L’Ue vara il Piano per l’acciaio, qui si spegne tutto

Acciaio, l’Europa è il 2° produttore

L’Italia rischia di uscire dal mercato dell’acciaio in un momento strategico per il futuro di tutto il comparto. Lo stop agli impianti posseduti dalla famiglia Riva potrebbe impedire al nostro tessuto produttivo di cogliere un’importante opportunità in arrivo da Bruxelles. I vertici dell’Unione Europea hanno infatti deciso di puntare tutto sull’acciaio, la siderurgia e l’industria pesante rientrano a pieno titolo nel futuro prossimo di tutta l’Ue. Durante il Consiglio Europeo convocato a Bruxelles il 27 e 28 giugno 2013 è stato deciso di avviare un programma di potenziamento dell’industria siderurgica comunitaria denominato “Piano d’azione della Commissione Europea per l’industria dell’acciaio”.

Il primo piano europeo dell’acciaio dal famoso “piano Davignon” con il quale negli anni ottanta venne coordinata la riduzione della produzione siderurgica, una rivoluzione copernicana che puntò tutto sui grandi gruppi in grado di incidere a livello globale.

L’obiettivo del Piano è quello di invertire la tendenza al declino del ruolo comparto in Europa portando il suo contributo al Pil dall’attuale 15,2 per cento al 20 per cento entro il 2020, puntando sul rilancio della domanda interna. Un fenomeno macroeconomico che dovrà essere accompagnato da importanti azioni in grado di stimolare il settore delle costruzioni e quello dell’industria automobilistica, due tra le attività maggiormente colpite dalla congiuntura.

L’Unione Europea intende anche favorire l’accesso ai mercati internazionali dell’acciaio prodotto in uno dei ventotto Paesi, presenza che sarà raggiunta attraverso un miglioramento della qualità del prodotto finito ed un abbattimento dei costi di produzione da raggiungere attraverso una politica di contenimento delle tariffe energetiche. La domanda di acciaio europeo è oggi del 27 per cento inferiore rispetto ai trend precedenti l’attuale situazione di congiuntura. Tra il 2007 e il 2011, l’occupazione è inoltre calata del 10 per cento. L’Europa, tuttavia, è ancora il secondo produttore di acciaio a livello globale, con una produzione di 177 milioni di tonnellate all’anno, pari all’11 per cento del totale mondiale. Sono oltre 360mila le persone occupate in questo settore strategico che deve fare i conti con la concorrenza cinese e statunitense, realtà in grado di competere sia per quanto riguarda la qualità che la quantità. Secondo le ultime previsioni Ocse, la produzione di acciaio dovrebbe salire a 2,3 miliardi di tonnellate entro il 2025, rispetto alle 1,9 prodotte oggi.

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Il “Piano” europeo si inserisce in un trend in grado di apportare sicuri benefici alle economie di tutto il Vecchio Continente, Italia compresa. Il Belpaese ha il dovere di non farsi cogliere impreparato, Bruxelles sembra infatti disposta a permettere l’impiego di notevoli quantità di denaro pubblico per garantire la riuscita dei suoi progetti nel campo della siderurgia. I finanziamenti – che sarebbero garantiti dalla Banca europea per gli investimenti e dagli Stati nazionali – dovranno essere impiegati per l’abbattimento dei costi energetici e per l’ammodernamento delle linee di produzione, due problemi che sembrano richiamare quanto succede da mesi a Taranto e nelle altre acciaierie presenti in Italia. Stabilimenti in cui si è sempre registrata la mancanza di investimenti volti ad un contenimento delle emissioni di anidride carbonica e delle polveri sottili, lacune che hanno finito per causare un aumento dell’incidenza di alcune gravi patologie.

Il denaro pubblico – sempre in base agli intendimenti dell’Ue – potrà essere destinato anche all’abbattimento dei costi energetici, un altro storico gap del nostro tessuto industriale. Difficoltà che hanno un’incidenza maggiore in certe zone del Paese: il prezzo dell’energia elettrica non è infatti lo stesso in tutte le Regioni. Uno dei livelli più alti si registra in Sardegna; qui gli statunitensi di Alcoa hanno deciso di abbandonare le fabbriche di Portovesme proprio per l’eccessivo costo dell’energia elettrica. Un problema che oggi si potrebbe aggirare riconvertendo lo stabilimento del Sulcis – passando quindi dall’alluminio all’acciaio – e inserendolo nell’ambizioso progetto comunitario. Si eviterebbe di cadere nuovamente vittima delle procedure di infrazione relative alla concessione di aiuti di Stato.

Il governo di Enrico Letta può cogliere la palla al balzo per tornare a parlare di politica industriale, una materia da troppi anni affrontata senza una strategia chiara. La siderurgia e gli impianti di Taranto e Genova sono fondamentali per tutto il sistema economico nazionale, in ballo non ci sono solo oltre ventimila posti di lavoro. Non possono essere tralasciati i dati relativi all’indotto, alle esportazioni ed alla “dipendenza tecnologica” di chi si è sempre approvvigionato con acciaio prodotto in Italia. Rimanere spettatori impassibili non farà altro che favorire i nostri concorrenti o, peggio, favorire la delocalizzazione in quei Paesi dell’Unione Europea che si dimostreranno in grado di declinare adeguatamente il Piano voluto da Bruxelles.
 

Twitter: @MatteoMascia

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