Tweet-giornalismoContro il linciaggio di Odifreddi

Sulla deriva del tweet-giornalismo

Sono rimasto scioccato dal “Caso Odifreddi”. Non assistevo a una reazione così stupida a delle parole da quando alle medie, se il professore usava la parola “pene” in accezione di molteplici sofferenze, come quelle che ti colgono quando fai l’errore di leggere quotidiani come La Stampa, quelli che si credevano più dritti ridevano grassamente dandosi di gomito sotto intendendo contro ogni evidenza che pene stesse per “cazzo”. Ridevano tronfi della loro crassa ignoranza, senza sapere che l’incapacità di capire il significato di una parola dal contesto in cui è inserita è il tipo di handicap intellettivo che un tempo portava dritto ad un radioso futuro fatto di lavori di merda.

Stando a casi come quello che ha coinvolto Odifreddi, però, va a finire che aveva ragione la “compagnia del diamoci di gomito”. Nel mondo contemporaneo non solo le competenze interpretative di base non sembrano più richieste per lavorare per i media italiani, ma a quanto pare possono avere spiacevoli esiti paradossali, come testimonia quel tizio con un dottorato in linguistica che passa silenzioso le vostre zucchine sullo scanner della Coop, rivelando la sua natura solo attraverso una t-shirt Tarski does it better. Un’altra possibilità che non possiamo affatto escludere è che scrivere editoriali per un grande quotidiano oggi sia un lavoro ben più di merda che lavorare alla cassa di un supermercato.

Il pestaggio mediatico di Odifreddi è nato quando il matematico è intervenuto in un commento sul suo blog all’interno di Repubblica.it commentando quello che era stato scritto da un utente negazionista. Lungi dall’accettare in toto le sue posizioni, diceva di condividerne alcune, quelle cioè che riguardavano delle valutazioni puramente epistemologiche.

Qui, secondo le logiche di quelli che si danno di gomito appena sentono parole che possono creare eccitazione primordiale presso una platea di minus habens, Odifreddi avrebbe già compiuto un errore capitale perché esprimere un apprezzamento, anche se circoscrivendolo esplicitamente, verso qualcuno che ha detto anche altre cose non condivisibili, equivale a una specie di peste nera intellettuale che condanna in automatico anche te a pensare tutto quello che pensa lui.

Il meccanismo è che dove non arriva la ragione, sopperisce l’appartenenza allo stesso branco. Evidenze biologiche che sostituiscono la dialettica. Il che è ok se solo hai il coraggio sostituire la stretta di mano con delle annusate di culo.

Ovviamente nessuno dei bulletti, compreso chi ha detto di averlo fatto, ha citato per intero l’intervento di Odifreddi, lo farò io nell’attesa che mi crescano i peli pubici e la tempesta ormonale mi faccia diventare uno di loro:

Caro hommequirit,

vedo che anche lei ha sollevato un vespaio, avendo toccato un nervo scoperto della storiografia relativa alla seconda guerra mondiale.
Su Norinberga, confesso di essere molto vicino alle sue posizioni. il processo è stato un’opera di propaganda. i processati hanno dichiarato, con lapalissiana evidenza, che se la guerra fosse andata diversamente, a essere processati per crimini di guerra sarebbero stati gli alleati, e ovviamente avevano ragione: non a dire che sarebbero stati processati, ma che sarebbe stato corretto e giusto processarli per quei crimini.

È vero, se la guerra l’avessero vinta i tedeschi non ci sono dubbi che i responsabili di atti come il bombardamento di Dresda, o (se in uno scenario così mutato fossero avvenute comunque) le bombe di Hiroshima e a maggior ragione Nagasaki, sarebbero stati considerati criminali di guerra. La storia funziona così, la scrivono i vincitori, benvenuti nel mondo reale.

Ironia della sorte, se c’è qualcuno che dovrebbe saperlo sono proprio le “grandi firme istituzionali” visto che è il lavoro che fanno ogni giorno. Tradurre lo schifo in cui viviamo in un pastone parzialmente commestibile, è grossomodo la stessa cosa: scrivere in tempo reale per conto dei vincitori. Riotta, ad esempio è quello che ha detto dopo lo scandalo dell’Nsa che non si trattava affatto di un Grande Fratello. Ha ragione solo per difetto, nel senso che Orwell non si era mai spinto così in là nel prefigurare il controllo tecnologico.

