Cancellieri si dimetta, contro forcaioli e benaltristi

Ligresti gate

Il caso Cancellieri non si placa e sta incendiando il dibattito pubblico riproponendo, radicalizzate, alcune delle peggiori polarità italiane. Giovedì pomeriggio, appena arrivata la notizia della telefonata del ministro con la compagna di Salvatore Ligresti e poi di quella in cui il Guardasigilli sensibilizza ai dirigenti dell’amministrazione penitenziaria il caso della figlia dell’ingegnere di Paternò, Giulia, detenuta in carcere nell’ambito del processo Fonsai, abbiamo scritto (http://www.linkiesta.it/cancellieri-ligresti) quel che ci sembra una posizione chiara e di buon senso sull’episodio. 

Nel frattempo il tormentone è montato, si è arricchito di altri particolari – ad esempio gli screzi tra Giulia Ligresti e il figlio del ministro, già manager di prima fila della Fondiaria Sai e la deposizione in cui Salvatore Ligresti dice di aver interceduto presso Berlusconi per una posizione della Cancellieri allora prefetto – illuminando i vizi perenni del nostro dibattito pubblico che provo a riassumere in tre tronconi.

Uno. Il caso Cancellieri sta rinfocolando i teorici del “dov’è lo scandalo?” (quota minoritaria ma battagliera su giornali, tv e social media), i quali minimizzano l’episodio esibendo un cinismo istituzionale che non si può certo sdoganare quando in ballo ci sono cariche pubbliche. “Cosa ha fatto di male Cancellieri?”, “E’ intervenuta per una amica”, “La stessa procura di Torino ha detto che non c’è stata alcuna interferenza”, “Cancellieri è da tempi non sospetti contro il sovraffollamento delle carceri, vuol promuovere l’indulto”, ecco le attenuanti più in voga in queste ore, che portano a giustificare l’accaduto, mescolando amicizia e ruoli istituzionali senza cogliere la vera essenza della questione.  

Due. Il caso Cancellieri sta rinfocolando i forcaioli in servizio permanente effettivo (di gran lunga l’esercito più numeroso) che fanno un mischione sospettoso di tutto e di tutti usando l’amicizia quarantennale del ministro con la famiglia Ligresti come anticamera di colpevolezza e disdoro. L’ennesima chiamata alle armi di un populismo giudiziario che tanti danni ha fatto in questo paese. Per questa gente non è tanto la telefonata a scandalizzare, non è tanto il doppio standard – l’avesse fatta per un povero cristo probabilmente avrebbero applaudito -, è la pastetta ministro-potente di turno a far scattare l’indignazione. E via con l’elenco dei misfatti ligrestiani, i furti, le ruberie, le condanne. Sono tutte cose acclarate e denunciate da questo giornale come da altri media, intendiamoci. Nessuno sconto ai Ligresti. Ma, davvero, nel caso della telefonata della Cancellieri, non è questo il punto in questione e il nodo dello scandalo.  

Tre. Il caso Cancellieri, specularmente ai forcaioli, sta rinfocolando la pattuglia dei benaltristi che usano l’indecente stato delle carceri italiane, l’abominio delle carcerazione preventiva di cui questo giornale parla spesso e volentieri (http://www.linkiesta.it/lezione-di-scaglia-sulla-giustizia-italiana) ritenendolo uno dei cancri di questo paese, per giustificare in tutto o in parte l’intervento del ministro. Anzi facendosene scudo usano l’episodio per attaccare a loro volta il giustizialismo di ritorno.

Secondo noi queste tre posizioni sono tutte viziate. Crediamo che la situazione sia diversa e le ragioni per cui Cancellieri ha sbagliato in modo grave, e per cui dovrebbe dimettersi, sono altre: non questioniamo le amicizie, qualsiasi amicizia, ci mancherebbe, anche se il personaggio in questione si chiama Ligresti; non questioniamo l’abominio delle carceri italiane, questo giornale si batte da sempre contro questa piaga al pari di una riforma seria e radicale della giustizia e di un capitalismo finalmente trasparente e aperto che superi gli intrecci e gli incesti di cui il sistema Ligresti è stato grande attore; e aborriamo i linciaggi mediatici e il populismo giustizialista. Questioniamo invece su un punto, in fondo semplice ma decisivo. Cancellieri ha sbagliato e deve risponderne perché ha travalicato il suo ruolo di imparzialità che gli impone il ruolo che ricopre e perché sensibilizzare la giustizia non può restare privilegio di chi abbia il numero di telefono del ministro (che tu sia Ligresti o l’ultimo dei cittadini di questa repubblica non fa differenza), tanto più in ambiti così delicati come la detenzione e le libertà personali. Punto e stop. Senza contare il doppio standard del governo Letta: siamo sicuri che se quella telefonata l’avesse fatta un ministro di seconda fascia, il caso Josefa Idem docet, non sarebbe già più in carica. Anche questo, un doppiopesismo fastidioso.