Cancelliera indignata, parole dure, “inaccettabile”, “parleremo”, “questione di fiducia”. Alle volte tocca scomodare Shakespeare e il suo famoso “molto rumore per nulla” sulla vicenda del cosiddetta Datagate, lo spionaggio americano a carico di vari leader mondiali (siamo a 35). L’Europa, ancora una volta, non riesce a muoversi di concerto, e dire che gli strumenti non mancherebbero. Certo, Angela Merkel e il presidente francese François Hollande hanno annunciato una iniziativa comune per “negoziati bilaterali” con gli Usa sulla questione. Dai leader, però, hanno appena strappato nelle conclusioni del summit, un “prendiamo nota”, aggiungendo che “altri stati membri Ue sono benvenuti se vogliono aggiungersi”. Qualcuno, come il cancelliere austriaco Werner Faymann, l’hanno letta come una sorta di “avanguardia” di Parigi e Berlino, e certo Angela Merkel è stata sommersa di espressioni di solidarietà per lo spionaggio del proprio telefonino. In realtà è poca cosa.
Perché in realtà che si vada al di là di solenni moniti da parte degli europei e solenni promesse da parte degli americani è improbabile. Certo, si parla di un “codice di condotta” sullo spionaggio, uno che, ha spiegato nella notte a Bruxelles François Hollande, che dica che «non si intercettano i telefonini di persone che incontri regolarmente nei vertici internazionali». Pochino, verrebbe da dire.
L’Europa ha preferito rinunciare a misure potenzialmente molto più incisive, troppi interessi in gioco. Ci ha provato, a dire il vero, il Parlamento Europeo. Due giorni fa ha approvato una risoluzione per chiedere la sospensione dell’accordo sul trasfer dei dati delle transazioni bancarie, l’ex Swift – salvo sentirsi rispondere seccamente dal commissario Ue competente, Cecilia Malmström, che non se ne parla neppure. Ieri il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz ha chiesto la sospensione dei negoziati per un mega accordo di libero scambio Ue-Usa, ma anche qui è stata la classica vox clamantis in deserto: tutti i leader, sia il presidente del Consiglio Enrico Letta, sia la stessa Merkel, gli hanno risposto che spionaggio e negoziati sull’accordo sono cose distinte e che dunque la sua richiesta non avrà seguiti. Eppure il tedesco Schulz non ha tutti i torti quando dice: «Se la controparte in un negoziato, grazie allo spionaggio, sa già che posizione avrai al prossimo incontro, non si gioca più ad armi eguali, e non è accettabile». Sembra buon senso, ma non, evidentemente, per i leader europei – troppo giganteschi gli interessi economici in gioco.
Almeno, si potrebbe sperare in un’accelerazione, chiesta a gran voce dal Parlamento europeo e dal commissario Ue competente, Viviane Reding, sul fronte dell’approvazione dell’importante direttiva sulla protezione dei dati. Solo pochi giorni fa l’aula di Strasburgo ha approvato un testo modificato che include il diritto alla cancellazione dei propri dati da parte degli utenti, l’obbligo delle società del settore di chiedere espressa autorizzazione per l’utilizzo dei propri dati, con esplicita menzione del Foreign Intelligence Surveillance Act (Fisa), la legge Usa che copre lo spionaggio estero. E con multa salatissime (il 5% del fatturato) per le società che non si adeguino. «Per l’Europa è tempo di agire – twittava ieri la Reding – ho chiesto ai leader di essere altrettanto ambiziosi del Parlamento Europeo». Il punto è che c’è davvero da sbrigarsi, perché il Parlamento Europeo in primavera si scioglie per le elezioni di maggio. Se non ci si fa, tutto andrà alle calende greche – visto oltretutto che a fine 2014 scade anche il mandato dell’attuale commissione europea: un nuovo esecutivo a Bruxelles e un nuovo Parlamento Europeo dovrebbero quasi ricominciare daccapo.
Peccato però che neppure su questo punto ci sia davvero movimento. Molti stati membri nicchiano, incluso la Germania, e vari di loro – riferiva ieri una fonte diplomatica durante il summit Ue, «stiamo sentendo un sacco di chiacchiere del tipo “qualità prima della velocità”, “non dobbiamo fare troppo di fretta”, il che vuol dire in sostanza che si vogliono rallentare i tempi». La lobby del settore è potente, e insiste che i costi sarebbero elevatissimi, soprattutto sul fronte della cancellazione totale dei dati degli utenti. E dalla loro hanno paesi come la Gran Bretagna (che oltretutto sul fronte spionaggio è più dal lato degli Usa che del Continente), Olanda, Irlanda.
Gli Stati Uniti, insomma, possono stare tranquilli. Oltre a un bel codice di condotta, in cui si dice che “certe cose tra alleati non si fanno”, non si andrà. All’Nsa basterà evitare uno Snowden II, e stare magari un po’ più attenti. Poi, tutto come prima. Lo ha fatto capire Kurt Volker, ex ambasciatore Onu alla Nato. «Non posso credere che ci sia qualcosa terribilmente sorpreso – ha commentato laconico – come funzionario di governo per molti anni, ho sempre dato per scontato che il mio telefono cellulare e il mio account email fossero suscettibili di essere spiati». Capito il messaggio?
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