L’Europa a Letta: dopo Berlusconi servono riforme vere

Focus anche sui rimborsi alle imprese

BRUXELLES – A Bruxelles mercoledì hanno brindato allo scampato pericolo, non a caso il presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso si è precipitato a rallegrarsi perché era stata evitata una «crisi artificiale». È anche chiaro, però, che adesso Enrico Letta è atteso al varco anzitutto dal commissario agli Affari economici Olli Rehn.

Letta, dicono a Bruxelles, ora non ha più scuse, e dovrà fare quello che l’Ue ha chiesto. Ci sono, certo, anzitutto i conti pubblici. A Bruxelles non c’è alcuna intenzione di indulgere sul fronte del deficit. A settembre lo stesso ministro Fabrizio Saccomanni ha dovuto ammettere che al momento viaggiamo per un deficit, nel 2013, al 3,1% del pil contro il previsto 2,9%. I servizi di Rehn sono chiari in questo: il 3%, limite previsto da Maastricht, è accettabile, ma il 3,1% vorrebbe dire una cosa sola: la riapertura della procedura per deficit eccessivo. Bruxelles ha registrato positivamente il rinnovato impegno del governo di rientrare nei limiti entro fine anno, ma vuole analizzare quanto siano realistiche le misure previste da Letta e Saccomanni (come la vendita di immobili, nuovi tagli alla spesa, possibile aumento delle accise e degli acconti Iref e Irap a novembre) per trovare i necessari 2,5 miliardi di euro circa (1,6 miliardi vale lo 0,1% di pil di deficit in eccesso, cui però si aggiungono altri 800 milioni per finanziare la cassa integrazione, gli interventi di sostegno ai migranti, le missioni militari e la social card).

Dalle parti della Commissione si spera che la sconfitta di Silvio Berlusconi faccia ritornare un po’ di razionalità nel governo. E si registra come un fatto sostanzialmente positivo che l’aumento dell’Iva sia regolarmente scattato, altrimenti ci sarebbe stato un altro miliardo di buco. Anche se, spiegano nell’entourage di Rehn, la Commissione più che un ennesimo aumento dell’imposta avrebbe voluto una forte riduzione di parte delle 720 – troppe – agevolazioni ed esenzioni Iva, che sottraggono all’erario in totale 200 miliardi di euro circa. Letta ha detto di starci lavorando.

Altro punto cruciale per la Commissione: l’effettivo rimborso dei debiti dello Stato (per quest’anno si parla di 12 miliardi di euro) con le imprese. Rimborsi che, se la crisi non fosse rientrata, rischiavano seriamente di saltare con pesante impatto anche sulla congiuntura. Una cosa è chiara: il governo, nell’ambito del Semestre europeo, ha tempo pochi giorni, fino al 15 ottobre, per presentare la legge di stabilità, Bruxelles si pronuncerà in merito entro il 15 novembre. In teoria, secondo la nuova governance economica Ue, la Commissione potrebbe anche chiedere modifiche, ma i contatti tra Roma e Bruxelles sono già intensissimi, e in Commissione si mostrano relativamente ottimisti che la legge non riserverà sgradevoli sorprese.
Certamente avrà molto lavoro il nuovo commissario alla “spending review”, l’ex Fmi Carlo Cottarelli, appena nominato da Letta: anche la Bce ha lanciato un chiaro allarme sulla deriva delle finanze pubbliche italiane, con un fabbisogno esploso nel 2013 a 51 miliardi di euro a luglio contro i 28 miliardi dello stesso periodo del 2012. Ad agosto eravamo già oltre quota 60 miliardi.

Il punto, però, non sono solo i conti pubblici. Bruxelles è impaziente di vedere finalmente quelle misure che l’Italia non può più aspettare. A cominciare da quello che lo stesso Letta ha evidenziato nel suo discorso mercoledì: la riduzione del cuneo fiscale, che pesa ormai per il 46,2% del costo del lavoro, un record in Europa. La Commissione va ripetendo da tempo – da ultimo nelle raccomandazioni approvate dal Consiglio Ecofin a luglio – che l’Italia ha urgente bisogno di spostare la pressione fiscale dal lavoro alla proprietà e ai consumi. Rehn a settembre, intervenendo alla Camera, lo ha detto chiaro e tondo: Bruxelles era contraria alla soppressione totale dell’Imu sulla prima casa, che toglie risorse preziose per ridurre il cuneo. Allora c’era il diktat di Silvio Berlusconi, adesso le cose sono cambiate. Letta ha spiegato di voler ridurre il cuneo per 4-5 miliardi di euro, ma dovrà spiegare dove trovare i soldi. Alla Commissione vedono positivamente l’ipotesi che la soppressione della seconda rata Imu possa essere limitata ai soli redditi medio bassi. E, a proposito di Imu, su un altro punto i servizi di Rehn stanno con gli occhi puntati – come ha detto lo stesso commissario: la service tax, che dovrebbe in parte sostituire la vecchia Imu. Secondo le previsioni, dovrebbe dare un gettito di 1-2 miliardi inferiori rispetto alla tassa sugli immobili. Potrebbe non bastare.

C’è di più. Letta, incalza la Commissione, dovrà lavorare su altri punti più a lungo termine. Come il netto miglioramento dell’efficienza dello Stato (incluso la magistratura civile), ma anche e soprattutto sul fronte del mercato del lavoro che, lamenta la Commissione, resta troppo rigido e spaccato in due – tra quello “protetto”, dei dipendenti con contratti regolari, e quello, in costante espansione, dei precari senza tutela. Un’impresa ardua per un governo sulla cui stabilità è lecito domandarsi. È molto probabile, comunque, che nella valutazione che la Commissione presenterà il 15 novembre – e nelle previsioni economiche d’autunno, attese per il 5 novembre – la pagella dell’Italia conterà numerose insufficienze. Anche se, per ora, se Letta imprime la necessaria accelerazione, potremmo scampare la riapertura della procedura. Guai però a sgarrare.

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