Liberazione o prigione? L’omosessualità al cinema

Daniele Lucchetti e Alain Guiraudie

È una liberazione sentimentale o una prigione ossessiva e paurosa? Due film attualmente nelle nostre sale, partendo da contesti e toni assai differenti, riflettono sulla pulsione del desiderio omosessuale, che sembra essere diventato – a giudicare dalle opere recentemente presentate e assai spesso premiate – l’ambito di riflessione privilegiato nel campo amoroso del cinema d’autore contemporaneo.

Le due opere sono “Anni felici” di Daniele Luchetti, commedia tra il rassicurante e il nostalgico in cui il racconto familiare semiautobiografico si apre improvvisamente sulla iniziazione omosessuale del personaggio della madre (Micaela Ramazzotti), e lo scabroso e più profondo “Lo sconosciuto del lago” di Alain Guiraudie (premio alla regia all’ultimo festival di Cannes, dove la Palma d’oro è stata assegnata a un altro film a tematica gay come “La vie d’Adèle” di Abdellatif Kechiche, da fine ottobre sui nostri schermi): nella Provenza contemporanea una comunità gay maschile si dà appuntamento e si accoppia in rapporti occasionali sulle rive di un lago, fino a che un delitto sconvolge la vita del protagonista.

In “Anni felici” la scoperta dell’omosessualità avviene come sbocco di una crisi familiare dovuta ai tradimenti seriali del padre (Kim Rossi Stuart), artista fallito d’avanguardia che vorrebbe essere trasgressivo e cattivo e invece è solo comodamente borghese. La moglie reagisce andando in vacanza con un gruppo di femministe in Provenza (di nuovo lei, regione di libertà) e qui trova l’amore (passeggero) con una di queste donne. Siamo nell’estate 1974, che incede dopo la storica vittoria laica e progressista del referendum sul divorzio: un passaggio democratico che riassetta la vita e il costume delle famiglie italiane in maniera irreversibile e che suggerisce nel film delle forme ancora acerbe ma pur sempre forti di liberazione. La rottura si ricompone nella ritrovata unità familiare, che sboccia con la nuova ispirazione estetica del padre, e le elettriche frizioni che puntellano la famiglia si armonizzano. Sì, in fondo nonostante tutto quelli erano “anni felici”. E questo spirito pacificato e accomodante è sottolineato – un po’ troppo retoricamente – dalla voce narrante del primogenito (alter ego bambino, nei travestimenti della finzione, del regista medesimo).

La liberazione (omo)sessuale si ricompone nella convenzione sociale della famiglia. Proprio dal binomio omosessualità-famiglia, sullo sfondo delle trasformazioni sociali internazionali di quarant’anni fa, è partito Guiraudie nel comporre “Lo sconosciuto del lago”. Ha spiegato il regista: “La sessualità espressa nel film, attraverso il personaggio di Franck, ha una spontaneità quasi infantile, libera da tutte le pressioni sociali, dal matrimonio, dalla procreazione. In realtà non è sempre così, nel mondo gay come in quello etero. Dopo la liberazione sessuale degli anni Settanta, ci sentiamo quasi obbligati alla pratica del sesso. Riguardo alla comunità gay, dagli slogan ironici e libertari di una volta siamo passati a dimostrare per il diritto al matrimonio. Qualcosa si è perso per strada. I posti per incontrarsi in libertà come la riva del lago nel film sono sempre meno e vengono sostituiti da sex club con ingresso a pagamento. Gli interessi economici hanno avuto il sopravvento, il sesso stesso è un oggetto di consumo. Tutto ciò è alienante. Ho creato il personaggio di Michel pensando proprio a questi cambiamenti sociali. Michel è un cercatore di piacere, un consumatore di sesso. È forte, sicuro di sé, emotivamente freddo e una volta che si è divertito con qualcuno se ne libera”.

Con questa premessa, Guiraudie incardina la sua opera sul registro del thriller e la orienta sul paesaggio dell’inquietudine, del mistero (lo “sconosciuto”) acquatico e forestale, del piacere che imprigiona e dai cui si esce assassinati se non assassini, della solitudine esistenziale che non riesce mai a essere squarciata dalle pur abbondanti intimità che si stabiliscono nella boscaglia accanto al lago. Il circuito meccanico di questo desiderio vitalissimo e insieme malsano ha un’impronta quasi metafisica che è però restituita genialmente da una messinscena brutalmente realistica: con la luce naturale che mette in chiaro l’oscuro e l’osceno del lago, con i suoni d’ambiente meticolosamente registrati sui quali non fa mai irruzione nemmeno una nota di musica, con la violenza dell’esibizione delle nudità e dei rapporti sessuali.

Acclamato come un capolavoro in patria, “Lo sconosciuto del lago” in Italia è incorso in un prevedibile divieto ai minori di 18 anni, ma ancor peggio gli è andato nella Parigi del Medio Oriente, Beirut, dove in questi giorni è in corso un importante festival internazionale e dove la censura ha impedito la proiezione della pellicola. Uguale provvedimento ha colpito un altro lavoro, un cortometraggio firmato dalla giovane regista libanese Farah Shaer e intitolato “I offered you pleasure”, che affronta il tema del matrimonio temporaneo con cui si riesce a norma di legge ad aggirare la proibizione di rapporti sessuali, e di cui la protagonista del film fa un uso parecchio edonistico. Il sesso resta evidentemente un potente tabù della nostra epoca e chi ha la capacità di affrontarlo con libertà e originalità d’espressione continua a provocare salutari shock dello sguardo.