Il fatto che la storia la scrivano i vincitori e che molte azioni degli alleati se avessero perso sarebbero state perseguite come crimini, non significa ovviamente che questo o quel bombardamento possano essere equiparati allo sterminio di sei milioni di ebrei. Significa solo che alla fine della guerra gli orrori che finiscono in tribunale sono sempre quelli compiuti dagli sconfitti.

[(voce isterica) Ma allora la storia come la conosciamo non ha alcun senso?]

Questo è vero solo se avete sei anni o una concezione della storia che non ha nulla a che fare con quello che la storia è in realtà. Il fatto che la scrivano i vincitori è solo uno dei tanti fattori di cui dovete tenere conto quando vi avvicinate a una ricostruzione storica.
È qui necessario che io faccia un passo indietro, come dissi al mio confessore quando incominciò a tastarsi sotto la tonaca.

La storia è per definizione qualcosa di diverso dall’atto in divenire nel presente. Questo comporta che quando un atto accade la sua totalità è persa per sempre e quello che rimane può essere sempre e solo una ricostruzione, che in quanto tale è sempre qualcosa di parziale inserito a posteriori in un sistema di senso più ampio.

Questa ad esempio è la differenza che corre fra la notte di passione con una ragazza stupenda e il breve racconto stracciacoglioni che avete scritto l’indomani su quanto il vostro fosse l’amore più bello del mondo, un’insopportabile melassa che un giorno un editore senza scrupoli potrebbe riunire in un’antologia di “giovani suicidi per amore”, facendo così giungere le vostre parole a una ragazzina con i capelli viola, la quale le leggerà da un foglio elettronico fluorescente inginocchiata sulla vostra lapide ignorando il fatto che il 50% erano citazioni di Oscar Wilde rubate quando ancora i libri erano legali, prima cioè del doppio mandato presidenziale del ticket Hillary-Lady Gaga.

Le variabili sono quindi pressoché infinite. La storia non è mai fatta di verità autoevidenti, ma di un coacervo di ricostruzioni effettuate da persone che appartengono ad enti, istituzioni, o finanziate da privati, individui inseriti in diversi contesti intellettuali, sociali e politici e con un diverso grado di accesso alle fonti e con visioni del mondo diverse, accomunate solamente da una certa visione d’insieme (nemmeno questa monolitica, a dire il vero) su quale debba essere la metodologia dello storico, il suo rapporto con le fonti in primis.

Questo credo renda l’idea della differenza fra realtà dei fatti e ricostruzioni: ovviamente la forbice può essere molto ampia o anche molto stretta, di certo però non si può mai eliminare del tutto. Possiamo però avere delle coincidenze di vedute (supportate da una lettura delle fonti metodologicamente rigorosa e condivisa) che ci permette di mettere dei punti fermi. Questi punti fermi possiamo chiamarli verità storiche, questo ad esempio è il caso dell’Olocausto.
Per questo motivo al netto di tutti i distinguo metodologici non è possibile affermare che l’Olocausto non ci sia mai stato, cosa che infatti Odifreddi non ha mai sostenuto.

Ma fra prendere ogni rigo di un libro di storia come oro colato e provare a negare ogni fatto storico, compresi quelli più accertati, c’è una differenza enorme.

[Grossomodo la stessa che passa fra fare sesso solo dopo il matrimonio e girare per la strada cercando il primo cane per accoppiarsi. È chiaro invece che, come diceva Aristotele, la virtù sta nel mezzo: sposare un cane.]

Non vedere quest’enormità è alternativamente malafede o ignoranza.

Odifreddi, fra una mazzata e l’altra, aggiunge sul suo blog una rapida ma efficace esposizione dei diversi tipi di verità con i loro rispettivi gradi di approssimazione, sostenendo tra l’altro che una verità matematica ha un grado più elevato di una verità storica. Una di quelle cose di solito s’imparano in terza media, sempre che non siate un editorialista a quanto pare.

Si tratta di una questione puramente epistemologica per cui ancora una volta, nel caso ci stesse leggendo Riotta (come se Riotta leggesse veramente le cose che commenta), non significa in alcun modo che la verità storica non sia di per sé una verità, è solo necessario intendersi su che tipo di verità essa sia.

Riconoscere la natura peculiare della verità storica non significa nemmeno consegnare la disciplina all’irrilevanza o all’equivalenza delle posizioni, il che in questo caso significherebbe ammettere che ci siano uguali possibilità che l’Olocausto sia esistito oppure no. Questo è un argomento tanto facile da usare da parte di chi è preoccupato innanzitutto di “indirizzare il pensiero del popolo” quanto profondamente fallace. Come abbiamo visto, fatti storici certi esistono eccome, questo però non autorizza la fine di ogni discorso sulla storia.

