Finite le elezioni tedesche, la Grecia torna a far parlare di sé. E lo fa nel modo di sempre. Restano i problemi sul debito pubblico, che quest’anno toccherà il 175% del Pil. Cifre astronomiche, specie considerando che l’obiettivo della troika composta da Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce) e Commissione Ue è quello di riportare questo valore al 120% nel 2020. Possibile? Non senza un altro intervento. Il terzo, dopo i due bailout da 240 miliardi di euro. Non è questione di se, bensì di quando.
E dire che si tratta di pochi miliardi, se paragonati all’intero Pil della zona euro. Il debito ellenico è di circa 320 miliardi di euro. Di questi, poco più del 70% è rappresentato da tutti i prestiti erogati in questi anni dalla troika. Ed è palese, ma lo era anche prima, che Atene non riuscirà a raggiungere i target presi con il memorandum of understatement siglato con l’ultimo piano di salvataggio. Sono troppe le uscite, sono troppe le falle in un sistema amministrativo che spreca molto e incassa poco. È anche per questo che la road-map di ogni rilascio delle tranche di aiuto da parte della troika segue sempre lo stesso percorso. Arrivo delle autorità in Grecia. Discussione con il governo. Rottura delle trattative. Ritardo nel pagamento della tranche. Nuova missione. Nuova discussione. Governo ellenico che cede e adotta i tagli richiesti dalla troika, consapevole che esistono ancora vaste zone di spreco della spesa pubblica greca. Rilascio della tranche, in ritardo di circa un mese rispetto al ruolino programmato. Così è successo finora e così succederà anche fra ottobre e novembre, quando dovrebbe essere staccato il prossimo assegno.
Il vero dilemma è che non basterà nemmeno stavolta. «Purtroppo la situazione della Grecia rimane di assoluta serietà, anche se per fortuna si può forse dire che l’emergenza si finita», dice a Linkiesta un funzionario della Commissione europea dietro anonimato. Si ritorna a vociar di un rollover del debito esistente. Come ha rivelato Reuters, il governo ellenico sta pensando di emettere un bond con maturity pari a 50 anni, quasi un perpetuo, in modo da comprendere quelli emessi tramite i prestiti bilaterali erogati in questi anni. Si tratta dei fondi dello European financial stability facility (Efsf), il fondo europeo salva-Stati temporaneo, e di quelli giunti tramite Ue e Fondo monetario internazionale (Fmi). «È una possibile via, ma per ora si tratta di chiacchiere ad alta voce», dice il funzionario a Linkiesta. Del resto, finora ci sono state fin troppe speculazioni giornalistiche sul destino di Atene. «Quasi sicuramente si tratta di un ballon d’essai, è troppo presto per dire cosa succederà», continua il funzionario. La nascita di un bond con questa scadenza avrebbe diverse ripercussioni, soprattutto legali. Dal punto di vista formale, è facile che, nel caso di rollover del debito esistente, sia considerata insolvente su una parte del debito stesso. Traduzione: l’International swaps and derivatives association (Isda) potrebbe dichiarare il secondo default sovrano, complicando la situazione ellenica oltre ogni pensiero.
Per ora ci sono tre certezze. Le prime due sono positive. La terza, molto meno. Atene avrà un surplus primario per l’anno in corso. E pure per il prossimo anno. Merito dei tagli che ha messo in campo il governo negli ultimi due anni, dopo numerosi scontri con la troika. Proprio in virtù di ciò, ma anche grazie a una ripresa dell’attività economica, è possibile che nel corso del 2014 il Paese torni a registrare un Pil in verde, e non in rosso. Peccato che però, e questa è la terza certezza, che la sostenibilità del debito sia ancora lontana.
Il futuro rimane incerto. Da un lato ci sono gli investitori internazionali, come John Paulson, che stanno scommettendo sulla ripresa della Grecia. Il fondo hedge di Paulson, ma anche Greylock e Renaissance, sono convinti che la recessione stia volgendo al termine e che ci siano ottime possibilità per realizzare profitti dalla seconda (o forse sarebbe meglio dire terza) vita di Atene. Il problema è che dall’altro lato, il debito pubblico rimane insostenibile. Ecco perché, ha più volte ricordato il Fmi, la soluzione migliore sarebbe un Official sector involvement (Osi), o partecipazione volontaria dei creditori ufficiali in una (seconda) ristrutturazione del debito ellenico, dopo il Private sector involvement (Psi) compiuto fra 2011 e 2012. Una strada che Bce e Commissione Ue non vedono di buon occhio per via dei risvolti politici che avrebbe. «Sarebbe un precedente, e nessuno vuole crearne, specie considerato che non si sa quali sarebbero i benefici nel lungo periodo», chiosa il funzionario. Peccato che, ancora una volta, per risolvere le sofferenze greche serviranno soluzioni impopolari. Solo nel 2014 si saprà quali.