Merkel vince le elezioni che cancellano i suoi alleati

Lo speciale sul voto in Germania

Angela Merkel ha vinto le elezioni tedesche? A guardare le percentuali delle preferenze, si direbbe di sì: con il 41,5% dei voti, i 311 seggi della sua CDU/CSU (su 630) sono la rappresentazione più palese del suo successo. Angie è entrata nel novero dei “grandi cancellieri”, in gradi di farsi assegnare dal popolo più di due mandati – prima di lei, c’erano riusciti Adenauer, Schmidt e Kohl. Angela è da così tanto al governo, che rappresenta appieno la rinascita tedesca.
Forse è addirittura da troppo tempo al governo: il settimanale satirico “Titanic” nel programma elettorale del suo partito “Die Partei” (che si presenta alle elezioni dal 2005) ha proposto di “processare Angela Merkel come Mubarak, naturalmente in una gabbia” (punto 12 del programma). 

Eppure, la vittoria di qualcuno significa la sconfitta di qualcun altro – e qui iniziano i dubbi sulla vittoria di Angela. Il principale partito dell’opposizione, i socialdemocratici, è stato spinto dal candidato cancelliere Peer Steinbrück al 25,7% delle preferenze, con un miglioramento del 2,7% rispetto alle elezioni del 2009. I veri “sconfitti” sono stati i liberali, che non hanno neanche passato la soglia del 5% per entrare nel Bundestag, dopo aver perso il 9,8% dei voti rispetto al 2009. I liberali sono stati gli alleati di governo della CDU/CSU in quest’ultimo mandato, e il loro tracollo sembra confermare la “maledizione di Angie”: chi la tocca, muore.

Ovviamente ciò non esclude di dover riconoscere le grandi qualità della cancelliera, che “non sbaglia mai” e sembra diventare più brava ogni anno che passa. Ma, a detta dei critici, Angela Merkel è estremamente abile nell’applicare i precetti più classici del “divide et impera”. Ascesa alla guida del partito in un periodo di grave crisi dello stesso (uso allegro della tesoreria), Angela è riuscita a spaccare la concorrenza di un patto all’interno del partito, che riuniva una dozzina (ma sembra anche diciassette) di uomini i quali si erano promessi di aiutarsi a vicenda già dai tempi dei movimenti giovanili. Il patto, noto come “Patto delle Ande”, era stato chiuso nel 1979 su un volo notturno tra Caracas e Santiago del Cile – e nulla ha potuto per bloccare la candidatura di Angela Merkel otto anni fa.

Nell’ultimo governo Angela ha assegnato ai liberali tre ministeri importanti: sanità, esteri e industria. Il primo ministero è una fonte assai fertile di grane di ogni tipo, per via dei costi e di un sistema di assicurazione sanitaria basato su due classi (privata e pubblica), ottimo per far imbufalire i meno abbienti. Gli altri due ministeri sono orientati verso l’estero, con l’industria che, in Germania, si occupa prevalentemente di esportazioni. Ogni volta che c’è stato un problema internazionale, la colpa è ricaduta sui liberali, senza che Angela muovesse un dito per difenderli – è stato il caso delle incertezze sull’intervento in Libia o sull’appoggio alla coalizione europea contro Assad in Siria; e dell’imbarazzo per le esportazioni di prodotti militari all’Arabia Saudita.

In patria, poi, Angela ha dipinto i liberali come “coloro che non vogliono la rivoluzione energetica”. L’FDP si è speso più e più volte per ribadire come i costi degli incentivi rinnovabili stessero provocando pesanti ricadute sui costi della bolletta. Angela si è limitata ad annusare l’aria che tirava dal paese, e – dopo Fukushima – ha deciso di indire in tutta fretta un’uscita dal nucleare. Nel frattempo, sfruttava la scusa liberale per ridurre gli incentivi.

Che possibilità di governo si aprono adesso? Con gran sorpresa di molti italiani, una coalizione delle opposizioni (SPD, Verdi e sinistra radicale dei Linke) dovrebbe essere esclusa – o almeno ciò è quanto sostengono pressoché tutti gli analisti politici tedeschi. Nella paura del tracollo, i tre partiti di sinistra hanno fatto a gara di promesse, tra pensioni minime da 1.050 euro e altro ancora, raggiungendo l’inconciliabilità dei programmi elettorali. È da escludere che i partiti dimentichino le promesse elettorali in maniera così deliberata, visto che l’elettorato tedesco ha memoria lunga e non perdonerebbe mai simili tradimenti.

Si può parlare solo di alleanze singole con la CDU/CSU, e i due partiti candidati sono i socialdemocratici e i verdi. Sullo sfondo rimane sempre la sensazione che sarebbe meglio evitare di avvicinarsi troppo ad Angela, per evitare di fare la fine di Icaro. I verdi hanno evitato nel corso di tutta la campagna di criticare il governo – non hanno neanche parlato troppo male dell’austerity – e sembra ci siano anche forti punti di contatto con la CDU/CSU. L’uscita dal nucleare è stata già assorbita. Entrambi i partiti vogliono più rinnovabili, e ci sono punti di contatto su quote femminili, riduzione degli allevamenti in batteria, salvataggio dell’euro.

C’è però un rischio: con tutta probabilità, il “business as usual” che ha caratterizzato la politica tedesca negli ultimi otto anni non potrà andare avanti. Gran parte del successo attuale della cancelliera dipende dalle riforme introdotte dall’SPD negli anni Duemila, ma ci sono altre priorità all’orizzonte. Il sistema lavorativo ha imposto la cristallizzazione di un mercato del lavoro con oltre sette milioni di “working poor” – una vergogna per un paese ricco come la Germania. L’eccessiva esposizione alle esportazioni potrebbe poi essere un problema se i BRIC dovessero rallentare. Sarà in questo mandato che si deciderà se la Germania sia davvero diventata un “grande paese”, o se si sarà limitato a godere della gloria effimera di una congiuntura economica favorevole. In fondo, dipende da Angela.

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