Il primo punto che possiamo dare per assodato è quindi che discutere delle dinamiche dietro le ricostruzioni storiche non significa necessariamente mettere in discussione i fatti assodati attraverso lo studio metodologicamente normato delle fonti.

[«Assodati! Hi hi hi cioè come le tette: sode. Hiihihi»
«Zitto, Riotta o ti metto una nota sul registro!»]

Odifreddi continua così:

Sono anche vicino alle sue posizioni quando afferma che l’opinione che la maggior parte delle persone, me compreso ovviamente, si formano su una buona parte dei fatti storici è fondata su opere di fantasia pilotata, dai film di Hollywood ai reportages giornalistici. e che la storia sia tutt’altra cosa, e abbia il suo bel da fare a cercare di sfatare i luoghi comuni che sono entrati nel “sapere” collettivo.
lo storico Alessandro Barbero, al Festival della Mente di Sarzana, ha dedicato tre conferenze serali a smontare altrettanti miti sul medioevo, che tutti ripetono e credono storici, e sui quali invece le testimonianze storiche vanno esattamente in direzione contraria. compito suo, e degli storici in generale, è anche ovviamente cercare di capire come si formano questi miti, quando, e con quali meccanismi.

Possiamo darci tutte le arie che vogliamo, ma una delle fonti più utilizzate per una fatto storico come l’Olocausto è un film come La vita è bella, così come molto di quello che sappiamo sulla mafia italoamericana lo dobbiamo a Il padrino e quello che sappiamo sui preti che non esistono lo dobbiamo a Don Matteo.

Al netto delle occasionali riflessioni metodologiche (“la storia la scrivono i vincitori”, ad esempio), la grande maggioranza dei contenuti storici che conosciamo ci sono stati veicolati attraverso prodotti di fiction o giornalistici che per quanto abbiano delle loro regolamentazioni deontologiche o facciano talvolta uso di storici professionisti come consulenti, rappresentano una forma necessariamente ancora più approssimata, rispetto a quella accademica, della verità storica. Chiamerò per comodità espositiva questo grado di ricostruzione storica “narrativo-giornalistico” perché “Storie scritte per avere i soldi per pagare il mutuo” mi sembra un po’ estremo.

Questo livello è ciò che in massima parte forma l’opinione pubblica o doxa, se vogliamo tirarcela come giovani cultori della materia che sostituiscono lo stipendio con un’autostima tumorale, un livello presso il quale le ricostruzioni “narrativo-giornalistiche” sono ben più importanti della ricostruzione storica in senso stretto.

Questo significa allora che “Tutto quello che sai è falso”, come recitava il libro che citava ad ogni piè sospinto il tuo coinquilino complottista mentre fissava con ostilità delle cipolle di probabile origine aliena? No, non si può essere davvero così intellettualmente grezzi da sostenere una cosa del genere.

Per capire perché, vediamo il passaggio più controverso e l’unico citato dai giornalisti, il cui grado di complessità non va oltre la lunghezza di un tweet:

[«Gianni è arrivata una mail di una pagina»
«Annulla tutti gli incontri del pomeriggio, posso farcela»]

Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse “so” appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal “ministero della propaganda” alleato nel dopoguerra. e non avendo mai fatto ricerche al proposito, e non essendo comunque uno storico, non posso far altro che “uniformarmi” all’opinione comune. ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato, affinché credessi ciò che mi è stato insegnato.

Qui Odifreddi, con una professione di umiltà, una di quelle doti che ti fanno lasciare in portineria quando entri nelle redazioni dei giornali, ammette che sul tema dell’Olocausto non sa molto di più di quello che viene diffuso attraverso il grado di ricostruzione “narrativo-giornalistico” di cui parlava poco sopra.

[«La doxa!»
«Brava, ci vediamo per un apericena alle 7.30, tu porta la mia monografia su Pufendorf così te l’autografo, io porto il mio ego. Paghi tu, che mia madre mi ha ridotto la paghetta»]

Anche in questo caso, che la grande parte dell’apparato “narrativo-giornalistico” risponda su questo tema alla linea fornita dal “ministero della propaganda” alleato nel dopoguerra è difficilmente contestabile. Questo ancora una volta significa che sia necessariamente falso? Non necessariamente, si tratta piuttosto di sapere con che tipo d’informazioni abbiamo a che fare.

