Paradossalmente, l’ingresso delle Ferrovie dello Stato in Alitalia potrebbe avere un effetto benefico sull’ex compagnia di bandiera e per il Paese: la chiusura dell’aeroporto di Linate. Sebbene la discussione sia ancora in alto mare – «si sta trattando con chiunque passi da Palazzo Chigi», ammette una fonte direttamente coinvolta nei negoziati – per la prima volta si è registrata una timida apertura da parte dell’amministratore delegato di Fs, Mauro Moretti: «Siamo un’impresa italiana e diamo contributi a tutti, in base ai limiti delle nostre possibilità». Il ventaglio di opzioni sul tavolo del premier Letta non sono poi molte: la Cassa depositi e prestiti per statuto non può intervenire in società in perdita, al contrario della controllata Fintecna, la cui mission è però la liquidazione delle società. Rimane la strada del bond convertibile: obbligazioni emesse da Alitalia e sottoscritte dal Tesoro, convertibili in azioni della compagnia al mancato raggiungimento di determinati obiettivi di redditività. In sostanza una nazionalizzazione. Come ha detto l’amministratore delegato Gabriele Del Torchio ai sindacati, servono 500 milioni: un aumento di capitale di 300 milioni, sottoscritto per metà dal pubblico e per metà dai soci, e nuove linee di credito da 200 milioni.
Secondo alcune ricostruzioni di stampa, uno dei motivi dell’impasse con Moretti riguarderebbe proprio il perimetro del suo potere d’intervento. Per il gruppo Fs, il vantaggio sta nel ridurre l’offerta sulla remunerativa tratta Roma-Milano, già coperta dall’alta velocità, pagando un prezzo irrisorio: la quota parte dell’aumento di capitale da 300 milioni rappresenta pochi spiccioli rispetto ai 2,34 miliardi che ogni anno Fs incassa dal contratto di servizio. Un bel cortocircuito: Air France, principale azionista di Alitalia, è partecipato al 15% dallo Stato francese così come le ferrovie Sncf, al 20% di Ntv, concorrente di Fs sull’alta velocità. A questo punto sarebbe l’Antitrust comunitaria a doversi esprimere a riguardo.
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Certo, togliere il principale concorrente via aria avvantaggerebbe anche la Ntv di Montezemolo e Della Valle, ma la torta è abbastanza grande per entrambi. Stando ai dati Enac 2012, il calo è costante ma si tratta comunque di un bacino da 700mila passeggeri. A Linate, invece, rimarrebbe monopolista il vettore low cost Easyjet, che detiene attualmente 7 slot ceduti da Alitalia dopo la decisione Antitrust dello scorso marzo. Ammesso che Linate serva ancora.
Salvatore Mancuso, numero uno del fondo Equinox (che gestisce parte del patrimonio di Montezemolo e Della Valle, ndr), azionista al 3,8% della Compagnia aerea italiana, ha dichiarato di recente al Messaggero: «Ammetto che siamo stati troppo proni alla strategia dei francesi, che hanno sempre spinto per un modello di trasporto regionale. Invece avremmo dovuto puntare da subito sul lungo raggio». Ugo Arrigo, docente di Finanza pubblica all’Università Bicocca di Milano, ha calcolato a proposito che : «Dal 1992 ad oggi l’offerta sui voli domestici delle compagnie europee tradizionali è cresciuta del 45%, quella su voli europei del 116% e quella sui voli intercontinentali del 146%. Inoltre nei 12 mesi terminanti ad agosto 2013 il 69% dei posti è stato offerto su voli intercontinentali, il 25% su voli europei e solo il 6% su voli nazionali. E la nostra Alitalia? Purtroppo il piano Fenice ha determinato un ulteriore disimpegno dal lungo raggio, incompatibile con l’aspirazione a riequilibrare i conti aziendali».
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Puntare sull’intercontinentale, più remunerativo, significa da un lato aprire un complesso negoziato con Air France, e dall’altro chiudere Linate. Come evidenzia uno studio Certet Bocconi, il city airport meneghino non solo è il principale concorrente di Malpensa – vedi l’apertura di 8 nuove tratte intraeuropee nel piano industriale licenziato dall’amministratore delegato di Alitalia, Gabriele Del Torchio, per non perdere gli slot – ma un vero e proprio hub per l’alleanza SkyTeam. Soprattutto da quando, nel 2010, Air France se n’è andata da Malpensa trasferendo proprio su Linate 100 voli al mese.
Sommando i trasferimenti annuali che derivano dal contratto di servizio ferroviario – esclusi i contributi in conto investimento sulla rete Rfi – e i costi della bad company post privatizzazione di Alitalia, si arriva a toccare i 15,5 miliardi di euro. C’è di più. Il danno della canibalizzazione di Malpensa è presto fatto: secondo una stima interna al cda di Sea, la società che gestisce gli scali milanesi, ogni milione di passeggeri genera circa mille posti di lavoro soltanto entro i confini dell’area aeroportuale. Tant’è che il rapporto, nello scalo varesino, è 18 milioni di passeggeri – 15mila occupati. Chissà se domattina i vertici di Alitalia e quelli di Enac ne parleranno, prima che l’ente guidato da Vito Riggio decida in merito alla continuità aziendale del vettore, conditio sine qua non per far decollare gli aerei.
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