È ufficiale. È un elemento di supporto della legge di stabilità. Con metodi nuovi e con il cappello dell’Ocse, ritorna (seriamente) uno dei cavalli di battaglia di Giulio Tremonti: il rimpatrio dei capitali italiani detenuti in Svizzera. L’ha detto il premier Enrico Letta durante un’intervista a Sky. L’ha ribadito il numero uno dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera durante un convegno che si è tenuto pochi giorni fa a Pavia. Ma soprattutto, dopo aver incontrato appositamente a Washington la consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf, l’ha spiegato il ministro Fabrizio Saccomanni ieri sera durante la conferenza stampa sulla legge di stabilità: «Dentro la legge ci sono fonti di finanziamento non quantificate ma che potranno dare un contributo importante come la normativa sul rientro dei capitali, che potrebbe dare un apporto significativo».
Il concetto è che questi capitali servono all’Italia perché vengano destinati in parte a un veicolo in grado di stimolare la crescita delle infrastrutture. Oppure alla copertura delle prossime necessità di bilancio, alias buchi. Quello che conta è che l’intenzione di organizzare una seria voluntary disclosure (così si chiama l’attività prevista dall’Ocse all’interno degli accordi Fatca) c’è. Un rimpatrio che non ha nulla a che fare con lo schema Rubik, ormai superato e senza la copertura politica della comunità internazionale.
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Le parole di Befera (controcorrente rispetto a tutte le dichiarazioni precedenti) sull’evasione di necessità non sono forse capitate a caso. Servono probabilmente per preparare il terreno all’operazione. Di fatto ormai reso inevitabile dagli eventi inernazionali. A imporre l’accelerazione sono state le nuove norme (entrata in vigore prevista dopo il 1° gennaio 2014) del Fatf (Financial Action Task Force) a cui partecipano 36 Paesi, comprese Italia e Svizzera. Nelle sue raccomandazioni l’organismo ha precisato che i reati tributari, ovunque commessi, possono essere l’anticamera del riciclaggio. Di conseguenza la banche finirebbero nei guai. Non ci sarebbe segreto bancario cui appellarsi. Tanto più che pure quest’ultimo ha i giorni contati. In grande silenzio, sempre ieri, è stata firmata a Parigi, in presenza dell’ambasciatore svizzero, la convenzione multilaterale di Ocse e Consiglio d’Europa sugli scambi di informazioni fiscali. Entrerà in vigore nel 2015 e riguarderà in particolare gli attivi detenuti in Svizzera da non residenti. Di fatto, sarà l’obbligo reciproco di dare consulenza amministrativa in materia fiscale e quindi la caduta definitiva del segreto bancario.
Per mettere le mani avanti, gli istituti svizzeri, dopo l’esperienza penale e milionaria subita per mano degli Usa, hanno cominciato a mandare lettere ai propri clienti chiedendo di fatto di far emergere l’origine dei soldi depositati. Le lettere non hanno una data di scadenza, ma è chiaro che si tratta di pochi mesi. Anche le fiduciarie italiane hanno cominciato a informare i propri clienti. Il rischio di questi ultimi, soprattutto quelli medi, è di trovarsi in fuorigioco. O spostano i capitali in piazze offshore opache, con il rischio di non poter mai più rimpatriare nulla, oppure accettano una sorta di autodenuncia (più o meno ciò che si sta facendo in Germania). A occuparsi della pratica sul fronte italiano è l’Ucifi, Ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali, guidato da Antonio Martino, già ufficiale della Gdf e mastino di mani pulite oltre che delle principali inchieste della procura milanese.
Chi sceglie di rimpatriare i capitali detenuti illecitamente ha già la possibilità di trovare interlocutori ad hoc. Non si tratta però di condono, né scudo. Ma di volontaria disclosure, che consente un occhio di riguardo sugli importi delle multe. Si può chiudere la trattativa con il minimo delle penalità, anche per quanto riguarda il quadro RW. Ma alla fine, per tutti gli anni evasi bisogna pagare il dovuto allo Stato. Quando si tratta di un’eredità è tutto più semplice. Con la morte del titolare se ne vanno i reati, all’erede spettano le multe. Ma quando il titolare è ancora in vita si pone la questione della denuncia all’autorità giudiziaria. Finché si tratta di pochi casi forse la trattativa può restare riservata.
Ma se si vuole lanciare un piano complessivo di rientro basato sull’autodenuncia e il rimpatrio giuridico (in questo caso si troverà la completa collaborazione delle banche estere che continueranno a gestire patrimoni e pagare le tasse per conto dei clienti) o fisico, ci vuole una legge ad hoc. E su questo aspetto il ministero della giustizia si sta muovendo da gennaio. Ha istituito una commissione sull’antiriciclaggio. All’interno ci lavorano tra l’altro due storici collaboratori. Martino dell’Ucifi e Francesco Greco, il pm di Milano che ha condotto le stesse battaglie dell’ex ufficiale. Da documenti pubblici si legge che «il gruppo di studio, anche prendendo spunto dalle indicazioni formulate nel corso delle audizioni degli esperti, ha ritenuto di suggerire l’introduzione nell’ordinamento dei reati di autoriclaggio e di una fattispecie che “sanzioni” l’abuso dei beni sociali, nonché di valorizzare il reato di false comunicazioni».
Ma all’aspetto repressivo se ne aggiunge, con sano realismo, un altro. «Si è poi ritenuto che, a fronte di un irrigidimento della risposta repressiva a condotte indubbiamente gravi e pericolose, anche per la portata dannosa per l’economia del Paese, fosse anche necessario introdurre norme che incentivassero la collaborazione con lo Stato da parte degli autori di certi reati, a condizione di poter recuperare integralmente, a seconda dei casi, l’importo evaso ovvero il profitto/prezzo del reato. Anche su questo aspetto, il gruppo di studio ha formulato indicazioni puntuali, benché meritevoli di ulteriori approfondimenti per escludere (come unanimemente ritenuto) ogni apparenza di “condono” alla collaborazione prevista». Infatti, non ci sarà né condono né scudo. Ma una legge che risponderà ai parametri Ocse in grado di tenere fuori dai benefici le organizzazioni criminali. Ci sono ancora pochi mesi per lavorare sul rimpatrio. Bisogna unire tutti i tasselli del puzzle. Le nazioni e gli organismi in campo sono tanti. Ma sembra che stavolta l’Italia stia facendo un lavoro di lunga visione e una norma razionale non appesa alle isterie della politica.