Riforme, il percorso al Senato parte già lento e zoppo

Non è chiara la ragione delle modifiche

Martedì 15 ottobre è ricominciato in Senato l’esame del ddl costituzionale che modifica la procedura di revisione della Costituzione. Il disegno di legge è a metà strada per l’approvazione. Se Palazzo Madama dovesse approvare per la seconda volta il testo mancherebbe solo l’ultimo passaggio a Montecitorio. Dopo quattro via libera alla medesima versione del testo – il quarto dovrebbe arrivare a dicembre – il ddl entrerà in vigore. A quel punto si potrebbe usare la nuova procedura per approvare le riforme elaborate dai “saggi” nominati da Napolitano e presentate dal ministro Quagliariello – sempre martedì – a deputati e senatori. Riforme istituzionali, che prevedono modifiche ai titoli I, II, III e V della seconda parte della Carta.

Attualmente la revisione costituzionale è disciplinata dall’articolo 138 della Carta che prevede due letture per ogni camera a distanza almeno di tre mesi. La legge di modifica può essere sottoposta a referendum popolare se, entro tre mesi dall’approvazione, lo richiedono un quinto dei membri di una Camera, o centocinquantamila cittadini o, ancora, cinque consigli regionali. Non è previsto alcun quorum. Se, tuttavia, la legge di modifica della Costituzione è stata approvata dai due terzi dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione, allora non è possibile chiedere il referendum.

Il ddl in discussione al Senato interviene principalmente su tre aspetti della revisione costituzionale. In primo luogo prevede l’istituzione di un Comitato parlamentare per le riforme costituzionali, composto da 20 senatori e 20 deputati (più i due presidenti delle commissioni Affari Costituzionali), nominati rispettando da un lato il criterio della consistenza del gruppo parlamentare di appartenenza, dall’altro quello della percentuale di voti ottenuta alle elezioni. Compito del Comitato è vagliare le proposte di modifica della Costituzione (e anche della legge elettorale, per evitare incoerenze). Entro sei mesi trasmette i progetti esaminati alle Camere. Queste hanno un tempo massimo di 18 mesi per concludere i lavori parlamentari relativi.

Seconda novità rilevante è il dimezzamento del tempo che deve trascorrere tra la prima e la seconda lettura in ogni Camera. Si passa dagli attuali tre mesi a 45 giorni. Infine è previsto che il referendum confermativo possa essere chiesto – con le stesse modalità – anche se il ddl costituzionale è stato approvato con una maggioranza dei due terzi dei voti.

Queste modifiche aprono una serie di interrogativi. «Innanzitutto va chiarito che non si tratta di modifiche definitive», spiega il professor Vittorio Angiolini, avvocato e costituzionalista. «Questa è una deroga alla disciplina contenuta dall’articolo 138 della Costituzione. Vale solo ed esclusivamente per questo specifico caso. In futuro altre eventuali revisioni non passeranno attraverso un Comitato, con tempi dimezzati e la possibilità di chiedere un referendum confermativo anche se le aule hanno approvato con i due terzi dei voti. Esistono due casi assimilabili, del 1994 e del 1997, ma rimane molto dubbio se tale procedimento sia legittimo. L’unico precedente giuridico è molto vecchio, una sentenza dell’Alta Corte Siciliana – una specie di Corte Costituzionale apposita per la Sicilia, che cessò l’attività nel 1957 ndr. – che nel 1948 bocciò per incostituzionalità un progetto simile».

I due esperimenti del ’94 e del ’97 non furono mai vagliati dalla Consulta?
No perché si rivelarono due fallimenti. In entrambi i casi le riforme costituzionali non arrivarono mai al traguardo. Queste deroghe alla disciplina del 138 portano sfortuna. O meglio, nascendo da situazioni particolari e complicate, è difficile che abbiano buon esito.

Non è un controsenso applicare la disciplina ordinaria di revisione costituzionale per modificare proprio la stessa materia? Si allungano i tempi in nome di un accorciamento dei tempi.
È assolutamente irrazionale. Se ci fosse un accordo tra i partiti invece di sprecare quattro letture per modificare l’articolo 138, e poi modificare il resto tra Comitato e Parlamento con altre quattro letture (ancorché con tempi dimezzati), utilizzerebbero subito la disciplina attuale per le modifiche sostanziali. Senza contare che da un lato dimezzano i termini, dall’altro prevedono fino a 18 mesi di tempo per completare i relativi lavori parlamentari. Io vedo due aspetti particolarmente gravi in questa vicenda. In primis la deroga al 138, per fare una legge di rottura costituzionale. Non c’è alcuna ragione che la giustifichi, visto che le esigenze di celerità sono appunto un controsenso. Si vuole modificare la Costituzione in un modo diverso da quello previsto dalla Costituzione stessa, ma perché? Secondo me la ragione è che si vuole svilire il ruolo della nostra Carta.

Il secondo aspetto?
Il secondo aspetto è la modifica relativa al referendum. Anche qui il legislatore si comporta in modo contraddittorio. La ratio della norma nella sua formulazione attuale è garantire che il Parlamento non faccia cose invise al popolo italiano, per questo si chiede una soglia dei due terzi per evitare la consultazione popolare. Eliminando questa parte è come se si ammettesse che i due terzi delle forze parlamentari non sono sufficientemente rappresentativi degli italiani. Ma allora perché vogliono modificare la Carta se non si ritengono rappresentativi? Ancora una volta, è una contraddizione incomprensibile.

Da alcuni partiti, in particolare dal Movimento 5 Stelle, sono arrivate proteste – anche eclatanti – e grida d’allarme. Considerato che, a parte il dimezzamento dei tempi, le prerogative del Parlamento non sono compresse dall’esistenza del Comitato, non si tratta di esagerazioni?
L’allarmismo secondo me è in parte ingiustificato ma non del tutto. Non ho grandi simpatie per Grillo, ma capisco un po’ la reazione. Perché le forze di maggioranza si stanno comportando in questo modo? Il sospetto è che ci sia un retropensiero di delegittimazione delle istituzioni costituzionali. Inoltre poter continuare a dare la colpa alla Costituzione per mascherare la propria inabilità a governare è un gigantesco alibi.

Twitter: @TommasoCanetta

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