Artigli morbidi quelli cinesi in Africa, in omaggio alla dottrina del soft power. Ma che affondano, eccome. Il colosso asiatico si impone sempre più in molti paesi africani anche come soggetto mediatico. Africa del Sud, Zimbawe, Kenya, Sudan sono, fra gli altri paesi, il nuovo terreno di una campagna senza precedenti. Ma con quali conseguenze? Ad agosto China International Television Corporation ha fatto acquisti in Sudafrica. Si è assicurata il 20% del colosso editoriale Independent News and Media. Ma l’acquisto è solo l’ultimo di una serie impressionante di operazioni che Pechino ha messo a segno nel Continente africano.
La serie va inquadrata in quella visione a lungo termine che sta permettendo alla Cina di penetrare l’Africa in numerosi ambiti: non solo economico ma anche culturale e appunto mediatico. Il principio di base è: un buon affare non lo si nega a nessuno. Quindi, si investe in Sudan e si parla con Omar al Bashir, ricercato dalla Corte Penale Internazionale, si investe in Zimbabwe e si tratta con il “dittatore” Robert Mugabe, in entrambi i casi leader a dir poco discussi e controversi.
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Dal punto di vista dei media, la strategia adottata dalla Cina in Africa è semplice: glissare sui diritti umani, offrire una buona immagine dei leader locali, evitare temi spinosi come, per esempio, le proteste dei lavoratori locali nei confronti degli imprenditori cinesi.
Una recente inchiesta del quotidiano The Globe and Mail riporta le testimonianze di ex giornalisti che o scrivevano/trasmettevano ciò che era loro richiesto o dovevano lasciare il lavoro. Non potevano usare parole come “regime”, dovevano ignorare l’attualità proveniente per esempio dallo Swaziland che ha rapporti commerciali con Taiwan (fumo negli occhi per Pechino).
“Guerra dell’informazione” la battezzò Hillary Clinton nel 2011: Usa contro Cina, in Africa. E indovinate chi sta vincendo. Per tornare al caso sudafricano, sempre nel 2013, Star Times è diventato azionista di maggioranza della satellitare Top Tv. Star Times è più in generale presente in 14 paesi africani. Per esempio, a giugno scorso ha siglato un importante accordo con Sierra Leone Broadcasting Corporation per la digitalizzazione del canale. E poi c’è il quotidiano China Daily che da un anno ha la sua versione africana. Per non parlare dell’agenzia di stato Xinhua, che ha 30 uffici di corrispondenza nel continente su oltre 200 nel mondo. Insomma, la Cina racconta l’Africa. E come ricorda il professore di giornalismo sudafricano Anton Harber su Business Day Live, questa seconda fase è stata preceduta da massicci investimenti in infrastrutture: 10 milioni di dollari per le trasmissioni in Guinea e 14 milioni di prestito in Zambia per il settore radiofonico. Un po’ come dire: prima costruisco le strade, poi ci faccio correre i miei camion carichi di merce. In questo caso la preziosa merce è l’informazione.
Il dittatore dello Zimbabwe Mugabe visita un van tv donati dal governo cinese
Tra gli elementi fondamentali dell’approccio cinese c’è la compiacenza verso i governanti. Si pensi alle elezioni in Congo del 2011, alla recentissima tornata elettorale in Zimbabwe dove addirittura CCTV (China Central Television) ha fornito non solo nuove apparecchiature per la Tv di stato ma anche mega schermi nelle principali città su cui i cittadini potevano seguire la campagna elettorale di Mugabe. Insomma ti porto soldi (tanti) e apro una tv che ti racconta quanto sono bravo a portare i soldi.
Nel nuovo hub di Nairobi della Cctv, ricorda ancora The Globe and Mail, gli stipendi dei giornalisti keniani sono il doppio della media dei colleghi, le apparecchiature sono all’avanguardia, ma la comunicazione è a volte semplicistica, altre volte propagandistica. Certo, i cittadini keniani possono ora scegliere tra Al Jazeera, Bbc e Cctv. Ma il mercato televisivo benché in crescita è ancora acerbo nel continente. La tv si guarda soprattutto nelle grosse capitali africane. Tutte le aree rurali sono servite dalle radio. E poteva forse mancare anche lì la Cina? La radio statale cinese si sta dando da fare per coprire le aree dove la tv stenta. Ad esempio il canale che trasmette in Am copre ora tutto il Kenya.
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Mentre tanti gruppi editoriali occidentali tagliano i costi e riducono la loro presenza di corrispondenti in Africa, i cinesi investono e cercano partnership. Formano giornalisti locali e creano infrastrutture. Aumentano l’offerta di informazione, dalle tv alla carta stampata, dalle radio alle news sul telefonino. Cercano di dare un’immagine dell’Africa diversa, positiva, lontana dagli stereotipi a cui gli occidentali sono affezionati (guerre, carestie, malattie, profughi) e basate sulle “buone notizie”.
Quando iniziò le trasmissioni nel 2012 Cctv invitò il vicepresidente keniano Kalonzo Musyoka a tenere un discorso nel quale invitava il nuovo canale a “presentare una nuova immagine del continente e rompere con quella tradizionalmente offerta dai media internazionali come il continente dalle calamità senza fine”.
In buona sostanza a che cosa mira Pechino? A creare un ambiente fertile per i propri investimenti. A dare una buona immagine di sé per meglio tessere le sue trame economiche. A mostrarsi non solo “predatore” economico ma anche creatore di opportunità. A contrapporsi ai colossi occidentali Bbc e Cnn nel racconto dell’Africa e delle sue relazioni con la Cina.
Ma quale è e sarà lo scotto da pagare se questa sarà la tendenza? Un’informazione meno libera, non indipendente, e con conseguenze culturali e politiche difficili da valutare oggi. Un’informazione e di conseguenza una cultura dell’informazione non corretta genera disastri politici e sociali: non apre dibattiti su temi sensibili, non vigila sul potere politico, sulla gestione delle ricchezze, tutte cose di cui tanti paesi africani avrebbero bisogno.
Una schermata dal sito del programma Glamorous Kenya, prodotto da Cctv
Un fattore importante da considerare è la generale immaturità del giornalismo africano, spesso poco più che amatoriale, spesso legato ai potenti di turno, spesso privo di una scuola e di una buona formazione (con le dovute eccezioni, beninteso). Pechino in questo senso colma un vuoto. Ed è pronta a costruire un nuovo panorama mediatico.
Il punto è che per fare tutto ciò la Cina potrebbe alimentare un’immagine dell’Africa poco realistica e stereotipata. Date un’occhiata a Glamorous Kenya, girato e prodotto proprio da Cctv dove il paese in un lungo e patinato “spottone” viene presentato come regno degli animali e terra dei misteri. Peccato che il Kenya sia tanto e molto altro. Sacrificato in nome della guerra dell’informazione.
Twitter: @giampaz