Con Glenn Cooper ripartiamo alla ricerca del Graal

Intervista

L’America, nell’immaginario comune, rappresenta l’Eldorado, la terra delle seconde occasione, l’apice del successo e della celebrità. Eppure per alcuni artisti avviene il processo inverso e fatalmente, pur essendo born in the U.S.A. — citando Springsteen — finiscono per trovare il successo lontano da casa, sulle sponde della vecchia Europa. Pensiamo a Woody Allen oppure al caso di Glenn Cooper, vero self-made americano laureatosi in medicina e archeologia, con alle spalle una carriera trentennale da manager nell’industria farmaceutica. Eppure la costanza nella ricerca dell’agente letterario alla fine lo hanno premiato e oggi deve la sua notorietà proprio all’Italia, dove ha superato quota 2 milioni di copie con la Trilogia inaugurata da La Biblioteca dei Morti (completata da Il libro delle anime e I custodi della biblioteca). Glenn Cooper è appena tornato in libreria con Il Calice della Vita (Editrice Nord, pp.416 €19,60) dove affronta una sfida che lo porta nell’alveo degli scrittori cult, ovvero la ricerca del Graal. Come di consueto l’avventura parte dal lontano passato, addirittura dalla nascita dell’universo — nell’intervista chiarirà cosa ne pensa di creazionismo ed evoluzionismo — per poi oscillare fra l’Inghilterra del XV e i giorni nostri. La ricerca in chiave moderna del Graal metterà sulla strada del protagonista, Andrew Malory, una spietata organizzazione ma le trame di Cooper porteranno il lettore sino alla conoscenza con Thomas Malory, un cavaliere inglese del 1400, imprigionato ed evaso rocambolescamente, autore di un libro tutto da (ri)scoprire sulla ricerca del Graal…

Perché hai scelto di scrivere del Graal? Probabilmente è l’oggetto di culto dei libri di avventura. In un certo senso scriverne è anche accettare una bella sfida…

Credo che tu abbia fatto subito centro con questa domanda. Da un lato è abbastanza facile scrivere del Graal perché la tradizione storica è senz’altro affascinante. Ma la vera sfida era quella di trovare una nuova prospettiva poiché sul tema si è scritto tanto e dai punti di vista più disparati. La mia idea era di affrontare l’argomento filtrandolo fra scienza e religione. La questione centrale del libro, è proprio questa: il credo delle religiose fondamentali e la scienza razionale possono avere un terreno di incontro comune?

Mi piace molto l’idea che il Graal, in senso lato, possa essere inteso come una metafora per una ricerca spirituale. Credi che la generazione di Google e Wikipedia ne avrebbe bisogno?

Non credi che ne avremo sempre bisogno? In epoca medievale, non si trattava di ricerca spirituale ma della necessità di recuperare sacre reliquie; non solo il Graal ma anche altri artefatti della tradizione giudaico-cristiana, come l’arca del patto, la lancia del destino e pezzi della vera croce. Quelle missioni sono state eseguite da cavalieri con abilità di combattimento e cuore puro. Le nostre missioni sono diverse. Oggi noi cerchiamo la conoscenza delle forze fondamentali del cosmo, viaggiamo attraverso il sistema solare, cercando di svelare le complessità della biologia molecolare. Coloro che svolgono queste missioni non sono guerrieri in senso tradizionale, ma mi piace pensare che non siano meno puri di cuore delle loro controparti antiche.

In America il contrasto fra evoluzionisti e creazionisti è molto duro. Le tue pagine introduttive parlando dell’origine della vita senza lesinare una terminologia scientifica e sembrano chiarire il tuo punto di vista…

Per essere un creazionista in senso tradizionale, ovvero secondo una concezione fondamentalista americana, è necessario abbandonare il campo della scienza e dell’intelletto. L’evoluzione è un dato di fatto. Chiaro e semplice.

Portare in pagina Gesù Cristo e Giuda non è cosa da poco… ma nell’Inghilterra del XV secolo scegli Thomas Malory come protagonista. Perché lui?

Conoscere la storia di Thomas Malory è un esempio lampante dei piaceri che ricevo dalle ricerche storiche. Prima di questo progetto non sapevo granché ma più approfondivo la sua storia, fatta di luci e ombre, più mi affascinava e alla fine si è conquistato il ruolo centrale nel mio romanzo. Malory è stato un cavaliere medievale con una carriera militare e politica di pregio ma venne incarcerato due volte e con accuse assai poco cavalleresche, ovvero stupro e furto. Tuttavia mentre era in prigione scrisse uno dei libri più importanti della storia di cronaca della vita di Re Artù e la ricerca del Graal. Le Morte d’Arthur. Wow.

Con i tuoi libri hai viaggiato in lungo e in largo nella storia dell’umanità. Potendo scegliere in quale epoca vorresti vivere?

Mi piacciono troppo i comfort moderni per scegliere un’altra epoca. Ma se potessi visitare un epoca — e tornare al presente! — senza dubbio sceglierei l’Inghilterra elisabettiana, l’età di Shakespeare. La possibilità di vedere una delle sue opere al Globe Theatre sarebbe incredibile…

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Parliamo di scrittura. È tutta questione di dura disciplina e desiderio? O c’entra anche l’ispirazione?

Hai descritto i tre elementi essenziali: l’ispirazione, il desiderio e la disciplina. Senza uno d’essi non vedo come si possa produrre un romanzo, perché per loro stessa natura, sono imprese ambiziose e logoranti. Senza l’ispirazione, non ci sono idee e quindi addio alle trame. Senza il desiderio di scrivere qualcosa che altri potrebbero voler leggere viene meno il carburante per organizzare la tua vita in funzione del bisogno di scrivere. Senza disciplina, infine, non c’è modo di tenere fermo il culo sulla sedia dalla mattina e scrivere, fino a quando il tuo cervello dice «ok, per oggi basta».

Ogni anno migliaia di thriller vengono pubblicati ma solo pochi arrivano al successo. Il fatto di essere anche uno sceneggiatore ti aiuta nella costruzione dei tuoi libri?

A mio avviso, il background della sceneggiatura è il mio ingrediente segreto

Addirittura?
Sì, perché la sceneggiatura ti costringe a pensare alla trama e soprattutto al ritmo; devi tenere presente lo sviluppo dei personaggi e il loro percorso psicologico, senza dimenticare di creare dialoghi efficaci. Se uno scrittore non mette frasi realistiche in bocca ai suoi personaggi, il libro non va da nessuna parte.

Sei noto per le tue follie bibliofile per documentarti… quanti libri hai comprato per documentarti per Il Calice della Vita?
Ho letto circa 250 libri per scrivere questo libro. In alcuni casi ho letto solo delle parti e altri dalla prima all’ultima pagina. Ma per i più importanti, i miei preferiti, ne ho comprate tre copie: l’ebook per una prima lettura, un primo libro cartaceo per contrassegnarlo con delle note e infine un secondo libro, solo per avere una copia intonsa nella mia biblioteca. Pazzesco, vero?

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