Ecco cosa abbiamo deciso di fare: prima di tutto, ognuno di noi ha creato un ranking di ogni squadra NBA, dalla migliore alla peggiore, poi abbiamo dato un valore da 1 a 30 per ogni posizione, li abbiamo sommati, e abbiamo creato la classifica finale. Questa è stata a sua volta divisa in cinque sotto-gruppi, ai quali ho dato un nome totalmente arbitrario, e poi ho scritto a Mauro Bevacqua, direttore di Rivista Ufficiale NBA, e Francesco Pacifico, il cui ultimo romanzo, Storia della mia purezza, è stato descritto da Flavio Tranquillo come «il Rajon Rondo dei romanzi italiani», chiedendo le loro opinioni a riguardo. Ecco cosa ne è venuto fuori.
TIM SMALL: Benvenuti Mauro e Francesco a questa guida ufficiosa alla NBA 2013-2014. Iniziamo dal gruppo 5, ovvero il gruppo Frank The Tank, in onore del più grande personaggio della carriera di Will Ferrell, quello che ha fatto questo, che è l’ultima volta che mi sono fatto un pochetto di pipì addosso vedendo un film (a mia discolpa, erano ancora gli anni in cui fumavo tantissima erba). Il riferimento al tanking è ovvio: qui ci sono squadre che, se a metà stagione, per qualsiasi ragione, si troveranno loro malgrado in quella zona che non è playoff ma nemmeno terribile, faranno sicuramente ulteriori trade per finire più in basso possibile (da questo punto di vista, ci sarà da tenere d’occhio i Celtics e la trade di Rondo, che penso che avverrà prima di marzo). D’altronde, alla fine dell’arcobaleno di sconfitte ci sta Andrew Wiggins, che è già stato profilato da GQ come il “Canadian LeBron” e attorno al quale molte squadre sono disposte a rifondare completamente. Ma non si tratta di una Draft Class che regalerà un solo grande campione prescelto, ma, almeno dicono, si tratta di un’annata che andrebbe a rivaleggiare quella del 2003 (quella di LeBron, Wade, Bosh, Carmelo) o addirittura quella del 1996 (quella di Kobe, Nash, Iverson, Ray Allen), con giocatori come Jabari Parker (i cui commenti ai suoi video su YouTube sono un costante riferimento a un futuro “Carmelo 2.0″), Marcus Smart (che sembra un Mike Conley col fisico di Eric Bledsoe), Aaron Gordon (commento: «Wiggins who?») e Julius Randle (commento: «a faster Josh Smith»). Quindi: ben venga. Sarà uno di quegli anni in cui riuscire a fare trade per ottenere due pick nella Top 5 potrebbe completamente rivalutare la rosa di una squadra come Philadelphia, Orlando o Phoenix, in quest’ottica ci sono i contratti di Türkoğlu, Afflalo e Glen Davis a Orlando, o la recente trade dei Suns con i Wizards (l’expiring di Emeka Okafor per Gortat e Brown). Di queste cinque squadre, l’unica degna di questo nome è Utah, secondo me: Hayward è un fenomeno amato da Doc Rivers e Derrick Favors / Enes Kanter potrebbe diventare un’ottima coppia sotto canestro, se i due miglioreranno come sembra. Menzione d’onore ai Magic e ai loro due piccoli fenomeni, Nikola Vučević e il rookie Victor Oladipo, che rischia di diventare un nuovo Russell Westbrook se impara a giocare da guardia NBA. Il fisico sembra averlo. E ora passo la palla a Mauro.
MAURO BEVACQUA: Ricevo, la metto per terra e… fiiiiiiiiiiiiiiiii: passi in partenza. L’hanno detto, i grigi NBA, quest’anno saranno inflessibili. Si vede.