Odifreddi nello specifico scrive delle parole che inserite in questo contesto dispiegato appaiono sensate ma se estrapolate arbitrariamente si prestano a facili strumentalizzazioni.

Ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato, affinché credessi ciò che mi è stato insegnato.

Qui chiaramente il matematico si sta riferendo al suo rapporto con l’opinione comune, che come abbiamo visto si forma principalmente tramite il livello “narrativo-giornalistico” della ricostruzione storica. Confessa così l’appartenenza a quella condizione che sempre ci coglie di fronte a qualsiasi argomento quando navighiamo a vista nell’opinione degli altri.

Questa opinione può essere vera, nel caso dell’Olocausto come fatto storico ad esempio lo è sicuramente, ma non è in alcun modo qualitativamente identica alla conoscenza che ha dell’argomento chi invece si muove con cognizione di causa nella storiografia vera e propria e nei suoi criteri rigorosi.

Solo costui può definire la propria conoscenza dell’argomento come qualcosa di più di un’opinione comune e conoscere con precisione le condizioni della sua verità. Chi rimane in superficie deve rassegnarsi ad una conoscenza che dipende da fattori di autorità molto più che di coerenza storiografica.

Epistemologicamente parlando, quello che possediamo è un sapere che la cui validità si basa su una presunzione di onestà, quindi in buona sostanza su un atto di fede, nei confronti di quelle istituzioni che i documenti li hanno prodotti e sistematizzati in una ricostruzione storica dotata di senso.

Non c’è niente di drammatico nel rilevare quello che è l’atteggiamento con cui da non specialisti ci avviciniamo nella maggior parte dei casi alla storia e ai suoi contenuti. Ci fermiamo normalmente a un grado di “opinione comune” e rimanendo così in superficie dobbiamo anche necessariamente accettare il fatto che da un punto di vista puramente epistemologico le cose potrebbero stare in un altro modo.

La certezza della verità storica è infatti contenuta nella coerenza interna alle ricostruzioni storiografiche, ai dibatti disciplinari, al sapere specialistico, un livello più profondo della storiografia nel quale solitamente non entriamo mai, fidandoci di chi lo fa per noi. Come è giusto che sia.

L’opinione comune di cui parla Odifreddi non è quindi la ricostruzione storica propriamente detta, la cui validità non viene messa qui in discussione, quanto il mondo dell’opinione comune le cui posizioni siamo soliti accettare senza verificare (e questo non significa che siano necessariamente sbagliate).

È un discorso di metodo, non di sostanza. E quindi qui di fatto Odifreddi non ha messo neanche lontanamente in dubbio che l’Olocausto sia un fatto storico accertato.

Da come, partendo da un ragionamento che riguarda il modo con cui si creano le verità e i loro gradi di accuratezza, alcune osservazioni metodologiche e una denuncia del modo con cui siamo soliti rapportarci alla storia, si possa giungere all’affermazione pesantissima che Odifreddi sarebbe un negazionista dell’Olocausto è una cosa che si può spiegare solo in due modi: ignoranza o malafede.

Che un lettore possa non capire queste distinzioni epistemologiche basilari, ma che comunque presuppongono un certo grado di formazione, è a malapena tollerabile, anche se certo è un dato che ci interroga in modo pressante sulla grave condizione di crisi delle nostre scuole e delle nostre università.

Ma che a non capirlo, o a fingere in malafede di non capire la differenza, siano commentatori di fama, questo è un dato ben più inquietante, indice dello stato comatoso del nostro giornalismo, oltre che un altro passo per spingere il sapere fuori dal dibattito pubblico e sostituirlo con slogan plebiscitari.

Se questo è il tanto sbandierato potenziale culturale del web, ridateci i papiri.

I GIORNALISTI A 140 CARATTERI, ORGOGLIOSAMENTE SCHIERATI DALLA PARTE DELL’IGNORANZA. ANALISI DI UN LINCIAGGIO MEDIATICO

Nel nostro Paese alla fiera del “prendi una frase e strumentalizzala facendo dire a un tizio che ti sta antipatico qualcosa che non ha detto” partecipano sempre in molti, il linciaggio dopo il pallone è lo sport preferito degli italiani.

