È finita l’epoca del Popolo della libertà. L’ufficio di presidenza convocato nel pomeriggio da Silvio Berlusconi avvia definitivamente il processo di rinascita di Forza Italia. Ma è finita anche l’epoca del partito senza correnti e senza dissenso. La transizione dal Pdl al nuovo movimento si trasforma in una pericolosa tregua armata. E se tra l’ala filogovernativa guidata da Angelino Alfano e gli intransigenti lealisti non si è ancora consumato lo strappo, di fatto la separazione è evidente.
Nel partito ormai la frattura appare insanabile, come dimostra un lungo pomeriggio di riunioni e minacce. Decisi a prendere tempo prima di archiviare l’esperienza del Pdl – e relativi incarichi dirigenziali – i ministri vicini ad Alfano tentano fino all’ultimo di convincere il Cavaliere ad annullare l’ufficio di presidenza. Di fronte al rifiuto di Berlusconi, si consuma il primo scontro. Il segretario annuncia che diserterà la riunione. Con lui altri cinque componenti, compreso il capogruppo al Senato Renato Schifani. È uno schiaffo al leader, che sancisce la definitiva rottura all’interno del Popolo della libertà.
Ufficialmente tutti si affannano a gettare acqua sul fuoco. Alfano parla della sua mancata partecipazione come di un «contributo all’unità del partito». In serata Berlusconi conferma che le incomprensioni non sono affatto preoccupanti. Il Cavaliere rassicura sui «contrasti che sono sicuro saranno sanati». Ma conferma anche che l’assenza dei cinque dirigenti dalla riunione è stata autorizzata con il suo «consenso». In realtà nel partito la situazione è al limite. La tensione ha raggiunto i livelli di guardia.
Durante il vertice a Palazzo Grazioli va in scena un vero e proprio processo in contumacia al segretario. Prendono la parola tra gli altri Renato Brunetta, Altero Matteoli, Elio Vito, Claudio Scajola (è il suo l’intervento più applaudito). Quasi tutti stigmatizzano l’assenza di Alfano. «Come è possibile che segretario e capogruppo disertino l’ufficio di presidenza del proprio partito, oltretutto dopo che l’organismo non si riunisce da oltre tre mesi?» si chiede uno dei presenti. C’è chi accusa Alfano di essere troppo schiacciato sul premier Letta, chi gli imputa di avere troppi ruoli e troppe poltrone.
Alla fine il documento che viene approvato all’unanimità conferma la fiducia all’esecutivo. Il futuro del governo non è in discussione, almeno per ora. Ma è chiaro che il centrodestra è deciso a continuare il pressing sull’azione di Palazzo Chigi. La decadenza di Berlusconi da Palazzo Madama rimane un momento cruciale. Se il Pd voterà il suo allontanamento dal Senato, spiega in serata Berlusconi, sarà «molto difficile continuare a collaborare con un alleato che si basa su una sentenza frutto di un disegno preciso di certa magistratura». Soprattutto l’ufficio di presidenza del Pdl avvia definitivamente il ritorno di Forza Italia e restituisce tutti i poteri al Cavaliere. Sarà Berlusconi ad avere «il diritto-dovere di delegare responsabilità e funzioni». Per Angelino Alfano è un forte ridimensionamento.
I lealisti festeggiano. L’accelerazione del passaggio al nuovo partito rappresenta una vittoria nello scontro interno con i filogovernativi. Un bilanciamento degli equilibri interni dopo il voto di fiducia al governo dello scorso 2 ottobre, inequivocabile punto a favore degli alfaniani. Oggi è il segretario ad essere sconfitto. «Volevano ritardare la nascita di Forza Italia – racconta uno dei presenti parlando dei ministri pidiellini – e non ci sono riusciti. Avevano chiesto al Cavaliere di annullare l’ufficio di presidenza e non hanno ottenuto nemmeno quello».
E così nell’ormai ex Pdl si vive da separati in casa. Uno scontro sotterraneo che sarà consumato nel giro di qualche settimana. C’è anche una data: l’8 dicembre. Giorno dell’Immacolata e del Consiglio Nazionale che dovrà ratificare le proposte dell’ufficio di presidenza. Alfaniani e lealisti si confronteranno allora. Cercando di portare dalla propria parte il maggior numero dei delegati. Gli ammessi al voto sono circa 800 (dai parlamentari ai consiglieri regionali passando per i sindaci delle grandi città e i presidenti di regioni e province).
I falchi ostentano sicurezza. Sono convinti – probabilmente a ragione – di avere dalla loro parte la grande maggioranza del Consiglio. Ma sanno anche che l’assemblea si terrà quasi sicuramente a pochi giorni dal voto sulla decadenza di Berlusconi. Una variabile che dovrebbe giocare a loro favore, finendo per ricompattare il partito attorno alla figura del leader. Calendario alla mano, non è l’unica coincidenza. Nello stesso giorno sarà celebrato il congresso del Partito democratico (chissà che la convocazione del Consiglio pidiellino non abbia anche l’obiettivo di rubare visibilità alle primarie democrat). Una data da segnare in agenda: a destra come a sinistra, quella domenica gli equilibri della politica italiana cambieranno per sempre.