Il 1992 è un anno importante, un anno che definirei fondativo, e non solo perché a settembre ho cominciato la quarta ginnasio – eseprienza che ha influenzato le mie scelte dalla laurea in economia, al lavoro da impiegato – ma soprattutto per gli sconvolgimenti e le grandi apparizioni che hanno manipolato il futuro della musica mondiale. Sono frivolo rispetto a chi commemora i lutti di quell’anno. Ma a me la musica piace, la consumo, quello che canticchio al mattino diventa la colonna sonora delle mie giornate e mi accomuna a molti, magari pure a Falcone e Borsellino. Magari. Non voglio sembrare blasfemo oltre che frivolo. Malgioglio e Mario Merola intonano Futtetenne e io vado avanti.
In quell’anno molte cose cambiano: i Nirvana con Smells Like Teen Spirits vincono due premi, uno per il video, un altro come artisti emergenti. La leggenda vuole e anche Wikipedia lo conferma che i ragazzotti di Seattle avessero provato Rape Me, accendendo le assordanti sirene d’allarme dei dirigenti di MTV; alla premiazione hanno suonato Lithium, ma all’inizio dell’esibizione hanno accennato un paio di note della canzone incriminata. La canonizzazione del Grounge ne segna la rapida decadenza e nel frattempo in Inghilterra nascono gli Elastica e pure il Brit Pop che ha fornito molte più colonne sonore alle mie giornate di quante tutto il pop italiano anni ’60, cover comprese.
Parlando dell’Italia, è l’anno di Lorenzo 1992, di Jovanotti che si fa chiamare ancora Jovanotti, ma dà segni di rivoluzione con testi ricercati e una barba guevariana.
Intanto la Corea del Sud affronta la sua rivoluzione culturale, incarnata in tre ragazzi che si dimenano in televisione. Prima di allora nessun cantante aveva mai accennato passi di danza esibendosi, prima di allora tutto era musica popolare, ballate rock di ispirazione americana o ballate pentatoniche di ispirazione giapponese.
Seo Taiji and the Boys lanciano il singolo Nan Arayo, ovvero Io lo so, e per 17 settimane tengono la prima posizione delle classifiche perché sono esagerati. La loro prima apparizione sulla MBC davanti a un pubblico di critici scettici ha decretato il trionfo fra i giovani, che hanno divorato i ritmi New Jack Swing mutuati da MC Hammer e hanno popolato sogni di capigliature radicali, spalline eccessive e pantaloni bracaloni. Così è nato il K-Pop, o meglio, così si dice.
C’è qualcuno che affronterebbe la questione in termini molto più strutturati dicendo che la nascita del K-Pop è una storia di misteri, di relazioni pericolose. Una storia di liberazione, di lotta alla censura, di progresso e di emancipazione economica.
La storia di un regime militare terminato con il trionfo della democrazia; di un presidente progressista che ha spinto i colossi industriali del paese a investire in cultura accorgendosi che gli incassi al botteghino di Jurassic Park valgono quanto vendere un milione e cinquecento Hyundai; di un altro presidente che poi è diventato premio nobel per la pace, che si è fatto chiamare Presidente della Cultura, che ha avviato programmi di sviluppo quinquennali per l’industria culturale improntati all’esportazione e all’inseguimento delle performance di Stati Uniti, Europa e Giappone. È innovazione tecnologica e liberalizzazione, apertura dei mercati nel rispetto dell’identità nazionale.
Qualcun altro puntualizzerebbe cercando di definire cos’è la cultura, e, soprattutto se questo qualcuno è italiano, non affronterebbe mai la questione in termini numerici.
Ma il successo di Psy e Gangnam Style con i suoi due miliardi di visualizzazioni su You Tube, o delle Girls’ Generation che recentemento spopolano negli Stati Uniti, per quanto discutibile, è un fenomeno da studiare. Un progetto frutto dei vent’anni che giornali Cinesi hanno definito Hallyu ovvero Korean Wave, suona un po’ New Wave ma ha una portata molto più ampia; è uno tsunami che ha investito tutta l’Asia, ha fatto disperare gli ideatori del J-Pop che sono arrivati troppo presto, prima degli Mp3, prima di Napster, Weibo, Naver e You-Tube; sta impensierendo le major occidentali e ha spinto la Sony a valutare investimenti in Corea del Sud, dopo le numerose acquisizioni oltre alla più famosa della BMG. Sono affari e quello che va fatto, parafrasando Gordon Gekko, conviene farlo per soldi. Gli adolescenti si innamorano dei testi per nulla trasgressivi, per lo meno quelli che possono capirli, i ritornelli in inglese parlano d’amore e cuori infranti, sono ossessivi e hanno ritmo. È musica da vedere oltre che da ascoltare. Colori, acconciature, abbigliamento e coreografie irrompono nell’immaginario, per essere ammirate o parodiate, importa solo attirare attenzione, click e possibilmente capitale.
Tre agenzie non si contendono il mercato mondiale, ma si coordinano sotto il grande ombrello United Asian Management per esportare musica, video, serie tv. Le major coreane hanno aperto scuole, organizzano concorsi, sviluppano nuovi format per imporre il Korean Style da Singapore al Perù, ovviamente passando da Medio Oriente, Europa e Stati Uniti. I ritmi compulsivi riempiono Bundaran, Piazza del Popolo, il Trocadero, Alexander Platz; una lista infinita che se avete la curiosità di verificare serve solo inserire le parole chiave Flash Mob K-Pop su You tube.
E proprio uno dei Boys di Seo Taiji, uno che ballava ma non si è voluto ridurre come Mauro Repetto, Yang Hyun-suk ha fondato la YG Entertertainment, nata per seconda dopo la SM e prima della Jyp di un altro ex artista. Il volume d’affari mosso da questre tre multinazionali della cultura è spaventoso. È difficile stare dietro ai lanci di nuovi gruppi e nuovi solisti che creano una massa critica importante da cui emergono fenomeni come le 2Ne1, della YG, quella del quasi Mauro Repetto, ma questa è un’altra storia figlia del 1992.