È l’ora della Germania, cruciale per uscire dalla crisi dell’euro. Berlino dovrà aumentare salari e investimenti pubblici se vorrà assicurare a se stessa e all’eurozona una crescita sostenibile. Perché la crisi dell’eurozona è tutt’altro che finita, guai a rilassarsi. Con il consueto aplomb da economista tedesco, Guntram Wolff lancia un messaggio chiaro ai suoi connazionali e agli europei, a ridosso delle elezioni politiche tedesche del 22 settembre. Con un passato alla Bundesbank e alla Commissione europea, oggi è direttore del think-tank Bruegel di Bruxelles, nominato da un rapporto Usa del 2012 il migliore al mondo per gli studi di politica economica internazionale.
Direttore, è davvero così decisiva la Germania per l’economia dell’eurozona, come molti dicono?
Direi proprio di sì. Effettivamente la Germania è estremamente importante soprattutto in questa congiuntura. Perché abbia però l’impatto positivo sul resto dell’area, serve una crescita del Pil tedesco di almeno il 4% del Pil nominale, che vuol dire circa l’1% reale, e un’inflazione di almeno il 3% (mentre ora è intorno al 2%). Questo consentirebbe ai Paesi del sud Europa, ma anche alla Francia, di avere un’inflazione oltre l’1 per cento. Aiuterebbe un Paese come l’Italia ad affrontare il nodo dell’altissimo debito, che rischia invece di essere insostenibile con un’inflazione troppo bassa.
Già, ma che cosa deve accadere in Germania perché ciò si realizzi?
Anzitutto servono più investimenti pubblici. È quello che si deve fare soprattutto in un momento in cui il costo del danaro nell’eurozona è molto basso, come ora. Al momento gli investimenti pubblici in Germania sono troppo scarsi, e questo frena la crescita in vari settori. Non basta, in Germania è urgente un’ampia liberalizzazione del settore dei servizi, creando nuovi mercati e dunque possibilità di crescita. Se ciò accade, allora cresceranno anche i salari e l’inflazione.
E più consumi in Germania vuol dire più chance di export per le travagliate economie del sud Europa, Italia in testa…
Certamente. Quanto al sud Europa, del resto, c’è anche un’altra cosa importante che la Germania può fare per dare una mano: incoraggiare l’immigrazione.
Si spieghi meglio…
Vede, la Germania registra una grossa carenza di personale qualificato, che abbonda in Paesi come Spagna o Italia, dove invece c’è un crescente problema occupazionale anche per queste categorie. Ecco perché dico che Berlino dovrebbe facilitare l’immigrazione, nell’interesse suo e dei Paesi del sud Europa, che vedrebbero un alleggerimento del proprio mercato del lavoro.
Vede segnali incoraggianti in questa campagna elettorale, nel senso che lei dice?
A dire il vero non molti. Ma bisognerà vedere che accadrà dopo il voto e quale governo si formerà.
Aspettando la Germania, l’Europa dà primi segnali incoraggianti. E gli spread sono ora relativamente bassi. È finita la crisi dell’euro?
Non ancora, purtroppo, non possiamo rilassarci. Perché i dati economici che registriamo sono insufficienti per ridurre la disoccupazione nel Sud Europa, che anzi purtroppo peggiorerà con moltissime persone senza lavoro per almeno due o tre anni. Qui è uno dei grandi rischi del momento: l’instabilità politica e sociale. Sappiamo che disagio sociale e disoccupazione possono portare anche far cadere i governi o costringerli a modificare i programmi di riforma. E questo può a sua volta portare a nuove crisi nell’eurozona.
Pensa all’Italia?
No, conosco troppo poco la situazione italiana per commentarla. Il mio è un discorso più generale. Semmai, posso citare il caso del Portogallo, dove il governo è stato sull’orlo della crisi nei mesi scorsi con le conseguenti tensioni anche sui mercati. Quello che posso dire è che è per superare la crisi ed evitarne di nuove è assolutamente essenziale che ci sia continuità: questa è assolutamente necessaria a realizzare le riforme strutturali di cui hanno bisogno molti paesi, non solo nel Sud.
Quanto ci vorrà?
Dipenderà naturalmente dall’intensità degli sforzi. Certo è però che ci vorranno ancora alcuni anni.
Vede altri rischi?
Un secondo rischio è che si verifichi un «incidente» a livello finanziario. Ad esempio che una grossa banca abbia una grave crisi e che il sistema europeo reagisca nel modo sbagliato, o troppo lentamente. Per questo una questione cruciale, dopo la creazione del sistema di vigilanza Ue, è procedere finalmente a un sistema europeo di risoluzione centralizzato a livello comunitario delle crisi bancarie, che assorbirebbe gli shock per i singoli stati, aumenterebbe il credito e favorirebbe la crescita.
Peccato che sia necessario prima convincere Berlino…
Il governo tedesco ha in effetti delle preoccupazioni che non sono solo politiche, ma anche schiettamente giuridiche. I loro tecnici dicono che non si può fare senza cambiare i trattati Ue, i giuristi a Bruxelles non sono d’accordo. Certo è che la Germania dovrà accettare una ben più profonda integrazione dell’eurozona, se vorrà risolvere a fondo la crisi attuale. I prossimi mesi saranno decisivi.