Anche se non sembriamo in grado di trovare soluzioni a lungo termine abbiamo un grande talento nel trovare dei capri espiatori, massacrarli e ricominciare da capo il giorno seguente, ma con un po’ d’infondato senso di giustizia in più. Se poi stiamo parlando di un ateo razionalista, allora parte praticamente la sagra del tiro al piccione. Immagino ci sia una newsletter per questo genere di cose.

(al posto di scrivere tutto questo papello avrei potuto limitarmi a citare il tweet di Velardi. Se ti dà dell’imbecille è probabile che tu sia un genio)

Avevo raccontato di Odifreddi sulle camere e gas http://t.co/f9eMhUx6gI . Lui protesta. E Calabresi gli risponde http://t.co/ZcVyymFXCh

— jacopo iacoboni (@jacopo_iacoboni) October 20, 2013

“Ma l’Olocausto non è un’opinione”: la replica di @mariocalabresi a Odifreddi che non sa scusarsi http://t.co/zmfN6Qf0yc @la_stampa @riotta

— Marco Bardazzi (@marcobardazzi) October 20, 2013

Olocausto, invece di scusarsi Odifreddi vaneggia di macchine del fango http://t.co/KlTnbzUKcN E sprofonda nel fango http://t.co/zmfN6Qf0yc

— Marco Bardazzi (@marcobardazzi) October 20, 2013

LO HA FATTO NERO La lezione di Mario Calabresi a Piergiorgio Odifreddi LEGGI QUI: http://t.co/O2j508nDVj

— giornalettismo (@giornalettismo) October 20, 2013

Mi cito. Tweet del 12 settembre: “Ascolto Odifreddi su Radio24. Non si offenda, io penso che sia un imbecille”. http://t.co/Dddw44JyYr

— claudiovelardi (@claudiovelardi) October 20, 2013

La Zanzara, Odifreddi e il finto Papa http://t.co/MX1MjJzDpc Oh, non lo lascia parlare. Al Papa

— guido olimpio (@guidoolimpio) October 18, 2013

Odifreddi, camere a gas, il Papa, la prefazione, tragedie della storia e fiera delle vanità http://t.co/PMqlnsFFN7 via @Giornalettismo

— Gianni Riotta (@riotta) October 18, 2013

LA ZANZARA PUNGE ODIFREDDI – UN FINTO BERGOGLIO LO CHIAMA E L ATEO MATEMATICO SCODINZOLA http://t.co/7EoX4aovUC

— Dagospia (@_DAGOSPIA_) October 18, 2013

#Odifreddi scatena la rivolta “ Camere a gas? Le conosciamo solo dalla propaganda alleata” http://t.co/MIH5ZFWMCS @jacopo_iacoboni

— La Stampa (@la_stampa) October 17, 2013

Ieri a @la_stampa eravamo tutti basiti, e è toccato a me parlarci: gli ho chiesto “Odifreddi, ma che stai a dì?!?” http://t.co/OCT3dpFy8u

— jacopo iacoboni (@jacopo_iacoboni) October 17, 2013

A partecipare alla macchina del fango contro Odifreddi sono stati in molti, ma quando c’è da prendere una cantonata grossa come una casa (possibilmente in eleganti mattoni rossi), strumentalizzare e banalizzare cercando così consenso web si può stare sicuri che c’è qualcuno che in Italia non mancherà mai all’appello, lui:

Riotta con la sua descrizione in inglese perché è international

Riotta ha preso la frase finale del commento di Odifreddi e l’ha estrapolata via Twitter facendogli così dire quello che non dice (come abbiamo visto sopra):

#Odifreddi1: “Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse “so” appunto soltanto ciò che mi è stato fornito…”

— Gianni Riotta (@riotta) October 16, 2013

#Odifreddi2: “Dal “Ministero della Propaganda” alleato nel dopoguerra. e non avendo mai fatto ricerche al proposito…”

— Gianni Riotta (@riotta) October 16, 2013

#Odifreddi3 “…e non essendo comunque uno storico, non posso far altro che “uniformarmi” all’opinione comune…”

— Gianni Riotta (@riotta) October 16, 2013

#Odifreddi4: ” ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente ..”

— Gianni Riotta (@riotta) October 16, 2013

#Odifreddi5: “da come mi è stato insegnato, affinché credessi ciò che mi è stato insegnato…”. Io credo invece Auschwitz realtá non mito

— Gianni Riotta (@riotta) October 16, 2013

Messa così, se uno non va a leggersi tutto l’intervento di Odifreddi, sembra quasi che Riotta abbia ragione, e Odifreddi, per quanto non si configuri ancora come “negazionista” propriamente detto, sembrerebbe però mettere quanto meno in dubbio l’esistenza delle camere a gas. 

