Il nazionalismo arabo non avrebbe la forma attuale senza la sconfitta di Siria, Giordania ed Egitto durante la guerra dei Sei Giorni nel 1967. Il conflitto di sei anni dopo, quello dello Yom Kippur – il 6 ottobre di quarant’anni fa – venne visto dai paesi arabi come occasione di rivalsa per l’umiliazione subita. I cambiamenti in merito ai territori occupati furono minimi, e soprattutto non è mai stato stabilito con certezza chi abbia vinto e chi abbia perso nel conflitto. In Egitto si celebra ancora oggi questa data come “Giornata delle Forze Armate” ed è festa nazionale. Anche in Siria si festeggia. Israele, da parte sua, conservò tutto ciò che aveva preso nel 1967.
Il conflitto del 1973 iniziò con un attacco egiziano nel Sinai, catturato da Israele sei anni prima. Il presidente Anwar Sadat inviò cinque divisioni per un totale di 100mila soldati, con 1.350 carri armati. La prima difesa, lungo il canale di Suez, era rappresentata da 450 israeliani della Brigata Gersalemme. La linea di difesa fortificata “Bar Lev” fu presa dagli egiziani in due ore, e si aprì uno dei conflitti a più alta intensità consumo di consumo di materiale bellico del Dopoguerra. La Siria intervenne nel Golan, a Nord, e Israele fu sul punto di collassare.
La celebre frase del ministro della difesa Moshe Dayan al premier Golda Meir fu che «il Terzo Tempio sta per cadere». Fu chiesto agli Stati Uniti d’intervenire. È emerso anni dopo che la sera del 24 ottobre il presidente russo Leonid Brezhnev invitò gli Usa ad agire insieme per vigilare sul cessate il fuoco, visto che – secondo Brezhnev – Israele continuava a violarlo. Il capo di staff Alexander Haig assegnò la questione a Henry Kissinger, che allora aveva la doppia carica di Consigliere per la Sicurezza Nazionale e Segretario di Stato. L’abile stratega ritenne Nixon “incapace di prendere decisioni importanti”, visto l’impatto nervoso che lo scandalo Watergate stava esercitando sul suo già fragile ego. Kissinger organizzò una riunione dove fu deciso di agire, al solito, “a-la Kissinger”: proporre una negoziazione, ma nel frattempo minacciare un intervento militare. La pace fu raggiunta il giorno dopo. Nixon venne lasciato a dormire.
Ma come fu possibile un fallimento di tale portata dell’intelligence israeliana? L’errore iniziale fu una stima fornita da un agente senior del Mossad, Ashraf Marwan, genero del primo presidente egiziano Nasser e uomo d’affari dall’abilità tipica degli uomini di successo del Medio Oriente. Marwan sosteneva che gli egiziani avrebbero pensato a un attacco solo se avessero ricevuto forniture di Mig-23 e Scud dall’Unione Sovietica. Egitto invece attaccò prima di ricevere gli aerei, e prima che gli Scud fossero operativi.
Il processo decisionale israeliano dimostrò tutti i suoi limiti. Sei ore prima dello scoppio del conflitto, il capo di staff delle forze armate David Elazar informò che Marwan aveva cambiato idea, e che un attacco era imminente. Dayan si oppose non solo a un attacco preventivo, ma anche alla chiamata urgente dei riservisti: aveva paura che Israele potesse essere considerato “l’aggressore”. Dayan ottenne il benestare di Meir: Israele doveva attendere, nell’iper-confidenza sulle capacità del proprio esercito. Golda Meir e Moshe Dayan ritenevano che la chiamata alle armi potesse “essere graduale”, visto che “non era il 1967”.
L’attacco arabo fu quindi una sorpresa a metà, aiutata da sei ore di estemporanea e incredibile incompetenza – incredibile soprattutto considerando il calibro dei due grandi leader israeliani, Meir e Dayan. Ci sono state discussioni anche sulla frase di Dayan, quella del “Terzo Tempio”, in quanto la parola “tempio” poteva essere usata come codice per “bomba atomica”. All’inizio gli Usa erano renitenti all’azione, mentre l’Urss stava organizzando un vivace ponte aereo per rifornire Siria ed Egitto di armi. Dayan considerò per qualche ora l’ipotesi di un attacco, almeno come “dimostrazione di forza” e per render chiaro che Israele non sarebbe scomparso senza trascinare con se i paesi che lo avevano attaccato.
La personalità politica del mondo arabo, umiliata dal conflitto del 1967, trovò qui una forma militare di rivalsa. Non solo Egitto, Siria e Giordania riacquistarono fiducia nella propria macchina militare, ma l’OPEC – per quanto il cartello non fosse esclusivamente arabo – prese a funzionare in maniera credibile, provocando la prima crisi energetica come “vendetta” per il sostegno occidentale a Israele. Dopo il 1973 emerse anche però come la soluzione militare diretta non servisse a nessuna delle parti, e vennero poste le basi per gli accordi di Camp David del 1978, tra Israele ed Egitto, che l’anno successivo avrebbero condotto a un trattato di pace definitivo.
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