Non è certo l’entusiasmo a dominare a Bruxelles per la Legge di stabilità esposta ieri dal governo. Prevale, anzitutto, la cautela, visto che la bozza è arrivata nella notte al Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea, e i tecnici del commissario agli Affari economici Olli Rehn dovranno studiare nel dettaglio il testo. Di fondo, però, sembra di poter presagire un punto essenziale: la Commissione Europea farà appunti e chiederà precisazioni, ma non respingerà il testo. Al contrario, è prevedibile – salvo sorprese dell’ultim’ora – un sostanziale via libera quando, entro il 15 novembre, la Commissione dovrà dare il suo giudizio ufficiale.
Certo, siamo ben lontani da quanto auspicato da Bruxelles nelle raccomandazioni varate a luglio, a cominciare dalla riduzione sostanziale della pressione fiscale sul lavoro, da spostare su consumi e patrimoni. La sforbiciata di 2,5 miliardi nel 2014 è men che simbolica, e questo a Bruxelles lo sanno bene, non è certo con queste riduzioni microscopiche che si ridà fiato a imprese e consumi. E non è improbabile che già nelle previsioni economiche d’autunno, in arrivo il 5 novembre, la Commissione tornerà a insistere su questo punto. E tuttavia, come si diceva, l’aria che tira nei corridoi del Berlaymont non è quella di una bastonata nei confronti di un governo che Bruxelles – e molte capitali europee, Berlino in testa – vorrebbe vedere resistere il più a lungo possibile. Non a caso due giorni fa lo stesso Rehn ha elogiato la manovrino del 9 ottobre per riportare il deficit 2013 entro i limiti del 3% del pil.
«Non è molto – commenta un funzionario comunitario a proposito della riduzione del cuneo – ma bisogna pensare anche ai pochi margini di manovra del governo». Si capisce che c’è voglia di trovare attenuanti per Letta e Saccomanni. Il succo del messaggio potrebbe essere in sostanza: non basta, ma la direzione è quella giusta, essenziale è mantenere la rotta del risanamento avviata da Mario Monti. Come è giusta la via della riduzione della spesa, sebbene anche qui siamo appena agli inizi. I servizi di Rehn sono ansiosi di vedere finalmente all’opera il nuovo super-commissario alla Spending Review, l’ex del Fondo monetario internazionale Carlo Cottarelli. Quanto al deficit nominale previsto dal governo per il 2014 (2,5% del PIL), per ora bocche cucite a Bruxelles, ma non dovrebbero esserci particolari rilievi. Del resto, quella cifra è la stessa indicata dalla stessa Commissione nelle previsioni economiche di primavera pubblicate in maggio, mentre a ottobre l’Fmi ha previsto per l’anno un prossimo un disavanzo italiano al 2,1 per cento.
Quel che preoccupa Bruxelles è semmai la possibilità del famigerato “assalto alla diligenza” nel corso dell’iter parlamentare della legge. I saldi non dovranno peggiorare, e se ci dovessero essere stravolgimenti – nel senso sbagliato – la cosa potrebbe allarmare la Commissione. Che vede, ad esempio, con favore il blocco del turnover dei dipendenti pubblici e la sforbiciata agli straordinari – posizione del tutto opposta a quella dei sindacati, che già stanno facendo fuoco e fiamme in materia. E magari potrebbero trovare una sponda in Parlamento. Poi, certo, ci sono punti interrogativi su vari punti. Ad esempio il gettito delle dismissioni, delle imposte di bolle maggiorati, come anche della nuova imposta sui servizi Trise.
Bruxelles, d’altro canto, è pronta a incoraggiare il governo Letta sul fronte di quello che il presidente del Consiglio ha definito il «premio» per l’uscita dalla procedura per deficit eccessivo, secondo il governo pari a 3 miliardi di euro. Fondi ottenuti grazie alla flessibilità, che l’Italia ha già chiesto alla Commissione, destinata a chi è fuori dalla procedura. E cioè la possibilità di deviare dall’obiettivo di medio termine (per l’Italia il pareggio di bilancio in termini strutturali tra il 2014 e il 2015), purché mantenendo il deficit nominale sotto il 3% del PIL e purché per investimenti nell’ambito di quelli cofinanziati con fondi Ue e purché sia accertato il ritorno economico.
Una cosa è però sicura: la Commissione non ha intenzione di mollare troppo la presa, in vista soprattutto dell’alto debito pubblico, al momento sopra il 130% del pil. Dal 2015 l’Italia dovrà cominciare ad attuare, in base al nuovo patto di stabilità, la riduzione del debito eccedenti il 60% del pil in misura di un ventesimo l’anno. Come, del resto, è più che probabile che la Commissione insisterà con forza su una questione più ampia della legge di stabilità, e cioè l’urgenza delle riforme strutturali del mercato del lavoro e della pubblica amministrazione, indispensabili per far ripartire il paese. Di questo, per ora, si è visto davvero poco. Bruxelles per ora mostra pazienza, ma prima o poi un po’ più di coraggio ce lo chiederà.