Chi sono i maker? Che cos’è Arduino, di cui si sente parlare quando si fa l’esempio di un’idea innovativa (schede di silicio open-source) nata in Italia? Storia in tredici foto di come un’idea nata a Ivrea ha conquistato Intel.
La notizia è fresca ma è di grande rilevanza: Intel ha creato la prima scheda compatibile con Arduino, (che si chiama “Galileo”, nella foto) un’invenzione tutta italiana che ha trasformato il mondo. Un colosso mondiale dei chip inizia a guardare con interesse un progetto open-source, creato dal basso, che costa poco ed è aperto a tutti.
La storia di Arduino ha inizio nel 2001, quando la Olivetti e Telecom Italia creano l’Interaction Design Institute (nella foto, via Google Street View), un istituto in cui si studia l’interazione tra esseri umani e sistemi informatici. Siamo a Ivrea, la città che aveva già conosciuto i fasti di Olivetti ma di cui ormai non rimangono che le ceneri. Qui insegna Massimo Banzi, geniale esperto di informatica che ha «studiato elettronica alle superiori, poi ingegneria all’università ma non ho finito, perché onestamente era un po’ noioso».
L’impulso creativo gli scatta nel 2002 da una domanda piuttosto semplice. Possibile, si chiedevano, che gli studenti si occupassero di tecnologia avanzata senza aver mai programmato nulla? Che proprio lì dove si studiava l’interazione uomo-macchina le macchine non interagivano con gli uomini? (nella foto, un progetto Arduino)
Lo sviluppo è lungo, non è facile creare una scheda potente, economica e che si interfacci con Mac e PC ma nel 2005 però è tutto pronto e grazie all’aiuto di David Cuartielles, Tom Igoe, Gianluca Martino e David Mellis viene rilasciata la prima versione di questa «piattaforma di prototipazione elettronica open-source che si basa su hardware e software flessibili e facili da usare». (nella foto, il team di Arduino)
In pratica si tratta di una scheda molto economica (a partire da 30 euro), che sta nel palmo di una mano e consente di applicare sensori, attuatori e altre componenti elettroniche per poi programmarle con semplicità. Come racconta Banzi, il nome viene dal bar eporediese dove faceva l’aperitivo. (nella foto, un concept di gameboy realizzato con la scheda Arduino Uno)
Arduino irrompe nel mondo dell’informatica come un fulmine: il sistema operativo Linux aveva già abituato alla condivisione libera del software ma per l’hardware era diverso: non c’erano esempi rilevanti. La scheda quindi ha aperto una nuova tendenza dimostrando che anche cose, oggetti, circuiti possano essere in open-source. (nella foto, sculture di luce realizzate con una scheda Arduino)
A ottobre 2008 sono già stati venduti più di 50mila esemplari in tutto il mondo e il successo va di pari passo con la crescita del movimento dei makers, sostenitori del «If you can’t open it you don’t own it» (Se non puoi aprirlo non è davvero tuo), gli artigiani digitali che creano al posto di comprare a scatola chiusa dalle grandi industrie, che modificano gli oggetti elettronici per adattarli alle loro esigenze, che prendono una pianta e la fanno parlare. Non è una follia. Grazie a diversi sensori che rilevano l’umidità e la quantità di luce e acqua ricevute, Arduino è in grado di mandare i dati in Rete e di far parlare il vegetale. Poca acqua? E lui ci avvisa con un messaggio sul cellulare.
L’esplosione è dovuta soprattutto ad aver abbracciato la filosofia dell’open-source di cui Arduino è stato uno dei primi esempi di successo. La filosofia dell’apertura totale, dell’assenza di brevetti se non sul nome porta sempre più persone a modificare la scheda, migliorarla e a condividere le proprie idee. Nessuno aiuterebbe una grande azienda gratuitamente ma con l’open-source è diverso. Azienda e utenti mettono in Rete tutto, non esiste il segreto industriale e aiutare un’impresa diventa prendere parte a una causa in cui si crede e gli ideali, si sa, muovo l’uomo più del denaro.
Questa community che cresce intorno al progetto porta il team a sviluppare ben 19 schede in 7 anni. C’è il modello Uno, il più semplice e adatto ai principianti, Esplora, con sensori e controlli pre-installati, il piccolo Nano e il tondeggiante Lilypad, dedicato a essere cucito sui tessuti, e ancora il Robot, dotato di ruote e motori e pensato per automi mobili, Mega ADK, che di connette con Android, e Pro, dedicata a essere inserita in oggetti o opere d’arte. (nella foto, Arduino Robot)
C’è anche una consacrazione in ambito artistico. Nel 2011 Paola Antonelli, senior curator del Dipartimento di Architettura e Design al MoMA di New York, cura la mostra Talk to me presso il noto museo newyorkese e gran parte di queste opere avveniristiche era proprio basata su Arduino, a dire di Antonelli una delle «più importanti novità introdotte in ambito artistico nel corso degli ultimi 20 anni».
Neurotic Armageddon Indicator V1.0 from tom schofield on Vimeo.
Nel 2012 l’artista Tom Schofield realizza il Neurotic Armageddon Indicator, un timer che ricorda una bomba e segnala quanto manca all’apocalisse nucleare. Grazie ad Arduino riceve dati aggiornati dal Doomsday Clock, l’orologio simbolico creato nel 1947 dagli scienziati del Bullettin of Atomic Scientists dell’Università di Chicago per dimostrare graficamente la prossimità della fine del mondo.
MusicInk – Learn the Music, Play! from MusicInk on Vimeo.
Anche la musica sta sfruttando Arduino come nel caso di MusicInk, progetto di due studenti del Politecnico di Mlano, Gilda Negrini e Riccardo Vendramin, che hanno pensato di far suonare i disegni dei bambini. Un inchiostro conduttivo funge da sensore e ogni volta che lo si tocca, sfiora o strofina manda un impulso ad Arduino che poi lo traduce in un suono.
Tutto è bene quel che finisce bene ma questa storia in realtà continua ed è ancora meglio. Arduino oggi sta avvicinando i neofiti all’elettronica. Per iniziare basta andare qui.
Twitter: @AlessioLana