Sabato pomeriggio nel giardino del Berliner Ensemble, o del BE, come habitué e berlinesi chiamano il teatro di Bertolt Brecht e di sua moglie Helene Weigel. Teatro che con l’unificazione, il trasloco delle istituzioni politiche, si trova oggi – passeggiando lungo la Spree – a poche centinaia di metri dal Bundestag con la sua cupola di vetro e dal Kanzleramt. Doveva piovere, e invece il tempo è clemente.
Il BE ha indetto per il pomeriggio un’asta di cimeli teatrali. Si vende di tutto: da gigantesche teste di cavallo in cartapesta ad abiti da sera ricamati con paillettes, a un gessato portato da Gerd Foss nel “Mercante di Venezia” con regia di Peter Zadek; e ancora la borsetta che Gisela May aveva al braccio in “Madre coraggio”, l’opera più importante di Brecht. Ci sono ovviamente anche mobili di scena, e una panca e due poltroncine che un tempo arredavano invece l’anticamera dell’appartamento di Weigel.
Battitore d’eccezione per quest’asta è di nuovo (visto che non è la prima vendita che si fa) il sovrintendente del BE nonché regista teatrale Claus Peymann. L’asta inizia alle 15 e si tiene nel giardino sul retro, dove c’è anche un palcoscenico coperto: da lì Peymann si esibisce per quasi quattro ore, tutto di nero vestito nei panni dell’imbonitore-banditore, in capo un cilindro-tuba. A servirlo a mo’ di ancelle due attrici. Gli fanno da spalla, ma se necessario anche da modelle. Per esempio quando si tratta di trovare la miglior offerente per un paio di stilettos numero 39, usati nella “Trilogia della villeggiatura” di Goldoni. Peymann a proposito di quella messa in scena ammette: «Fu un fiasco totale, ma forse a voi queste scarpe porteranno fortuna… e se non a voi almeno al vostro ortopedico».
Le scarpe vanno via a poco, giusto 15 euro (forse anche per via dell’allusione all’ortopedico). Più caro il vestito di chiffon indossato da Ilse Ritter nel piecé teatrale di Thomas Bernhard “Ritter, Dene Voss”, vestito battuto a 100 euro. Peymann stesso si avvoltola in una stola d’ermellino bianca, per renderla più appetibile a un pubblico d’orientamento più animalista e ambientalista. Molto contesi invece divanetto e poltroncine Weigel, battuti a 500 euro. Peymann ricorda: «Helene usava dire a ogni novello attore la stessa frase: “Ho per ognuno di voi cinque minuti cinque, non uno in più”. In compenso sul divanetto dell’anticamera ci si poteva anche stare per tutto il pomeriggio». C’erano prime edizioni di Heiner Müller. «Mica le dovete leggere tutte».
Cerca di persuadere potenziali acquirenti, sventolando il pacco di opere. E così, mentre i cimeli vanno via uno dopo l’altro, il pubblico (duecento, trecento persone minimo) assiste anche a un corso accelerato di storia del teatro tedesco e non solo. Assiste a un pomeriggio di vero teatro, per giunta gratuito. Chi può ovviamente contribuisce anche al nobile fine di quest’asta: finanziare con il ricavato una borsa di studio al BE. Si raccolgono all’incirca 10mila euro.
Ma quel sabato di autunno, il BE aveva anche un’altra sorpresa (per chi già all’asta ci era capitato per puro e fortunato caso) in serbo: l’attore austriaco Klaus Maria Brandauer aveva deciso di festeggiare i suoi 50 anni sul palcoscenico, non a Vienna, al Burgtheater del quale è anche uno dei membri onorari, ma al Berliner Ensemble. E questo anche, soprattutto per amicizia nei confronti di Peymann, per quanto i due nei molti anni di collaborazione al Burgtheater si erano pure molto azzuffati. Quella sera al BE Brandauer si esibiva ne “La brocca rotta”.
L’unica commedia di questo drammaturgo tedesco (la sua opera più perfetta, sosteneva il critico unghese György Lukacs) è una delle piéce più amate da Brandauer, perché nei panni del giudice di provincia, trafficone, approfittatore del proprio potere, riesce a tirar fuori tutta la sua vena umoristico-grottesca. Grande serata dunque, con teatro esaurito da giorni. Ciò nonostante ci si poteva mettere in coda un’ora e mezza prima di inizio spettacolo, iscriversi nella lista d’attesa (c’è sempre qualcuno che rinuncia). Niente bagarini, ma ancora un pugno di biglietti che andavano dai 35 euro. Il più caro per un posto in sesta fila (accanto, per puro caso ovviamente, all’ex capo di stato Richard von Weizsäcker e moglie), ai 10 euro. Brandauer era in splendida forma. Istrionico nell’interpretazione e anche dopo, quando aveva ricevuto gli auguri e il ringraziamento da parte di Peymann per aver scelto il BE per festeggiare il suo anniversario.
Un pomeriggio di teatro gratis, una serata particolare con Brandauer a tenere banco. Il pubblico dell’asta e del teatro era variegato per età, ma anche per estrazione sociale. Il fatto è che il BE o Berlino in questo non costituiscono un’eccezione. A Monaco, ad Amburgo, e valicando la frontiera a Vienna è altrettanto facile ed economicamente poco gravoso, andare a teatro, all’opera, a un concerto. Il perché si può leggere per esempio sul sito dell’Associazione tedesca dei teatri (c’è anche la versione in inglese): «Ogni anno sono circa 35 milioni gli spettatori che assistono a un totale di 105mila spettacoli e 7.400 concerti. Ciò dimostra da una parte l’interesse costante per il teatro e la musica, dall’altra che i cittadini vedono nei loro teatri e nelle loro sale di concerto delle fucine del pensiero e dell’esperienza culturale. Sono per loro luoghi di comunicazione e parte integrante del dialogo pubblico e dunque di una certa qualità di vita urbana».
Non sono più i tempi di Brecht, che voleva che il teatro fosse didattico, smascherasse le nefandezze capitalistiche. È rimasta però l’idea che il teatro contribuisce alla qualità della vita (urbana) e non deve essere elitario, per pochi fortunati, per i cosiddetti intellettuali. Per questo l’offerta teatrale è molto variegata, per questo tutti (o quasi) devono potersi permettere un biglietto per andare a teatro. Per questo le casse pubbliche (in primo luogo quelle regionali e comunali, visto che la cultura nell’ordinamento federale è soprattutto competenza loro) spendono circa 2 miliardi di euro all’anno per sostenere i 140 teatri pubblici (contro 200 privati) e le sale concerto.