The Newsroom, raccontare il giornalismo

Esordi super attesi

Ed eccola dunque su Rai 3 la prima stagione di The Newsroom, ultimo capolavoro dello sceneggiatore-showrunner Aaron Sorkin. Inno al giornalismo vecchia maniera, alle buone pratiche del trovare notizie, al protagonismo monarchico del direttore assoluto, che ha tutto e tutti in pugno. Il terzo canale fa così concorrenza al Servizio pubblico di Michele Santoro, e in effetti Jeff Daniels al personaggio di Will McAvoy, anchorman della Atlantic Cable News, conferisce la stessa furia di mezza età, sospesa tra l’autoesaltazione dell’eterna ripartenza (ogni volta si deve guadagnare tutto, pur essendo un divo del piccolo schermo), l’autocommiserazione per i torti subiti, l’autocompiacimento per l’affluenza generata dal talento giornalistico, che ha quell’aggressività catodica sempre un po’ anni ’80.

Ispirandosi alla figura reale di Keith Olbermann (la cui redazione ebbe mondo di frequentare ai tempi del disastro petrolifero nel Golfo Persico), Sorkin non lo sa ma dipinge un efficace ritratto della generazione al potere giornalistico anche del nostro paese. McAvoy non sa nemmeno di avere un blog (glielo cura uno stagista parecchio nerd e in gamba), coglie l’importanza del web ma non sa nemmeno da che parte iniziare, non gli piace ma sente di doverci fare i conti suo malgrado, e così nel profondo della sua coscienza sembra di vedere la medesima ferita per una vecchia previsione sbagliata di – per esempio – un Paolo Mieli su Internet, che sarebbe stato – secondo l’ex direttore del Corriere – una moda passeggera come il borsello da uomini (Mieli ovviamente con intelligenza fa pubblica ammenda ogni volta che si tocca il tema).

Sorkin descrive, in fondo, con questa serie TV l’apice della carriera del fior fiore del giornalismo mondiale che sopravanza il nuovo giornalismo digitale in nome di una conquistata posizione nell’aristocrazia professionale (non parleremmo mai di privilegio, ovviamente). Lo scarico di adrenalina che ogni santo giorno consuma i nervi di The Newsroom è sincero e potente, ma gli è estranea la laboriosità sperimentale, anche selvatica, anche cazzona, del nuovo giornalismo, prima guardia del fronte che vede prima di tutti l’orizzonte ma è anche la prima di tutti a rischiare.

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Sorkin, il grande narratore della nuovissima e rivoluzionaria storia di Facebook nel geniale copione del film The Social Network (per cui ha vinto un Oscar alla migliore sceneggiatura), quel Sorkin che con l’innovazione tecnologica che ribalta gli schemi si è confrontato nello stupendo film statistico-sportivo Moneyball con Brad Pitt (pellicola un po’ sottovalutata), per The Newsroom ha voluto stare ai classici. Una scelta che lo vede vincitore rodato, essendosi a lungo esercitato con successo sul giornalismo e la tv e la politica tra scena pubblica e retroscena, in precedenti serie come The West Wing, Sports Night e Studio 60 on the Sunset Strip.

In America è stata annunciata la terza serie di The Newsroom. Chissà che questo nuovo splendido romanzo sul quarto potere non esplori nei prossimi capitoli le sue nuove forme evolutive. Lo scriviamo mentre in Italia sta per uscire Il quinto potere, sul caso WikiLeaks, esatta rappresentazione dell’anarchia ancora non del tutto studiata che l’informazione può conoscere (e l’onda non si è fermata affatto). E lo scriviamo segnalando l’ultimissimo film del grande regista filippino Brillante Mendoza, Possession, centrato sulla concorrenza spietata tra due emittenti televisive a caccia del medesimo demoniaco scoop. Più di tutte le parole, valga sapere che Mendoza ha scelto come genere di racconto niente meno che l’horror. A dimostrazione che il ragionamento sul giornalismo contemporaneo è tutt’altro che chiuso, tutt’altro che pacifico, tutt’altro che accomodante. 

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