EgittoCairo, è stata una diga a mettere in scacco Morsi

Dietro il colpo di Stato del 3 luglio

IL CAIRO – Inizia il processo contro il deposto presidente Morsi (subito rinviato all’8 gennaio) e tornano le manifestazioni in Egitto. Già lo scorso venerdì pro e anti Morsi si sono scontrati ad Alessandria, 50 sono gli arresti. Nei giorni scorsi si sono svolti cortei al Cairo e sono scoppiate violenze nel Delta del Nilo. Mentre a segnare un tentativo di distensione con Washington dopo la temporanea sospensione degli aiuti militari all’Egitto, è arrivato per una visita lampo il segretario di Stato John Kerry che per la prima volta ha incontrato il presidente ad interim Adly el Mansour e il ministro degli Esteri Nabil Fahmy.

In Egitto, tutto è pronto per una nuova campagna elettorale. L’occasione sarà il referendum per l’approvazione della nuova Costituzione, previsto per il prossimo dicembre. Mentre la candidatura alle presidenziali del ministro della Difesa Abdel Fattah al-Sisi diventa sempre più probabile.  Ifai Nasrallah è il coordinatore di una campagna di raccolta firme a sostegno di al-Sisi che, secondo l’organizzatore, avrebbe raccolto già oltre 15 milioni di consensi. Ma a fare ironia sulle cifre ci ha pensato il comico Bassem Youssef che, tornato in televisione, con il suo show El Barnameg (il programma) non ha lesinato critiche né all’esercito né ai Fratelli musulmani sull’esagerazione nel numero (milioni) dei loro rispettivi sostenitori.

Morsi si accinge così ad affrontare l’accusa di aver ordinato di uccidere i manifestanti nelle proteste al palazzo presidenziale del novembre 2012 dopo un anno controverso al potere durante il quale il partito politico Libertà e giustizia, emanazione dei Fratelli musulmani, non è riuscito a controllare le istituzioni pubbliche e a differenziarsi dal potere militare.

Un’immagine del processo all’ex presidente egiziano Morsi, iniziato il 4 novembre

In una straordinaria intervista alla stampa locale, il capo delle forze armate al-Sisi ha ripercorso i rapporti con Morsi prima della sua destituzione. Ha fatto riferimento in particolare all’ultimo incontro del 12 aprile 2013 in cui ha affrontato i temi del progetto di legge, voluto dagli islamisti, sulla creazione di una zona di libero scambio nel Canale di Suez e dell’apparizione sui siti internet vicini alla Fratellanza della mappa dell’Egitto senza il triangolo di Halayeb, conteso da anni con il Sudan. In quell’occasione, al-Sisi ha accusato Morsi di agire solo nell’interesse della sua parte politica e di essere sul punto di far precipitare il Paese nella guerra civile.

Che la politica estera della Fratellanza, dai rapporti con gli Stati Uniti alla gestione del valico di Rafah e al sostegno dell’opposizione al regime di Bashar al Assad, dalle trattative per il prestito del Fondo monetario internazionale ai finanziamenti dal Qatar, sia stata la prima preoccupazione dell’esercito egiziano di fronte al primo presidente eletto, lo dimostrano i nuovi passi avanti nelle relazioni bilaterali con l’Etiopia, avviati in seguito alla destituzione di Morsi. Rappresentanti di Egitto, Etiopia e Sudan si stanno incontrando proprio in queste ore a Khartoum per discutere dell’impatto regionale della costruzione della diga della Rinascita.
 

