IL CAIRO – È stato arrestato anche l’ultimo dei leader della Fratellanza ricercati dopo lo sgombero di piazza Rabaa el Adaweya, Essam el Arian.Politico di lungo corso, ha iniziato la sua militanza come attivista delle associazioni universitarie, Gamaat al Islamiyya negli anni Settanta. Vicino ai movimenti giovanili islamisti, nel 2009 ha sostituito nel Consiglio direttivo (Majlis Shura) del movimento i riformisti Ibrahim al Zaafarani e Abdel Monim Aboul Fotuh. Da quel momento, come scrive il docente dell’Università di Parigi Sciences-po Gilles Kepel, Arian «ha scelto l’apparato contro la riforma democratica dell’organizzazione alla quale veniva associata generalmente la sua generazione». Dopo le rivolte del 2011, è stato nominato vice segretario di Libertà e giustizia, partito della Fratellanza e ha partecipato continuamente a dibattiti televisivi. El Arian è diventata così una delle figure carismatiche della confraternita.
Abbiamo incontrato spesso Arian: l’ultima volta, lo scorso luglio, durante il tragico sit-in di Rabaa el Adaweya, dove ha passato 48 giorni consecutivi incoraggiando i sostenitori del movimento a continuare a manifestare. Arian continuava ad accusare di uso eccessivo della violenza le forze di sicurezza. «Gli attacchi continui della polizia non possono fare altro che rafforzarci. Si comportano come Nasser, Mubarak e Sadat: nella storia questo non ha fatto altro che accrescere il nostro sostegno», diceva Arian, nelle stesse ore in cui il ministro dell’Interno avrebbe disposto lo sgombero forzoso dell’assembramento, posticipato dopo la fine del Ramadan e che ha causato oltre 700 vittime.
Il medico è stato prelevato il 29 ottobre dal suo appartamento nel quartiere residenziale del Cairo, Masr el Ghedida. Come al solito è apparso ironico di fronte alle telecamere. «Nessuno può sfuggire al suo destino, sarò fuori di prigione quando finirà il colpo di stato», ha detto Arian dopo l’arresto. Ma non tutto rema contro il movimento, i tre giudici che presiedevano il processo ai leader del movimento in prigione, tra cui Mohammed Badie e Khairat al Shater, accusati di incitamento all’assassinio di manifestanti, hanno abbandonato l’incarico per «ragioni di coscienza». E così si apre una nuova fase nell’eterno scontro tra Fratellanza e sistema giudiziario, che aveva visto le toghe in prima fila nella destituzione, voluta dai militari, dell’ex presidente Morsi dello scorso 3 luglio. Proprio in questo clima, il 4 novembre l’ex presidente Mohammed Morsi sarà giudicato con l’accusa di omicidio e incitamento alla violenza. Mentre è stata fissata per il 6 novembre la data in cui il tribunale del Cairo dovrà pronunciarsi sul ricorso dei Fratelli musulmani contro la decisione di metterne al bando il movimento.
Alla vigilia del processo, il clima torna incandescente. Le forze di sicurezza di Giza hanno arrestato nove esponenti della Fratellanza con l’accusa di pianificare attentati violenti da compiere proprio in occasione del processo. Mentre sono annunciate manifestazioni in vista della prima udienza. È stato invece spostato il processo ai quattro poliziotti responsabile della morte per «asfissia» di 37 islamisti durante il loro trasferimento in carcere nell’agosto scorso. Ma la Fratellanza non molla, continua ad avvertire che il capo delle forze armate Abdel Fattah Sisi prepara la sua candidatura alle presidenziali e organizza manifestazioni all’interno delle università. Tanto che il primo ministro egiziano Hazem el Beblawi ha definito «imperativo» ristabilire la sicurezza nelle università dopo una nuova giornata di scontri all’ateneo di al Azhar al Cairo, che si trova adiacente a piazza Rabaa. Ancora una volta, le forze di sicurezza egiziane sono intervenute ieri con il lancio di lacrimogeni in seguito allo scoppio di scontri nell’Università di al Azhar tra sostenitori e oppositori di Morsi.
I motivi della vendetta contro la Fratellanza
A questo punto lo scontro tra governo ad interim, sostenuto dai militari, e Fratelli musulmani è su tutti i fronti. La confraternita è stata cancellata dalla lista delle organizzazione non governative (si era registrata come tale l’anno scorso dopo 80 anni di semi-legalità). Non solo, il governo ad interim ha dato il via libera al congelamento dei beni dei leader del movimento, mentre il partito Libertà e Giustizia potrebbe essere escluso dalle prossime elezioni politiche. E così, i Fratelli musulmani parlano di «regolamento dei conti politico».
Dal canto loro, i laici che si preparano ad approvare la nuova Costituzione rimproverano molte cose all’ex presidente: di aver estromesso i partiti secolari dalla gestione politica; di incompetenza nell’affrontare con liberalizzazioni la crisi economica; di assoggettamento agli Stati Uniti in politica estera; di accentramento dei poteri nelle mani del presidente in occasione del decreto pigliatutto, emesso lo scorso novembre; di aver scritto una Costituzione anti-moderna, in fin dei conti di non aver operato nell’interesse generale del Paese ma del movimento islamista.
Tuttavia, le accuse di incompetenza nei confronti di Morsi sono nate principalmente per la politica estera della Fratellanza. Due sono gli episodi che lo stesso Abdel Fattah Sisi ha citato in una recente intervista alla stampa locale. Il primo riguarda la storica visita di Morsi in Sudan dell’aprile scorso. La principale concessione, imputata a Morsi, riguarda il triangolo di Helayeb che separa i due Paesi a sud-est. Questo fazzoletto di terra è conteso da decenni tra Egitto e Sudan, molti sostengono che Morsi fosse pronto a restituire le terre al Sudan dopo l’incontro con il presidente islamista Omar al Bashir. Ma la Fratellanza egiziana ha da sempre dovuto affrontare i malumori degli islamisti sudanesi. Lo scorso giugno, Morsi ha incontrato il leader islamista sudanese Hassan al-Turabi che aveva fondato nel 1991 la Conferenza popolare arabo-islamica con funzioni sovrapponibili a quelle dell’Organizzazione internazionale dei Fratelli musulmani per dare maggiore visibilità al movimento islamista sudanese. Tuttavia, con la deposizione di Morsi, Bashir ha volto lo sguardo verso l’Etiopia appoggiando, nel luglio scorso, la costruzione della diga Gibe III. Secondo molti al Cairo, il progetto toglierebbe all’Egitto l’egemonia sul controllo delle acque del Nilo. E sarebbe l’altra ragione che avrebbe spinto Sisi ad intervenire e fermare i Fratelli musulmani.