All’Istituto Rizzoli di Bologna è in fase di sviluppo avanzato un innovativo sistema di gestione dei dati clinici che sfrutta alcune delle caratteristiche di interoperabilità proprie dei Big Data. Attraverso nuovi protocolli e reti condivise di informazioni, il CLIBI, ovvero il laboratorio di Bioinformatica Clinica, sta sperimentando complesse e suggestive soluzioni nello studio delle malattie rare, tra cui spicca lo strumento chiamato BioMIMs, per il cui sviluppo il Rizzoli è stato premiato dal Computerworld Honour Program del 2010. Abbiamo cercato di capire, insieme al Dott. Sangiorgi, responsabile del CLIBI e del dipartimento di Genetica Medica, a che punto sono i lavori.
L’Istituto, attraverso il suo laboratorio di Bioinformatica Clinica, si è avvicinato ai Big Data poiché aveva la necessità di sperimentare strumenti più potenti per lo studio delle basi genetiche di due malattie rare delle ossa, l’esostosi multipla ereditaria e l’osteogenesi imperfetta. I pazienti seguiti per queste patologie sono, rispettivamente, 1700 e 6o0. Aggiungendo anche i pazienti affetti da altre patologie delle ossa si arriva a un totale di circa 3500 soggetti in follow-up. Se si tiene conto che le malattie rare si definiscono tali poiché colpiscono meno di 1 individuo su 2000, questo è un ottimo campo in cui sperimentare i Big Data proprio perché gli sviluppi nelle tecnologie di analisi e recupero dei dati sono essenziali per superare le difficoltà del reperimento di informazioni. L’esigenza era inizialmente quella di raccogliere i dati clinici, distribuiti nei database di più ospedali, sui diversi membri di una stessa famiglia. Attraverso l’impegno con IBM e altri attori come la Regione Emilia Romagna, il centro di calcolo sardo CRS4 e altre aziende private, è stata promossa l’implementazione di strumenti di data analytics che sfruttano il sistema regionale Hub & Spoke, un network che vuole facilitare la comunicazione tra enti, ricercatori e pazienti riguardo alle patologie scheletriche rare.
La raccolta e la condivisione dei dati tra le strutture porterà un diretto risparmio economico. Si stima, infatti, che l’utilizzo dei Big Data permetterà di limitare il numero di esami costosi necessari in fase diagnostica, producendo un risparmio del 60% per il sistema sanitario nazionale e del 30% per quanto riguarda i costi di ospedalizzazione dei pazienti. IBM ha saputo vedere queste possibilità e ha trovato nel Rizzoli l’ideale piattaforma di test per i suoi prodotti e le sue idee: BioMIMS fa parte del programma FOAK (first-of-a-kind, ovvero “primo nel suo genere”). A proposito il Dott. Sangiorgi spiega che «con IBM abbiamo sfruttato la possibilità di collaborazione reciproca per testare assieme alcune soluzioni software per fini clinici e di ricerca sui pazienti affetti da malattie rare in follow-up presso l’Istituto Rizzoli. Ciò ci ha permesso di condurre dei test su un gruppo limitato di pazienti, di cui abbiamo informazioni aggiornate nel tempo. La sperimentazione di approcci innovativi nella gestione dei dati non è un vezzo, ma una necessità essenziale della ricerca e nella cura di questo tipo di patologie.»
In un mondo come quello delle malattie rare, o si trova il modo di comunicare con gli altri, oppure non si riuscirà mai a raggiungere il numero critico di informazioni necessarie a portare un vantaggio ai pazienti. Piccolo è bello ma nel nostro settore non funziona
Il tool sviluppato dal CLIBI si è avvalso del contributo di Amnon Shabo, capo-ricercatore del Research Lab IBM di Haifa in Israele. Shabo è infatti uno dei più grandi esperti del mondo del protocollo HL7, lo standard internazionale di riferimento per quanto riguarda l’interoperabilità dei sistemi sanitari di raccolta dati BioMIMs, insieme all’altro tool GePhCARD, è in grado di investigare le correlazioni tra genotipo e fenotipo, ovvero il rapporto che sussiste tra ciò che è scritto nei geni di un individuo e la relativa manifestazione a livello di sintomi, mettendoli in relazione con la storia familiare del paziente, il cosiddetto “pedigree”. Il sistema, che sfrutta la tecnologia dei Big Data per gestire la varietà delle informazioni raccolte, è infatti in grado di operare con tipologie disomogenee di dati, come le osservazioni cliniche e le informazioni provenienti dalle analisi genetiche Può inoltre visualizzare graficamente l’albero genealogico dei pazienti, dove ogni nodo rappresenta un individuo con tutte le sue relative informazioni. Entro un anno, verranno aggiunti i file di imaging di esami come radiografie, con relativi metadati, e informazioni provenienti da biobanche, strutture addette alla raccolta di campioni biologici come gli esami del sangue e campioni di DNA.
L’equipe diretta dal Dott. Sangiorgi, che conta al suo interno ricercatori come Marina Mordenti (protagonista di questo video prodotto da IBM) rappresenta, anche attraverso le sue prestigiose collaborazioni nazionali e internazionali, un perfetto esempio di economia della conoscenza in grado di fare ricerca scientifica con un approccio da start-up in cui al problem solving quotidiano si affianca un’attenta pianificazione e l’attenzione alla parte di gestione delle risorse. L’istituto Rizzoli dimostra, dunque, che anche in Italia si può fare ricerca e innovazione ad altissimi livelli, sperimentando soluzioni in grado di beneficiare gli utenti (pazienti, in questo caso) direttamente e in modo efficace. Gli strumenti messi a punto dallo staff del Dott. Sangiorgi, una volta estesi a gruppi più ampi e a malattie più comuni, promettono innanzitutto di rivoluzionare il modo in cui le informazioni vengono utilizzate nella sanità. Ma c’è qualcosa di più, quello del Rizzoli rappresenta, infatti, un modo di vedere i servizi offerti dal sistema sanitario non solo come un diritto dei cittadini, ma anche come una reale opportunità di crescita e sviluppo economico attraverso un nuovo modo di intendere la sostenibilità della ricerca.