E Obama attaccherà Assad. Forse. I colpi di scena degli ultimi giorni hanno reso questa certezza meno “certa”, costringendoci a tenere il fiato sospeso ancora un po’ di tempo. E al giorno d’oggi di tempo ne basta davvero poco per animare giganteschi dibattiti su internet e sulle televisioni tra interventisti e non interventisti, pacifisti, attivisti, ricercatori, in un ventaglio di opinioni che ci fa rimpiangere i tempi dell’attacco all’Iraq del 2003, quando le posizioni erano nette. Pro o contro. E, diciamocelo, la faccia e la retorica di Bush rendevano la scelta assai più semplice.
Io, che ho seguito questi due anni di conflitto per mestiere ma anche perché in Siria ci ho vissuto e ne conosco la gente e i luoghi, un’opinione definitiva sull’eventuale attacco americano ancora non ce l’ho. Ma nel frattempo sto osservando uno dei dibattiti pro-o-contro intervento più incredibili e interessanti degli ultimi anni. Gli schemi e i filtri consolidati dagli anni Novanta – e spesso anche da prima – stanno andando in pezzi, creando un circo di contraddizioni e paradossi.
Destano meraviglia i rinati pacifisti, le stesse facce, un po’ invecchiate, con cui esattamente dieci anni fa condividevo le piazze italiane per marciare contro l’attacco dell’America di Bush all’Iraq. «Non vogliamo un’altra guerra», affermano in tv e scrivono su internet. Come se la guerra non ci fosse da due anni. Come se 100 mila morti e due milioni di profughi non sono nulla se non sono stati macellati e privati delle proprie abitazioni da un Tomahawk statunitense. Naturalmente tra questi c’è qualcuno vagamente consapevole che già da un po’ muoiono quotidianamente centinaia di persone e milioni di profughi fuggono dal Paese. Per loro però bisogna «cercare una soluzione diplomatica», rendendo palese il fatto di aver perso quegli 8-9 mesi di estenuanti e frustranti sforzi diplomatici per giungere a una conferenza di pace.
Il dubbio che queste prese di posizione siano poco il frutto di una attenta analisi della situazione siriana e molto il risultato di schemi legati all’appartenenza politica nostrana, viene definitivamente fugato dall’amico che alla fine della discussione ti punzecchia sorridendo: «ma dai, e poi lo sappiamo che a voi renziani piace buttare le bombe». Perché ovviamente la posizione su una guerra in Medio Oriente dipende dalla corrente di riferimento di un partito, in uno schema un po’ stantio in cui «vera-sinistra=pace e tutto-il-resto=guerra. Dimenticando, naturalmente, che gli unici due leader progressisti rimasti nei grandi Paesi democratici occidentali, Obama e Hollande, sono anche gli unici due decisi ad attaccare.
C’è poi chi, invece, come al solito «ha capito tutto». Questo “tutto” lo ha capito in 15 minuti su google e una rapida lettura di “qualcosa-leaks”. Lui sa che, a seconda, le vere motivazioni dell’attacco alla Siria sono il petrolio, il gas, l’uranio o perfino la kriptonite. Sa che c’è un grande “Complotto” dietro la ribellione, voluto dal Mossad, dalla Turchia, dai sauditi, da al-Qaeda, dall’Europa, e, ovviamente, tutto orchestrato finemente dalla Cia. Un’abilità sorprendente da parte di un servizio segreto che negli ultimi decenni ha preso quasi solo cocenti cantonate (Iran, Iraq, 11 settembre ecc. ecc.).
Assad nelle loro descrizioni è un grande presidente, di sinistra, anti-imperialista, molto amato dalla sua popolazione e per niente corrotto (o comunque corrotto “il giusto”, perché dai, alla fine, sono arabi). Ovviamente in tutto questo le migliaia di combattenti siriani che da un anno e mezzo si oppongono all’artiglieria e all’aereonautica del regime non c’entrano niente: nella migliore delle ipotesi sono solo burattini incapaci di intendere e volere nelle mani delle perfide forze del male occidentali; nella peggiore sono tutti fondamentalisti tagliagole.
Dall’altra parte, uscendo dalla piccola botteguccia del nostro dibattito nazionale, trovi l’attivista siriano-americano che fino a qualche tempo fa invocava l’intervento straniero contro l’esercito della dittatura e sosteneva che il disinteresse americano non era altro che l’ennesima dimostrazione che gli Stati Uniti intervengono solo se hanno i loro interessi (ammettendo, quindi, implicitamente, che in questo caso di interessi non ce ne erano). Ora lo stesso attivista pubblica grida di allarme contro l’ennesimo atto di imperialismo occidentale (motivato da petrolio, kriptonite ecc. ecc.). «I ribelli ce la faranno da soli, non rubateci la rivoluzione» è il messaggio che più o meno in queste parole trovi scritto nel blog dell’attivista siriano laico tipico (circa l’1% della popolazione, ma capaci di far credere di essere il 90%) che solitamente però scrive da posti tipo il campus dell’Università del Nebraska lasciando dubbi legittimi sulla sua profonda conoscenza dei progressi dei ribelli sul campo.
In tutto questo, bisogna dirlo, al contrario del 2003, è davvero difficile trovare qualcuno che appoggi apertamente un eventuale attacco Nato. Anche i supporter più sfegatati degli interventi in Iraq e Afghanistan oggi sono tiepidi. «Rischiamo di fare la guerra per al-Qaeda», affermano, e poi «un intervento limitato rischia di non servire a niente». Ci sono quelli che, legittimamente, ammettono la possibilità dell’intervento militare, ma solo autorizzato da una risoluzione Onu; una posizione confortevole che però, vista la sicura opposizione russa (non certo motivata dall’amore per la pace e la giustizia), rischia di essere una giustificazione dall’apparenza “morale” per continuare ad assistere impassibili al conflitto senza fine.
Insomma, non è facile avere un’opinione definitiva e consolidata sulla Siria. Io ancora non ce l’ho e sinceramente tendo a fidarmi molto di più di quelli che tentennano piuttosto che di coloro che hanno assunto da subito una posizione netta. Quest’ultima, infatti, in realtà non è quasi mai un’opinione sulla Siria, bensì sugli Stati Uniti. È triste per chi segue questo conflitto da tempo – e ha visto così tanti stati non occidentali comportarsi in modo osceno perpetrando e prolungando il massacro fra siriani – constatare che ancora, come dieci anni fa, l’indignazione, le manifestazioni, i movimenti e le coscienze si smuovono solo quando all’orizzonte spuntano stelle e strisce.
Questa tristezza l’ha espressa perfettamente sull’Huffington Post inglese Sean Lee, giovane giornalista di base a Beirut che, come molti di noi, vive questa tragedia anche dal punto di vista personale: «Per favore, non lasciate che il conflitto in Siria riguardi solo l’opporsi all’America. Lasciate che riguardi la Siria, e ciò che potrebbe aiutare effettivamente i siriani. Perché sapete, ci sono persone che muoiono a decine di migliaia in questo conflitto brutale. Ma se proprio non ci potete riuscire, allora fatemi un favore: state zitti»
La guerra fredda è finita, e anche il post-Guerra Fredda. Il mondo diventa più complesso, e forse è tempo che lo diventino anche le opinioni.
*Eugenio Dacrema, Ispi Research Assistant