È normale, tutti i pestaggi web nascono da un presupposto del genere: la frase estrapolata dal suo contesto all’interno del quale aveva un senso x, deve assumerne uno y e dove per y si intende “qualcosa che urla vendetta a dio”.

A quel punto si è pronti per creare una polemica pretestuosa di giornalisti paraculi che utilizzano tutti i trucchetti retorici da quattro soldi tipici del web, come:

Italia 2013 “Io? Io non nego mica l’Olocausto, dico solo dove sono le prove che Auschwitz sia esistita? Portatele prima, poi discutiamo no?”

— Gianni Riotta (@riotta) October 17, 2013

estremizzazione non basata sui fatti

Applausi e silenzi anche a sinistra su chi mette in dubbio l’Olocausto, l’ignoranza e l’ipocrisia si diffondono veloci

— Gianni Riotta (@riotta) October 17, 2013

Dipingersi come l’unico eroe che ha il coraggio di denunciare uno scandalo orrido e turpe. Caro Riotta, spiace deluderti ma non sei Bob Woodward, sei uno che non riesce a capire il senso di un testo di venti righe

“2/3 popolazione italiana…non arrivano al livello minimo alfabetizzazione per poter agire consapevolmente in società…” #scrive Odifreddi

— Gianni Riotta (@riotta) October 18, 2013

Appunto

Se poi Odifreddi prova spiegare anche a quelli come lui che stava facendo un discorso epistemologico su gradi di verità e logica, Riotta capisce solo “Logica” e ci aggiunge un morto per creare un po’ di emozione. Non pago, prova anche a creare un hashtag, ma siccome lui è un grande esperto di nuove tecnologie non sa che si blocca all’apostrofo

Studiavo la logica polacca Janina Hosiasson e il suo Paradosso del Corvo. I nazisti la uccisero nel 1942. #L‘OlocaustononèpropagandaAlleata

— Gianni Riotta (@riotta) October 19, 2013

ops

Se le fa e se le smentisce

.@CialeX @AnnaAscani Basta! Questa fregnaccia che uno può dire che dubita di Auschwitz perché è un matematico è una vergogna, assoluta!

— Gianni Riotta (@riotta) October 19, 2013

Infatti non l’ha mai detto

Poi si tira su le maniche si batte i pugni sul petto e dice “vi aspetto fuori” all’ipocrita mondo paludato di chi sa ancora cosa sia l’epistemologia

C’è una lista di firme che, se uno di destra avesse scritto su Olocausto come Odifreddi, sarebbe esplosa. Invece tace. È la lista Ipocriti

— Gianni Riotta (@riotta) October 20, 2013

e alla fine, dopo aver sistemato per benino le forze oscure della razionalità, Riotta confessa maschiamente l’unico metro di giudizio accettato del suo neo-giornalismo-da-twitter

C’è lista di firme che, se uno di destra avesse scritto su Olocausto come Odifreddi, sarebbe esplosa. Invece tace. È Lista Ipocriti 100 RT

— Gianni Riotta (@riotta) October 20, 2013

100 retweet!
Wow!
Ma allora deve essere vero!

Alla fine Riotta è il nuovo capo del cortile web-italiano e Odifreddi subito dopo la campanella dovrà correre in silenzio a casa ad ascoltare i Nirvana e leggere tutti quegli inutili filosofi da solo in cameretta, altrimenti mazzate.

Non pago Riotta dà il touch a Mario Calabresi che entra sul ring con una sedia in mano fra le urla di giubilo degli analfabeti di ritorno.

L’incipit a dire il vero fa sognare in un giornalismo finalmente degno di questo nome.

L’incapacità di fare marcia indietro, di rendersi conto degli errori, di scusarsi produce reazioni grottesche

Poi però a sorpresa si scopre che non sta cazziando il suo editorialista ma sta parlando di Odifreddi e la “reazione grottesca” sarebbe

dipingere La Stampa come una macchina del fango, quando ha solo fatto informazione accendendo una luce su una vera macchina di negazionismo e becero antisemitismo come quella scatenata da Odifreddi con un suo sciagurato post

Peccato che Odifreddi non abbia scatenato un bel niente e abbiano fatto tutto da soli loro per un po’ di clic e un po’ di retweet. Il seguito è comunque un capolavoro e la dice lunghissima sull’onestà intellettuale di questi soloni del giornalismo italiano.

