«Antonino Carollo detto Toni». Ilda Boccassini, capo della Direzione distrettuale antimafia di Milano, parte da questo nome, protagonista dell’inchiesta Duomo Connection degli anni Novanta, per raccontare agli studenti della Bocconi le infiltrazioni della mafia in Lombardia, ovvero del «male» come lo definisce il procuratore che potrebbe lasciare il capoluogo lombardo per guidare la procura di Firenze. L’occasione è la presentazione della ricerca L’espansione della criminalità organizzata nell’attività d’impresa al Nord promossa con la Camera di Commercio dall’ateneo milanese. E quel Toni, come lo ricorda il magistrato, era un giovane geometra che arrivava dalla Sicilia, uno «come tanti studenti della Bocconi», «con la voglia di lavorare e di studiare», ma anche figlio incensurato di Gaetano Carollo, affiliato alla famiglia mafiosa di Resuttana e morto ammazzato a Liscate, pieno hinterland milanese, nel 1987.
Fu proprio su di lui, su Toni, quel ragazzo che che si alzava alle sette del mattino e andava a letto tardi per lavorare, che si dipanò l’inchiesta a cui la Boccassini lavorava con Giovanni Falcone, il magistrato siciliano poi ucciso da Cosa Nostra nel ’92. Fu un’indagine, quella di inizio anni Novanta (prima ancora di Tangentopoli) che fotografò per prima il crollo del mito «della capitale morale» e l’infiltrazione della mafia a Milano, tra colletti bianchi, imprese edilizie, la corruzione dell’assessore all’Urbanistica milanese del Psi Attilio Schemmari e la massoneria («Che serviva per fare quello scatto in più nella società» racconta Ilda la Rossa). «Ora aspettiamo la sentenza della Cassazione su Infinito» dice la Boccassini «perché se Duomo Connection ci è servita per cristallizzare la mafia, Infinito fisserà per sempre la ’ndrangheta, che vi ricordo è solo da pochi anni inserita nel 416-bis».
Sono più di vent’anni di indagini, dai mafiosi siciliani alle cosche calabresi, per raccontare come il Settentrione sia diventato terra di conquiste per la criminalità organizzata. E sono infiltrazioni che non riguardano solo lo spaccio di droga o l’usura, ricatti e pizzo, classici reati del «male», ma soprattutto imprese edili, del movimento terra e di imprese tipiche del territorio milanese. La Boccassini conosce il metodo per combattere la criminalità organizzata: «Oggi le indagini sono svolte dalla procura distrettuale antimafia, ma poi dobbiamo andare a fare i processi a Como o Busto Arsizio davanti a giudici di provincia che, con tutto il rispetto, non sanno nulla: una visione globale la può avere solo il tribunale distrettuale ma non e’ mai stato istituito e questo e’ un problema serio». E ancora: «L’imprenditoria milanese non è sana», dice senza mezzi termini ancora il magistrato Certo i tempi sono cambiati, «il contesto è diverso», spiega la toga che ha indagato anche sulle notti di Arcore di Silvio Berlusconi e Ruby Rubacuori. Ma a distanza di vent’anni non è difficile riscontrare alcune simmetrie con quell’epoca.
Alla fine degli anni Ottanta c’era un partito forte come il Partito socialista di Bettino Craxi, che covava in seno alcune mele marce o «mariuoli» per dirla come il segretario del garofano rosso. Milano era «loro». Come lo è stata dal Duemila a oggi del Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi, partito egemone con la Lega Nord di Umberto Bossi, che in Lombardia sono stato falcidiati dalle indagini sulla ‘ndrangheta, dal tesoriere Francesco Belsito per il Carroccio fino all’ultima sull’ex assessore all’ambiente Domenico Zambetti, su cui la giunta del Celeste Roberto Formigoni è crollata nell’ottobre del 2012. La massoneria c’è ancora, come hanno raccontato le indagini. E la ’ndrangheta non sembra aver fatto altro che sostituirsi alla mafia degli anni Novanta, con le seconde generazioni più istruite, inserite nel tessuto economico politico lombardo.
La ricerca che il professor Alberto Alessandri ha condotto in collaborazione con il Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale, Assimprendil Ance, Camera di Commercio di Milano e la procura parlano chiaro, spiegado come la piovra in questi anni ha aumentato esponenzialmente la sua presenza su questo territorio. Basti pensare che negli ultimi dieci anni sono state 762 le persone indagate e 62 i procedimenti avviati presso la Procura di Milano per il reato di associazione mafiosa «Un numero limitato se si considerano le quasi 290mila imprese dell’economia milanese» scrive la Camera di Commercio, ma che è aumentato del 2150%, secondo il numero dei delitti denunciati dalla Forze di Polizia per fatti di associazione di tipo mafioso all’Autorità Giudiziaria: da 8 persone denunciate per 3 delitti nel 2000 a 180 denunciate per 3 delitti nel 2010.
I numeri sono impressionanti, con due picchi di indagati nel 2006 e tra il 2010 e il 2012. Nel 2000 erano 46, nel 2001 -2, nel 2002 -10, nel 2003 -18, tra il 2004 e il 2005 -32, nel 2006 -227, nel 2007 -10, nel 2008 -72, nel 2009 -60, tra il 2010 e il 2012 -225. E circa la metà di questi indagati sono stati riconosciuti colpevoli. Non solo.Secondo quanto indicato nell’indagine svolta dall’Università Bocconi e in un caso su 5 il sistema della criminalità organizzata cerca di toccare le imprese. Circa il 17% degli indagati negli ultimi 10 anni sono imprenditori e nel 12,8% di questi casi sono proprio loro i promotori o gli organizzatori dell’attivita’ criminosa. Attività che nell’84% dei casi si dimostra legata alla ’ndrangheta, mentre solo nel 7% dei casi è da collegare a Cosa nostra e nel 2% alla camorra.
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