Aggiornamento ore 21.32
Il consiglio di amministrazione della Carlo Tassara ha approvato il term sheet da sottoporre alle banche creditrici per ottenere la moratoria sul debito al 2016.
«Io nel 2008 non c’ero, non ero nemmeno in Italia. Zaleski non è stato finanziato soltanto da noi ma anche da altre banche». In molti hanno letto questo smarcamento dell’ormai ex consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Enrico Cucchiani, come uno degli elementi che più hanno infastidito Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza dell’istituto, accelerando l’uscita del top manager bocconiano.
Ottant’anni, appassionato di canottaggio e campione di bridge, in un’intervista al Giornale di Brescia ha dichiarato: «In questi trent’anni ho naturalmente incontrato diverse persone valide e importanti, ma due ritengo davvero eccezionali: sono Giovanni Bazoli e Giuseppe Camadini (notaio e consigliere di Ubi Banca, ndr)». Il sodalizio con il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa ha giovato ad entrambi: al primo per avere un alleato in grado di spostare gli equilibri all’interno della finanza lombarda, al secondo per poter contare su un rubinetto sempre aperto (6 miliardi di euro) e per giunta a tasso agevolato. Fino a quando il riverbero della crisi dei debiti sovrani sui corsi azionari degli istituti di credito non ha irrimediabilmente rotto il meccanismo.
Oggi il cda della holding Carlo Tassara ha approvato il piano da sottoporre alle banche creditrici (Intesa e Unicredit in testa) per ristrutturare il debito da 2,25 miliardi di euro evitando così la messa in liquidazione coatta. Pietro Modiano, manager “di garanzia” con un passato ai vertici di entrambi gli istituti, rimane alla presidenza mentre è stata accolta la richiesta di riformulare pesi e contrappesi all’interno del consiglio d’amministrazione, che ora prevede una maggioranza di consiglieri indipendenti (6 su 9) i cui nomi saranno decisi nelle prossime settimane.
In buona sostanza, il valore strategico della Tassara sta nel giardinetto delle sue partecipazioni: il 19% di Mittel – di cui Zaleski è vicepresidente – l’1,2% di Mediobanca, l’1,4% di Ubi, il 2,5% di A2a, l’1,14% di Monte Paschi, lo 0,68% delle Generali e lo 0,25% della Bpm. Quote di minoranza acquistate a debito – grazie ai finanziamenti delle stesse banche partecipate da Tassara – che hanno consentito alla holding di essere usata strategicamente per spostare equilibri all’occorrenza. Un meccanismo perverso che ora presenta il conto: il riverbero della crisi macroeconomica sui bilanci degli istituti di credito e la volatilità dei corsi azionari dei titoli bancari hanno mandato in rosso il salottino bresciano, le cui perdite sul portafoglio titoli sembra ammontino a circa 700 milioni di euro. Risultato? Nell’ultima semestrale, degli 1,2 miliardi di esposizione complessiva, Intesa Sanpaolo ne ha iscritti 800 alla voce “incagli”, crediti difficilmente recuperabili ma non persi del tutto. Gli altri grandi creditori sono Unicredit (500 milioni), Mps (200) e Ubi Banca (150).
«Intesa Sanpaolo ha bisogno di un calcio nel sedere», ha commentato oggi il Financial Times difendendo l’operato dell’ex consigliere delegato, Enrico Cucchiani. Come ha dimostrato la sua repentina uscita di scena, gestire i rapporti tra gli azionisti e le partecipazioni “di sistema” richiede un certo savoir faire. Alla luce delle dimissioni dell’ex manager Allianz, è dunque comprensibile come l’unico margine di manovra per accelerare la risoluzione della partita fosse l’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni. Piazza Cordusio ha posto due condizioni per evitare la liquidazione: la maggioranza di indipendenti – espressione dei creditori – nel consiglio di amministrazione e la disponibilità alla vendita di tutti gli asset, escluso il 48% dell’acciaieria Metalcam e l’impianto idroelettrico di Esine. Nonostante il gioiellino Alior Bank, istituto polacco controllato al 35%, in sede di Ipo abbia rimpinguato le casse con circa 200 milioni di dividendi, il gruppo minerario Eramet, di cui Tassara detiene il 13%, ha chiuso il primo semestre in perdita per 32 milioni.
Insomma, la holding è avara di soddisfazioni per i creditori. I quali hanno riservato a Zaleski un trattamento per cui imprenditori e artigiani farebbero carte false. Ad esempio, giusto un paio d’anni fa la Camuna di Partecipazioni, altra controllata dal finanziere franco-polacco, ha ottenuto dalle banche uno scoperto di conto corrente da 11 milioni di euro, pagando uno spread sull’Euribor a 3 mesi soltanto dello 0,7 per cento. Il che significa un tasso del 2,8%, all’epoca inferiore al costo della raccolta. Una corsia preferenziale non più sostenibile, nonostante i segnali della debacle fossero ben chiari a tutti ben prima di arrivare alla terza ristrutturazione del debito.
Twitter: @antoniovanuzzo