La cui frase centrale non è chiaramente quella riportata, che da sola non giustificherebbe evidentemente lo scandalo, ma quella precedente e, siccome anch’io amo molto i contesti e detesto le estrapolazioni, vale davvero la pena rispiegare le cose dall’inizio

O bene, Finalmente! Spieghiamo perdinci!

Tutto nasce nel blog di Odifreddi, ospitato sul sito di Repubblica, dove in un dibattito sulla morte di Priebke un commentatore ha prima sottolineato il valore semplicemente propagandistico del processo di Norimberga ai gerarchi nazisti per poi definire le camere a gas impossibili «per motivi tecnici e logici oltre che storici». Il matematico non ha fatto una piega ma ha anzi chiarito: «Su Norimberga confesso di essere molto vicino alle sue posizioni. Il processo è stato un’opera di propaganda. I processati hanno dichiarato, con lapalissiana evidenza, che se la guerra fosse andata diversamente, a essere processati per crimini di guerra sarebbero stati gli alleati». Ma non bastasse ha aggiunto: «Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse “so” appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal “ministero della propaganda” alleato nel dopoguerra. E non avendo mai fatto ricerche al proposito, e non essendo comunque uno storico, non posso far altro che “uniformarmi” all’opinione comune. Ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti». 

Calabresi “ama molto i contesti e detesta le estrapolazioni”. Si badi bene lui le detesta, non è che non gli piacciono o non ci berrebbe un aperitivo assieme, lui proprio le detesta.
Deve essere per questo che pensa bene di compierne una tre righe sotto.
Lo fa quando per darsi ragione da solo leva tutta questa parte che abbiamo già visto e commentato dal pur breve discorso di Odifreddi

sono anche vicino alle sue posizioni quando afferma che l’opinione che la maggior parte delle persone, me compreso ovviamente, si formano su una buona parte dei fatti storici è fondata su opere di fantasia pilotata, dai film di hollywood ai reportages giornalistici. e che la storia sia tutt’altra cosa, e abbia il suo bel da fare a cercare di sfatare i luoghi comuni che sono entrati nel “sapere” collettivo.

lo storico alessandro barbero, al festival della mente di sarzana, ha dedicato tre conferenze serali a smontare altrettanti miti sul medioevo, che tutti ripetono e credono storici, e sui quali invece le testimonianze storiche vanno esattamente in direzione contraria. compito suo, e degli storici in generale, è anche ovviamente cercare di capire come si formano questi miti, quando, e con quali meccanismi.

Una parte che come abbiamo visto è fondamentale ai sensi del discorso perché quando Odifreddi subito dopo parla di “opinione comune” si riferisce nello specifico all’atteggiamento con cui noi accettiamo di solito questo grado di conoscenza che si forma sulla ricostruzione storica “narrativo-giornalistica”.

Se togliamo questo passaggio il discorso perde di efficacia e si presta facilmente a essere strumentalizzato e mistificato.

Calabresi poi ha buon gioco a citare documenti e libri sulla Shoah che, sempre come abbiamo visto precedentemente, appartengono però ad un altro livello del sapere, quello della storiografia propriamente detta. Oltre a ciò cita anche opere che devono essere necessariamente infallibili perché “tradotte in 27 paesi”. L’argomento di autorità in questo caso è particolarmente illuminante perché non fa altro che confermare le osservazioni metodologiche di Odifreddi ( lo crediamo perché lo credono gli altri) senza per questo inficiarne il valore di verità della ricostruzione storica.

(Nb: Riotta questa frase è meglio se la rilegge.)

In breve Calabresi accetta per vero un libro perché inserito in un sistema di garanzia in cui ha fiducia. È giusto, facciamo così con praticamente tutte le informazioni che riceviamo ogni giorno, non solo quelle storiche, e questo non significa che siano necessariamente false. Non potremmo mai verificarle tutte, non avremmo una vita. Dobbiamo fidarci.

Dopo di che Calabresi tira in mezzo una struggente testimonianza di una persona che si occupava della rimozione dei corpi delle persone gasate nei Lager, sottintendendo del tutto capziosamente che quel bruto di Odifreddi non creda che tutto ciò sia avvenuto.

Calabresi però è una persona per bene, per cui dopo aver avvallato una polemica creata dal nulla dando del “negazionista” rispetto a un crimine con 6 milioni di vittime innocenti a una persona che non lo è, offre molto generosamente a Odifreddi la possibilità di redimersi.

