Mario Monti ha lasciato la presidenza di Scelta Civica e pochi giorni dopo, durante il programma In mezz’ora di Lucia Annunziata, si toglie qualche sassolino dalle scarpe. Non tanto e non solo nei confronti di Pier Ferdinando Casini, dei centristi ex democristiani o di Mario Mauro e la tentazione di riprendere i fili con il blocco post berlusconiano. Ma direttamente nei confronti di Enrico Letta, il più montiano del Pd quando a palazzo Chigi sedeva il professore. Intimo da sempre, compagni di tavole rotonde a Cernobbio e nei club dei potenti del mondo e da qualche mese suo successore al governo. Frasi come “quello di Letta è il governo del disfare”, pendant polemico al suo, autocelebrato; “governo del fare”; oppure “sull’Imu Letta si è inginocchiato davanti al Pdl. Spesso si scrive Letta e si legge Brunetta. Mi sarei alleato al Pdl solo se si fosse depurato da certe prassi e personalità incompatibili con i nostri valori”; oppure ancora, su Mauro, “mi pregò di prenderlo con me”, sono destinate a lasciare il segno.
Qui di seguito la nostra analisi pubblicata giovedì 17 ottobre, la sera in cui Monti si è dimesso da presidente di Scelta civica. Erano le stesse ore del vertice Obama-Letta a Washington…
Un passo indietro che pochi si aspettavano, destinato a far discutere. Quello che colpisce immediatamente delle dimissioni dell’ex premier è ben rappresentato da un’immagine. Era il febbraio del 2012, il Professore da poco insediato a Palazzo Chigi per salvare l’Italia dal disastro finanziario viene ricevuto alla Casa Bianca da Barack Obama. È il momento più alto della parabola politica di Monti. Ironia della sorte, il punto più basso arriva oggi. Nelle stesse ore in cui il suo successore, Enrico Letta, è oltreoceano per ricevere la stessa investitura. Un simbolico passaggio di testimone, che sottolinea perfettamente la deludente conclusione del sogno politico dell’ex commissario Ue.
E poi c’è la storia. La storia politica italiana che forse Mario Monti non ha tenuto abbastanza da conto. Perché l’altro aspetto evidente della vicenda è che il tentativo di federare un terzo polo di centro è fallito. Anche, soprattutto, perché all’ex premier non è riuscito l’amalgama. In Scelta Civica sono confluite esperienze troppo diverse e distanti per convivere. Oggi Mario Monti se la prende con Mario Mauro e Pier Ferdinando Casini. L’ala cattolica del suo partito, diretta discendente della Democrazia Cristiana. Era così difficile ipotizzare il rischio di finire fagocitati dalla Balena Bianca?
Per finire resta l’errore strategico. La valutazione – a conti fatti completamente errata – secondo cui in Italia c’era spazio per un terzo polo. È l’illusione alla radice del fallimento di Scelta Civica. Mai come in questo periodo il Paese si è scoperto bipolare. Un centrodestra e un centrosinistra. Al massimo è rimasto lo spazio per un movimento radicalmente alternativo come i Cinque Stelle. Di sicuro non per un polo di centro. Il sogno politico di Mario Monti muore così, stretto tra due calamite che a forza di attrarre hanno finito per disgregare la piccola Scelta Civica. Da una parte le derive post berlusconiane di chi immagina una grande realtà popolare. Dall’altra le sirene della nuova stagione renziana. A stare fermi nel mezzo, si finisce per non contare più nulla…