Treviso, così l’artigianato rinasce dalle ceneri

Il rilancio del tessuto produttivo

Treviso è stato uno dei territori italiani che più ha preso sberle dalla crisi. Partiva per certi versi quasi dalla vetta, dunque è stao più facile cadere. Così nel 2012 si è dimostrata la provincia dei record negativi: nel Veneto la più colpita. Dei circa 1.200 stati di crisi della regione, oltre 300 sono stati formalmente aperti nella Marca, con un aumento del 70% rispetto al 2011. Per un totale di quasi settemila lavoratori coinvolti. Il solo comparto del legno in un anno, dal luglio 2011 al giugno 2012, ha visto evaporare 1.640 posti di lavoro (saldo assunzioni-licenziamenti).

La cassa integrazione straordinaria è in diminuzione (-40,9% su anno), solo perché le aziende chiudono e dalla cassa si passa alla mobilità. In quattro anni hanno serrato i battenti ben 53 imprese artigiane del mobile. L’edilizia si è poi dimostrata nel 2012 il buco nero. Nel terzo trimestre (rapportato allo stesso periodo del 2011) il fatturato del comparto nel territorio della Marca ha segnato un -3,9%, gli ordini un -2,1%, l’occupazione -2,2%. Grazie, però, agli ammortizzatori sociali. Nel primo trimestre del 2013 infatti il calo del fatturato è stato del 20 per cento. L’edilizia rappresenta circa il 17% del Pil dell’area e il 40% se si prende in considerazione tutto l’indotto. Risultato: in quattro anni sono stati persi circa 2mila posti di lavoro. E fin qui non saremmo a raccontare nulla di nuovo.

La notizia è che pur continuando la selezione naturale dei fallimenti e delle chiusure, Treviso sta lasciando alle spalle un periodo storico. Sta cambiando pelle e creando un nuovo modello di business. Che comprende anche un’alleanza generazionale. Tra i più giovani e quelli con i capelli bianchi. A fare da calamita è Confartigianato Marca Trevigiana che sta invertendo radicalmente il modello di associazione. Non più sindacato orizzontale che offre i servizi a priori o a prescindere dalle necessità. Ma sistema verticale che parte dai progetti e poi fornisce i servizi. Management in grado di aggregare reti e filiere per fare business.

Tutto parte dal post Benetton

Nella tarda primavera del 2013 arriva una pessima notizia. Benetton avrebbe detto addio a un rapporto preferenziale col territorio della Marca. Da ottobre 80 laboratori sarebbero rimasti senza lavoro. La botta ha fatto accelerare la rivoluzione. Se paradossalmente lo choc non fosse stato così forte in molti avrebbero cercato un surrogato di Benetton. Anche all’estero. Invece – per fortuna – si è cercato di capire perché Benetton era stato costretto a mollare la produzione locale. Non era più sostenibile. Le aziende artigiane non erano più in grado di soddisfare la velocità di consegna imposta dal mercato. «Così abbiamo creato un nuovo modello di business – spiega a Linkiesta Mario Pozza presidente della Confartigianato Marca Trevigiana -, ma prima è stato necessario dividere gli artigiani in due gruppi. Quelli in grado di fornire prodotto finito con rete propria (in genere con marchio) e quelli con prodotto finito ma senza rete propria. Per ciascuna azienda è stata mappata la rete di sub fornitori. È saltato fuori che ognuna ne usava una dozzina. In poche parole, con le prime 12 aziende messe nel network, siamo arrivati a 1.200 dipendenti. Adesso la rete comprende ben ottanta aziende».

Il che significa che Confartigianato aiuta a fare analisi dei costi, valutazione dei ricavi, dei bilanci e della sostenibilità.In sostanza non più come un tempo quando il sostegno era a pioggia. Se un’azienda non è più in grado in nessun modo di alzare il target, migliorare la produzione è meglio che venga accompagnata fuori dal mercato. Piuttosto che si trascini per anni. Una logica di business che di fatto sta aiutando tutti a crescere. Alberto Munari, consulente della locale Confartigianato che ha coordinato “Ies”, incoming exit strategy, il progetto tessile post Benetton che ha l’obiettivo finale di aggredire i mercati esteri, commenta: «abbiamo capito che era necessario creare infrastrutture per far fronte a piani di sostenibilità nel lungo periodo e, dopo aver individuato i valori aggiunti da spendere, trovare il modo di fare leva sui marchi internazionali che ancora usano Treviso (Louis Vuitton, Prada, Missoni) per scalare nuove nicchie di mercato all’estero».

Non solo, la rete ha iniziato a usare in outsourcing servizi delle camere di commercio, di Treviso Tecnologia e dell’Ice (vedi l’approfondimento di settembre sulla filiera del Tessile). Insomma, ottimizzazione su tutti i fronti. Ora si sta cercando di portare a un livello di produzione più alto anche taluni fornitori che sono rimasti sotto la soglia. E questa di fatto è un’altra sfida.

Dell’esperienza, qui a Treviso, nessuno però si è accontentato. Confartigianato ha compreso che il modello si deve replicare in altri settori. E, a nostro avviso, non ha fatto l’errore di trasformare l’esperienza tessile in un concetto teoricoSe il modello vale, deve essere sempre il sottostante di un progetto. Concreto, che generi ricavi, per l’edilizia, per il legno, per la meccanica e il turismo. Così è nato il progetto Casa: sono state riunite aziende artigiane edili, liberi professionisti tra cui architetti, e sportelli bancari.

Creando un network edile, gli acquisti delle materie prime si possono fare in blocco alla grande industria e, trovando prima dell’avvio dei cantieri acquirenti, si è pensato anche di trattare in blocco i mutui dei clienti. «Siamo riusciti – commenta Mirco Casteller, delegato sindacale di Confartigianato – a sviluppare delle case artigiane, con tutti i requisiti ambientali ed ecologici, a mille euro al metro più il costo del terreno. Ci sono già 70 acquirenti e ciascuno avrà una casa da 140 metri quadri. Facile fare il conto di che volume d’affari sia stato generato. Siamo soddisfatti. Ma è solo l’inizio. Poi dovremo occuparci delle ristrutturazioni, sempre più importanti per recuperare volumi e non costruirne di nuovi e poi di abitazioni per anziani».

Chiaramente le case dovranno essere riempite di mobili e allora sarà il turno del progetto legno. Ancora in fase di sviluppo, ma già impostato. Il turismo a Treviso non potrà più prescindere da quanto il territorio produce, in termini di made in Italy. Insomma, queste aziende artigiane (ma si stanno unendo ai progetti anche imprese più grandi attratte dalla nuova verticalità dei servizi) hanno fatto ciò che in Italia è sempre più raro: un esame di coscienza. Hanno analizzato gli errori fatti in passato, le staticità, e sono partiti da lì per proiettarsi sul futuro. L’alleanza con la generazione degli anziani consentirà agli imprenditori più giovani di recuperare tecniche e prodotti del passato che ora stanno tornando profittevoli. I mercati vogliono il top e se scaviamo a fondo nella cultura del made in Italy si trovano tante chicche che saranno il business dei prossimi anni. 

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