Come fanno sempre i poteri prepotenti e falsi ti viene offerta anche una via d’uscita da una trappola dove ti hanno messo loro, a patto, sia chiaro, di cospargerti la testa con la cenere e attendere tre giorni nella neve. In questo caso si prescrive al reprobo immaginario una visita.

Alla lapide del Portico d’Ottavia a Roma dove si ricorda che in quel luogo il 16 ottobre del 1943 vennero deportate più di mille persone, 200 erano bambini.

Ora, considerato che nessuno aveva messo in dubbio la verità storica di violenze come queste, trovo vergognosamente strumentale farsi scudo della sofferenza e della morte per coprire, con toni veementi e grondanti sangue, la propria scarsa correttezza professionale utilizzata nel montare ad arte una polemica sulla pelle di qualcun altro.

Alla fine di questa ordinaria macchina del fango Odifreddi ha scritto un altro post, dove sostanzialmente conferma la sua analisi ma chiede scusa alla sua famiglia e a Repubblica per aver avuto l’ardire di proporre un discorso di epistemologia di livello base su un media nazionale.

Il risultato del prolungato pestaggio web e stampa è quindi che un intellettuale italiano rinuncia a riproporre nel dibattito pubblico quello che viene insegnato al primo anno di università.

Una sconfitta di queste dimensioni è di una gravità assoluta, di cui purtroppo pochi sembrano rendersi conto.

Si consuma un’altra prepotente e gravissima spaccatura fra il mondo del sapere e quello dello pseudo-sapere giornalistico, dove tutto viene ridotto a slogan rassicuranti e già approvati prima di essere pronunciati, formule che risemantizzano gli istinti profondi del popolo e vengono inserite nel flusso incessante dei nuovi media alla ricerca di consenso immediato, istintivo, pre-razionale. Così…

Alla riflessione si sostituisce l’emozione,
al confine il tabù,
alla metodologia il plebiscito

E in questo panorama si consuma la crisi definitiva della figura dell’intellettuale inteso come persona in grado di problematizzare con cognizione di causa, coscienza critica capace anche di prendere posizioni impopolari nell’interesse della collettività, delle sue istituzioni e della salute dell’opinione pubblica.

Oggi il quesito principale del commentatore sembra essere: perché arrischiarmi a dire la verità se comporta meno di 100 retweet? Perché rischiare una diminuzione di popolarità da cui può conseguire una diminuzione di visibilità e un giorno magari di salario, proprio mentre fuori c’è il deserto? Peggio ancora, questo è il piano inclinato che ci porterà ad avere commentatori che questi dubbi non se li porranno nemmeno più perché semplicemente non ci arriveranno. Saranno stupidi naturali in 140 caratteri.
Oltre a ciò non si può non leggere fra le righe il fastidio di alcuni giornalisti per chi tematizza il fatto che nel modo in cui ci rapportiamo con l’apparato “narrativo-giornalistico” c’è sempre una grande dose di fede. È normale ed è sempre stato così ed è a questo che serve una deontologia di queste professioni, a fare sì cioè che noi non ci si affidi in cattive mani dato che siamo impossibilitati a verificare tutto ciò che leggiamo personalmente. L’ego-giornalista moderno però non accetta queste specificazioni che limitano il suo potere di dividere il bene dal male e indicare la via con un’approssimazione alla verità che egli ritiene debba essere pressoché assoluta.

[“Da oggi Chiamatemi RA.”
“Ok, però non sono del tutto sicuro che Twitter ti farà cambiare nome.”
“Vabbeh allora tengo Gianni. Ma avanti con la costruzione di quella piramide.”]

Non gli basta che ci fidiamo, vuole che crediamo a lui come se quello che ci dice l’avessimo scoperto noi di persona. Ma questo non solo non è possibile ma non sarebbe nemmeno sano. Si tratta di una pretesa talmente sproporzionata che può rimanere in piedi solo passando per atti di bullismo come quello di cui è stato vittima Odifreddi.

Tutte piccole ma estremamente significative pratiche quotidiane che segnano un ulteriore passo indietro verso l’autoghettizzazione di quel logos che solo se coltivato con pazienza, onestà e pervicacia anche di fronte al rischio del pubblico ludibrio 2.0 può pensare di vincere le sfide offerte da un mondo sempre più violento, veloce, populista e orgogliosamente ignorante.

[PO-PU -lista ahahhahah]

Twitter: @quitthedoner

Facebook: quitthedonerblog

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter