La decadenza da senatore di Silvio Berlusconi si avvicina. Il rischio di una crisi di governo anche. Mentre le ultime vicende politiche sembrano finite su un piano inclinato, l’accelerazione di queste ore rende ormai inevitabile lo scontro. È l’atteso voto nella Giunta sul Regolamento del Senato ad aprire un’altra giornata di passione per la sempre più traballante maggioranza. Come ampiamente previsto, in mattinata l’organismo di Palazzo Madama autorizza lo scrutinio palese per l’allontanamento del Cavaliere del Parlamento. È l’effetto naturale della legge Severino, assicurano i senatori di Pd e M5S (a cui si aggiunge la montiana Linda Lanzilotta, decisiva per l’esito finale). Un assalto alla democrazia, per gli esponenti berlusconiani che minacciano «gravi conseguenze» per l’esecutivo.
In assenza del voto segreto, la decadenza del Cavaliere sembra inevitabile. E il primo a sbottare è proprio il diretto interessato. A Palazzo Grazioli, racconta chi ci ha parlato, Silvio Berlusconi accoglie la decisione del Senato come una furia. Irritato per l’ennesima prova di forza degli eterni avversari politici, oggi alleati nel governo delle larghe intese. Ma anche con quanti, all’interno del Pdl, gli avevano garantito la possibilità di trovare in Giunta una soluzione alle sue grane giudiziarie. A nemmeno un mese dall’ultimo voto di fiducia, la fedeltà al governo Letta torna ad essere a rischio. A spingere per la crisi non è solo l’incubo della decadenza. Il Cavaliere sarebbe ormai stanco dell’inutile esperienza dell’esecutivo. La compagine governativa del Pdl non avrebbe inciso nell’azione di Palazzo Chigi quanto si aspettava. E la dimostrazione sarebbe una legge di Stabilità altamente sotto le aspettative, a partire dalla risibile riduzione delle tasse.
Una piccola modifica nell’agenda di Palazzo Grazioli descrive bene il mutato stato d’animo dell’ex premier. Per pranzo è attesa nella residenza romana del Cavaliere la squadra dei ministri Pdl, un vertice per concordare la strategia in vista del primo passaggio parlamentare della Finanziaria. Appena ricevute notizie dalla Giunta del Senato, Berlusconi cancella l’incontro e convoca i coordinatori Denis Verdini e Sandro Bondi. Più tardi riceverà il capofila dei lealisti Raffaele Fitto.
Unito nel condannare le decisioni della Giunta, il Popolo della libertà si conferma diviso tra filo–governativi e non. Mentre il gruppo dirigente si affretta a condannare lo strappo del Partito democratico, i parlamentari berlusconiani continuano a contarsi in vista del prossimo Consiglio nazionale. Da una parte i lealisti, che da giorni stanno raccogliendo le firme attorno al documento già approvato dal recente Ufficio di Presidenza (con la previsione di un rapido passaggio a Forza Italia e l’azzeramento di tutte le attuali cariche). Dall’altra gli “innovatori” vicini al governo, che lavorano a una mozione per confermare impegno e lealtà nei confronti dell’esecutivo.
Il tutto in un clima di timori e sfiducia. Al centro dei dubbi di entrambe le fazioni il ruolo del segretario (ex?) Angelino Alfano. Per alcuni finalmente deciso allo strappo. Per altri niente affatto disposto a dividere il proprio destino da quello del Cavaliere. Del resto, si racconta in Transatlantico, il delfino dell’ex premier non avrebbe ancora firmato il documento dei governativi. In serata una sua dura nota contro il voto della Giunta dissipa gli ultimi dubbi. «La decisione di Scelta Civica e del Pd di sostenere il voto palese assieme al M5S – scrive Alfano – è la violazione del principio di civiltà che regola da decenni il voto sulle singole persone e i loro diritti soggettivi. E ora, innanzitutto in sede parlamentare, lì dove si è consumato questo sopruso, sarà battaglia per ripristinare il diritto alla democrazia». Non sembrano le parole di chi è pronto a scaricare Berlusconi.
Come se non bastasse, l’accelerazione sulla decadenza del Cavaliere rischia di prendere in contropiede l’ala governativa del Pdl. Il tempo a disposizione non è molto. Su pressione di Pd e M5S la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama dovrebbe riunirsi nelle prossime ore – probabilmente già venerdì – per calendarizzare in tempi rapidi il voto sull’allontanamento del senatore Berlusconi. Ecco allora il piano dei falchi berlusconiani: anticipare la convocazione del Consiglio nazionale inizialmente previsto l’8 dicembre. E celebrare l’assemblea prima del voto in Aula. «Se necessario – si racconta alla Camera – anche la prossima settimana».
Prima del definitivo allontanamento di Berlusconi dal Parlamento, di fronte a quello che nel Pdl non esitano a definire un «colpo di Stato», per i filo–governativi sarà difficile smarcarsi. E c’è chi teme che già durante il Consiglio potrebbe consumarsi lo strappo nella maggioranza. Magari con l’approvazione di un documento che anticipi la crisi di governo. Il tutto con buona pace del presidente del Consiglio Enrico Letta, che da Palazzo Chigi continua a chiedere una separazione tra l’azione di governo e le vicende giudiziarie di Berlusconi.