Arriva quasi in sordina, all’interno di un convegno promosso dal Vaticano sulla tratta di esseri umani, la presa posizione della Santa Sede su uno dei capitoli più drammatici della storia recente dell’Argentina: vale a dire la vicenda delle adozioni dei figli dei desaparecidos da parte di famiglie di militari durante gli anni della dittatura. Peraltro alcuni dei bambini nati da genitori sequestrati furono ‘donati’ a famiglie benestanti anche oltre i confini del Paese sudamericano, Europa compresa. Nella lunga presentazione curata dalla Pontificia accademia per le scienze sociali dell’incontro “La tratta di esseri umani, una moderna schiavitù”, si legge fra l’altro: “oggi, ad esempio, le scienze naturali possono fornire nuovi strumenti da impiegare contro questa nuova forma di schiavitù, quali un registro digitale per confrontare il DNA dei bambini scomparsi non identificati (inclusi i casi di adozione illegale) con quello dei loro familiari che ne hanno denunciato la scomparsa”. L’Osservatore romano va però oltre e aggiunge poi che questa impostazione è già diventata “una proposta lanciata da uno Stato latinoamericano” ed è “finalizzata a inserire tale obbligo (l’istituzione del registro genetico per i bambini scomparsi, ndr) nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale”; il tutto verrà reso noto in questi giorni in Vaticano, nella Casina Pio IV, dove ha luogo il convegno sulle nuove schiavitù.
La sensibilità del Papa sul tema del commercio di esseri umani è nota, è un problema che ha toccato e sollevato più volte. E lo stesso Cancelliere della Pontificia accademia per le scienze sociali, monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, ha spiegato che l’iniziativa è nata per volontà dello stesso Bergoglio. Ma c’è anche un altro elemento da considerare. Lo scorso aprile quando una delegazione di ‘Abuelas’, le nonne, di ‘plaza de Mayo’, (l’associazione argentina che cerca i nipoti scomparsi durante la dittatura) venne a Roma per incontrare Francesco, rivolse un appello pubblico al papa affinché la Chiesa si decidesse infine a mettere a disposizione i propri archivi per provare a ricostruire le identità di quei figli rubati alle madri durante la detenzione e dati in adozione agli ufficiali dell’esercito e alle loro famiglie.
Il perché di una simile richiesta è presto detto. Da una parte è possibile che alcune parrocchie abbiano conservato traccia del battesimo e della provenienza di quei neonati cui è spesso seguita un’azione di occultamento dell’identità originaria; in altri casi però – spiegò Estela Carlotto, leader delle abuelas – le adozioni illegali avvennero con il contributo di associazioni cattoliche o di singoli esponenti del clero. Fra le organizzazioni chiamate in causa esplicitamente dalle ‘abuelas’ e dai sopravvissuti alla detenzione, c’è il ‘Movimiento familiar cristiano’; un organismo di orientamento conservatore molto impegnato sui temi bioetici e della famiglia. Va sottolineato che i leader del movimento in questione, Pablo Adrian Cavallero e Marcela Estela Benhaim Varela, sono a pieno titolo membri di un dicastero vaticano: il Pontificio consiglio per la famiglia. Dunque la vicenda ha una sua propaggine, sia pure indiretta, che arriva fin dentro i sacri palazzi.
Va comunque ricordato che la loro nomina in Vaticano risale solo al 2009, gli anni della dittatura – 1976-1983 – sono insomma molto lontani, e tuttavia la vicenda continua ad essere tremendamente d’attualità in Argentina dove la questione ha avuto nuova eco proprio in ragione dell’elezione al soglio di Pietro dell’ex arcivescovo di Buenos Aires. Quando Estela Carlotto venne a Roma spiegò con chiarezza che l’obiettivo non era quello “di vedere i registri della Chiesa per accusare questo o quel prete, ma per ritrovare i nostri nipoti”. Sta di fatto che una volta tornate in patria dopo l’incontro con il papa, le abuelas ricevettero le disponibilità non formale della conferenza episcopale argentina, attraverso il presidente monsignor José María Arancedo, a collaborare su questo delicato aspetto della vicenda. Insomma una breccia sembra essersi aperta.
Ora arriva questa proposta operativa, fatta propria da una delle più autorevoli strutture vaticane con il placet della Santa Sede, di mettere a punto un registro digitale per stabilire le possibili connessioni fra il Dna dei figli adottati illegalmente e quello dei genitori che li reclamano; una sorta di gigantesca banca dati per contrastare il traffico di esseri umani ma che, inevitabilmente, richiama in modo evidente il nodo delle adozioni clandestine negli anni della dittatura militare. Si parla esplicitamente, nel documento della Pontificia accademia per le scienze sociali, di “ninos desaparecidos”, di adozioni illegali, dei familiari che li reclamano. Non solo: si sottolinea che questa pratica rientra nei crimini internazionali; fra l’altro all’incontro sulla tratta in Vaticano prendono parte diversi rappresentanti delle istituzioni politiche ed ecclesiali argentine, compresa la commissione giustizia e pace dell’episcopato. Il riferimento al caso dei bambini rapiti dai militari è dunque fortissimo pure se la proposta riguarda ovviamente un problema terribilmente attuale: le migliaia di adozioni illegali in tutto il mondo e in particolare nei Paesi poveri. Bisognerà vedere ora se l’’iniziativa romperà definitivamente l’omertà di alcuni ambienti ecclesiali e cattolici del Paese sudamericano che fino ad oggi hanno preferito tacere. Si parla di circa 500 figli adottati illegalmente negli anni del regime militare, mentre più di 100 sono stati fino ad ora recuperati.