IL REPORTAGE

Da Qanater a Aswan, la diga secondo gli egiziani

Le barche pubbliche o Nile bus, gialle e verdi, collegano al Cairo le varie sponde del Nilo. Se ne vedono alcune ancorate di fronte al palazzo della televisione di Stato (Maspiro), ma si trovano in ogni angolo della città. Bastano 25 piastre (3 centesimi di euro) per raggiungere Embaba da Zamalek (Abu Feda) e 2 ghinee (35 centesimi) per andare da Tahrir a Giza. Il viaggio è più confortevole che in microbus e la vista è migliore. Ma l’imbarcazione più suggestiva che attraversa il Nilo va da Tahrir a Qanater, rinomata località di villeggiatura. C’è un solo viaggio al giorno, alle 10 del mattino. Il pubblico di questo traghetto è variegato: bambini, donne velate e non, stranieri, due dj allietano il viaggio con musica pop. Al passaggio del ponte di Embaba tutti sono obbligati ad abbassarsi per evitare la struttura di ferro. Il Nile bus attraversa il quartiere di Gezira El-Hurra, mentre lascia sullo sfondo le ciminiere delle industrie elettriche di Shubra. Ad un certo punto non si scorgono più palazzi e grattacieli, ma campi verdi, di banane, mucche, case basse e pescatori. I passeggeri sbarcano a Qanater, i bambini cavalcano su piccoli cavalli o si affrettano tra le giostre. Abbiamo raggiunto la diga costruita nell’Ottocento da Mohammed Ali in stile inglese, con pietre e torri. Da qui comincia il nostro viaggio tra Cairo e Addis Abeba per scoprire i misteri di uno dei progetti più controversi ideati tra le acque del Nilo: la Grande diga della Rinascita che mette in crisi le relazioni tra Etiopia ed Egitto.

Anche ad Assuan, la piazza della Fermata (Mohatta) è stata occupata dagli islamisti mentre a Rabaa el Adaweya, i sostenitori dei Fratelli dimostravano il loro appoggio per l’ex presidente Morsi.

Il lungo Nilo è ancora vuoto mentre continua lo stato di emergenza e le feluche ormeggiano nei piccoli porti. Quasi nessun turista viene da queste parti da mesi. Ma la vita del centro prosegue viva. Anche qui non si fa che discutere del progetto etiope. Lo scorso maggio l’Etiopia ha avviato la deviazione delle acque del Nilo, parte dei lavori per la costruzione della diga della Rinascita. L’imponente opera del governo di Addis Abeba, il terzo (Gibe III) di una serie chiamata Gilbel Gibe, dovrebbe costare intorno ai 3,5 miliardi di euro con finanziamenti diretti del governo di Addis Abeba e con un contributo di 1,3 miliardi di euro dalla Cina. Questo assetto dei finanziatori si è concretizzato dopo il grande rifiuto di concedere prestiti da parte della Banca europea per gli investimenti (Bei), in seguito alla pubblicazione del rapporto sulla costruzione della prima diga Gilbel Gibe di cui parleremo in seguito.

Visitiamo l’immensa diga, costruita per volontà di Gamal Abdel Nasser tra il 1964 e il 1970, per proteggere il paese dalle inondazioni e stabilizzare la produzione agricola. A ricordare questo evento straordinario ci pensa il monumento all’amicizia tra Egitto e Unione sovietica, che finanziò l’opera. I lotti, dove vivevano gli ingegneri sovietici che hanno costruito l’immensa muraglia, si trovano nel quartiere Sahary e sono ora abitati da egiziani. Tre foglie di loto culminano in una ruota, mentre spiccano le scritte in cirillico e il simbolo della falce e il martello, accostato alle sagome di Gamal Abdel Nasser e Anwar al-Sadat. Non si può più salire in cima perché cinque stranieri, tra cui uno svedese, arrivati al punto più alto con un ascensore, hanno deciso di volare per un sicuro suicidio. «Questa diga è la vittoria dell’uomo sulla natura»: recita la scritta. E a vedere l’immensa opera in granito viene da pensare che in quelle parole c’è qualcosa di vero. L’isola di File sorge tra la vecchia Diga (del 1902) e l’Alta diga. Mentre sull’isolotto una portaerei è pronta ad intercettare ogni attacco a questo immenso luogo sensibile. C’è un piccolo porto poi da cui partono navi passeggeri per il Sudan.

