Luciano Violante («Inutile il ricorso a Strasburgo»), il giurista che in questi mesi si è più dato da fare con il Capo dello Stato per salvaguardare l’esecutivo e permettere al Cavaliere un’uscita di scena non traumatica.
I granelli di sabbia nella clessidra continuano a diminuire. La decadenza è a un passo. All’interdizione manca un mese: il Cavaliere non può più aspettare. Le schermaglie in giunta potrebbe ro continuare ancora a lungo, ma l’esito appare ormai scontato. Ma il braccio di ferro è ormai solo quello tra Napolitano e Berlusconi, con il primo fermo sulla sua posizione ribadita anche nella giornata di oggi («Se noi non teniamo fermi e consolidiamo questi pilastri della nostra convivenza nazionale tutto è a rischio, tutto può essere a rischio») e il Cavaliere ancora malfidente. Del resto, secondo quanto riportano i retroscena di Arcore da alcuni giorni, sarebbero gli stessi figli di Berlusconi a voler chiedere la grazia per il Padre. Non è detto però che il leader del centrodestra, alla fine, non pensi di ribaltare il tavolo al grido di «muoia Sansone con tutti i Filistei».
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