Le 12 turbine dell’Alta diga di Assuan lavorano metà per generare elettricità (22% del fabbisogno nazionale) e metà per l’irrigazione agricola, per una produzione totale di circa 2 mila Mw l’anno. Il lago Nasser di 5200 km/2 serve da bacino idrico, e contiene l’acqua in eccesso che viene usata per l’irrigazione dei campi. Ma l’Alta diga non è stata immune da effetti estremamente invasivi sul territorio che hanno causato prima di tutto l’aumento della salinità dell’acqua e una diminuzione della fertilità del terreno. Ma ancora di più ha provocato lo spostamento forzato di decine di migliaia di nubiani. I nubiani, principalmente contadini, spesso integrati nel tessuto sociale, vivono ora nei quartieri Gharb Sehail e Nasser el-Noba nel centro di Assuan. Anche qui si è formato un movimento di opposizione alla stesura della nuova Costituzione, approvata nel dicembre scorso e poi sospesa dopo il colpo di stato. Chiedevano che il nubiano venisse riconosciuto come seconda lingua di stato e fosse insegnata nelle scuole. Ma non hanno ottenuto neppure questo.

L’esperto Alaa El-Zawahry sostiene che il progetto etiope non segue le norme procedurali. Secondo Zawahry se l’Etiopia procedesse con la costruzione della diga della Rinascita, le acque del Nilo nelle disponibilità egiziane diminuirebbero da 55 milioni di metri cubi a 40, impedendo all’Alta diga di Assuan di produrre energia elettrica. E di conseguenza le terre coltivabili in Egitto diminuirebbero del 30%. Non solo, secondo l’Istituto di Statistiche nazionale, l’Egitto richiederà una quantità aggiuntiva di 21 miliardi di metri cubi di acqua nei prossimi anni, come conseguenza dell’atteso aumento demografico. Ma non tutti concordano con questa versione. «Che con Gibe III diminuisca drasticamente la disponibilità dell’acqua del Nilo in Egitto è una forzatura dei media» – inizia l’ingegnerie Mohammed Lashin, ricercatore dell’Assuan Power Electronics Research Centre. «Anche la diga etiope, oltre il doppio dell’Alta diga di Assuan, servirà per uso agricolo – prosegue il ricercatore – Per questo deve essere costruito un bacino di 2 milioni di metri cubi di volume, il doppio del nostro lago Nasser. Se dovessero raccogliere quest’acqua in soli 4 anni, provocherebbero una diminuzione della produzione di elettricità dell’Alta diga pari al 40% (dal 22 passerebbe al 13%). Lo stesso succederebbe con la centrale di Shubra. Ma se questo periodo si dilatasse in 10 anni l’impatto sarebbe minore. Il vero problema è che l’ex presidente Mubarak trattava gli etiopi senza rispetto e questo li ha spinti a progettare la diga non negoziando con gli egiziani. Mentre Morsi ha perso tutta la sua credibilità mostrandosi incapace di gestire la crisi con Addis Abeba», conclude Lashin.
 

In Etiopia, la distruzione della Valle dell’Omo

Dall’altro lato del fiume, i problemi da affrontare sono simili. Abbiamo discusso all’Università di Addis Abeba con alcuni esperti, coinvolti nel progetto Gibe III. «Le polemiche egiziane sono del tutto infondate», ci spiega il professore di Ingegneria civile dell’Università di Addis Abeba, Yilma Seleshi. «L’Etiopia ha gravi problemi di corrente elettrica. La nuova centrale idroelettrica è importante per lo sviluppo del paese, porterà ad un incremento nella disponibilità di energia di 5250 Mw», ha aggiunto. «Il progetto della diga Gibe III prevede la formazione di un lago artificiale dalla superficie quadrupla rispetto al lago Nasser in Egitto», ammette Yilma Seleshi. Nei progetti etiopi si prevede la possibilità che il governo di Addis Abeba venda energia a Sudan, Uganda e paesi vicini. Secondo l’ingegnere Saleshi il progetto della diga porterà così vantaggi anche agli altri paesi della regione. «Nel lago Nasser in Egitto non piove mai, ma si produce energia grazie all’evaporazione delle acque. In Etiopia si può contare invece sia sulle piogge che sull’evaporazione», commenta Seleshi. E così, questo progetto potrebbe dare un respiro di sollievo ad un paese in cui un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il cui reddito pro capite è di appena 900 euro l’anno.

Ma Gibe III non convince tutti in Etiopia. Per le tribù della Valle dell’Omo, circa 200mila persone, dove sorgerà la Diga, iniziano tempi duri. Secondo esperti e antropologi, non sono state effettuate adeguate valutazioni di impatto ambientale e sociale prima della costruzione dell’opera. Per esempio, Marco Bassi, antropologo dell’Università di Oxford, che ha visitato le aree che coinvolgono il progetto secondo le mappe ufficiali, ammette: «Non sono segnati i villaggi esistenti, non si traccia in modo preciso la distinzione tra zone agricole e selvatiche mentre quelle a pascolo non sono nemmeno indicate. Le tribù dei Kara e dei Kwegu che vivono lungo il corso del fiume sono condannate all’estinzione e anche tutte le altre che abitano sul Delta vedranno compromesse le loro fonti di sostentamento».

Per questo la think tank Survival Internationalha lanciato una campagna per la salvaguardia della Valle dell’Omo e per la sospensione dei lavori di costruzione della diga Gibe III. Su questo concorda anche uno studio di International River che afferma: «Gli agricoltori locali piantano le colture lungo le rive del Nilo dopo ogni piena annuale. Queste ridanno vita ai pascoli per il bestiame e segnano l’inizio della migrazione dei pesci. Se non si fermeranno i lavori, la diga provocherà carestie croniche, e un generale disfacimento dell’economia della regione». Non solo, una volta conclusa l’opera, lo scopo del governo etiope è di affittare le terre (120mila ettari) ad aziende e multinazionali straniere.
 

I Salini: tra crolli e aiuti di Stato

Per questo, l’ex vice ministro degli Esteri egiziano Magdi Amer ha puntato il dito contro l’assenza di informazioni esaurienti da parte delle autorità etiopi sugli studi di impatto ambientale del progetto della Grande diga Gibe III. Amer ha parlato di un possibile crollo per la conformazione del suolo e ha sottolineato la necessità di non avere fretta nella realizzazione del progetto.

E sulla fattibilità di Gibe III entra in gioco l’Italia. Per Gibe II (una galleria di 27 km che per produrre energia sfrutta la differenza di quota tra il bacino di Gibe I e il letto del fiume Omo più a valle) non sono stati d’ostacolo i pareri negativi di diversi uffici ministeriali italiani, così il governo ha concesso un credito di 220 milioni di euro ai costruttori Salini. Nel febbraio 2010 la galleria Gibe II è crollata (questo spiega il negato finanziamento di Bei al progetto Gibe III), pochi mesi dopo la visita dell’allora ministro degli Esteri Franco Frattini ad Addis Abeba per inaugurarla.

Senza una gara di appalto pubblica, nonostante il crollo del 2010 e in assenza di una valutazione di impatto ambientale, sono di nuovo i Salini Costruttori (proprietari di alcune aziende i cui dirigenti sono esponenti politici del Popolo delle Libertà – per esempio Todini spa) ad essere assegnatari del progetto Gibe III. Abbiamo più volte tentato di incontrare i dirigenti dei Salini ad Addis Abeba e a Roma, ma si sono sempre rifiutati di parlare dei rischi del progetto e delle responsabilità nel crollo del 2010. Tuttavia, in una rara intervista, dopo l’approvazione del progetto etiope, i Salini hanno commentato: «Abbiamo previsto rilasci d’acqua controllati a beneficio dell’agricoltura e progettato l’invaso in modo che si riempia a una velocità compatibile con la quantità delle piogge. Questa è un’occasione per trasformare l’Etiopia in un esportatore di energia, se l’Italia non farà la sua parte la faranno i cinesi, che si sono già aggiudicati la costruzione della diga Gibe IV».

Il progetto della diga della Rinascita smaschera decenni di vantaggi garantiti ad Egitto e Sudan nella gestione delle acque del Nilo che hanno gravemente impoverito l’economia etiope. Tuttavia, secondo i suoi detrattori, proprio dal Nilo è iniziato il declino politico di Morsi, culminato nel colpo di stato del 3 luglio scorso e che avrà il suo epilogo nel processo per ora rinviato al prossimo 8 gennaio.

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