Oladipo un nuovo Russell Westbrook? Può essere. A me, chissà perché, ricorda di più un giovane Dwyane Wade in uscita da Marquette. E vuole essere un gran complimento, ovviamente: occhio all’ex Hoosier anche per il premio di Rookie dell’Anno. Se il ragazzo di Upper Marlboro (!) – che rispettando le volontà del padre sarebbe diventato un maestro di arti marziali ma che non diventerà mai Usher – è l’attrazione da seguire a Disneyworld, anche in ognuna delle restanti squadre di questo gruppo c’è almeno un giocatore che vale la pena seguire da vicino. Almeno, per me è così – e questa è forse la parte della NBA che mi piace di più. Datemi le sei squadre di “Frank the Tank” e io trovo almeno sei motivi che mi spingerebbero a pagare il biglietto per entrare in un’arena NBA e vederle giocare. I Sixers? I miei dollari li investo per vedere l’ennesimo prodotto di “2-0-6”, il prefisso di Seattle, Tony Wroten. Dovrebbe partire in panca dietro a Michael Carter-Williams, ma il minutaggio dell’intrigante rookie da Syracuse dovrebbe lasciare a Wroten quello spazio che a Memphis non ha mai avuto, chiuso da Mike Conley e dai lunghi postumi di un vecchio infortunio al ginocchio (giocando a football al liceo, prima partita della stagione, “avevo già due intercetti e due touchdown”). Se Wroten ai Grizzlies era chiuso da Conley, figuratevi Eric Bledsoe ai Clippers giocando dietro a Chris Paul: con le redini della squadra in mano a Phoenix, “Mini-LeBron” oggi può farci finalmente vedere chi è – e di sicuro farci divertire. Per Bobcats e Jazz, scusate, ma devio su una patologia personale da cui non riesco a liberarmi: il playmaker made in New York City. Se i ceri del mio altare personale sono ancora accesi sotto l’icona di Kenny Anderson (il mio pochetto di pipì personale lo metto su quel – come vogliamo chiamarlo? – doppio crossover dietro la schiena eseguito davanti a quel culo bianco di Bobby Hurley), è vero che oggi The League non accoglie più come faceva una volta (vedi Rod Strickland, Stephon Marbury, Sebastian Telfair, senza tornare indietro a Bob Cousy) i figli dei Cinque Boroughs in cabina di regia. Sono rimaste però un paio di eccezioni, un maestro della old school come “Mel Mel The Abuser” Jamaal Tinsley a Salt Lake City (lo hanno appena richiamato per via dell’infortunio a Trey Burke e, fidatevi, ancora oggi pochi passano l’arancia come lui in tutta la Lega) e l’ultimo prodotto del Bronx in esilio a Charlotte, Kemba Walker, che non a caso proprio “at the Main Arena” ha firmato l’highlight di una carriera che potrebbe dire cose interessanti. Restano i Celtics, e qui si fa dura, in maniera quasi imbarazzante. Il “18” che hanno fatto apparire su tutti i tabelloni segnapunti della loro palestra il primo giorno di training camp rischia di somigliare più al numero di vittorie stagionali che raccatteranno piuttosto che a quello dell’ennesimo banner da alzare al cielo. Difficile davvero esaltarsi con Kris Humphries, Brandon Bass e Courtney Lee in quintetto, ma poi ti ricordi che prima o dopo torna Rajon Rondo (torna, vero?) e allora il dollaro parte pure qui. E attenzione al progetto Ainge-Stevens: un veterano di mille battaglie e un totale debuttante, entrambi a loro modo perfetti per incarnare sempre e comunque il mito del Celtics Pride. A Boston le soddisfazioni se le toglieranno con Red Sox e Patriots, ma il trifoglio rimane il trifoglio. Sempre.
FRANCESCO PACIFICO: Ricevo, la metto per terra e… mi butto sul divano, mio ufficio per eccellenza seguito dal bagno (come Fonzie) e dal tavolo. Per me — che posso marcare il paragrafo di Mauro come Belinelli marcherà Wade in semifinale di Eastern Conference: poco e male, ma con passione e pensando tutto il tempo “Sto marcando Wade, oddio mi ha bruciato di nuovo” – l’NBA ha una compito fondamentale: farsi guardare la mattina o a ora di pranzo durante i lavori noiosi tipo rispondere alle mail e tradurre. Due schermi, uno per il lavoro, uno per la partita, e passo in rassegna le partite che regalano un minimo di interesse: clicco su tutti i tiri da tre di Curry contro i Bobcats e vado al quarto quarto nella remota possibilità che a quel punto la partita sia ancora aperta e ci siano cinque minuti da vedere. Ieri ho rinnovato il mio Broadband League Pass e per la prima volta lo userò sull’iPad, sperando funzioni decentemente. L’elemento principale di interesse nei Phoenix Suns è la nuova maglia: finalmente eliminato il pallone-sole; un arancione spudorato dall’orlo dei pantaloncini fino al collo; il temibile esperimento anti-virilità della maglietta a maniche corte, che sta bene solo ai normali. Poi, Dragić: è ancora un giocatore da seguire? Non me lo ricordo, perché da fan ignorante i miei ricordi di regular season vengono sempre cancellati dalla post-season, e rendiamoci conto di una cosa: verso giugno si cominciano a considerare “sbagliate” e “rivedibili” cose come le decisioni di Pop nel quarto quarto, i tiri liberi degli Spurs, i tip sotto canestro di Duncan. Ci abituiamo a un livello tale, diventiamo così sofisticati, che poi dover parlare di Bobcats… Qui nel mucchio direi che guarderò ogni mattina come segna Oladipo, per tenermi aggiornato, e darò un’occhiata al Rudi Garcia di Boston, non si sa mai. Appena torna Rondo voglio vedere cosa fa per farsi vendere o altro, secondo la sua agenda personale, che mi sfugge continuamente. Sarà anche divertente guardarlo nei timeout: deve passare dall’aria da bambino che dà ordini ai grandi e risulta comicamente credibile a ragazzo di talento che tratta male tutti a prescindere e risulta autistico, indigesto, perplexing. My cup of tea.
TS: Mauro, secondo te dove finisce Rondo? Potrebbe finire a Toronto per l’expiring di Rudy Gay, ma a Indiana per l’expiring di Granger come lo vedresti?
MB: Per pareggiare il salario di Gay, Boston dovrebbe dar via pure altro, mentre i contratti di Rondo e Granger volendo sembrano fatti apposta per essere scambiati. E pensare a questi Pacers con in regia RR spaventa davvero. Ma se alla fine restasse a Boston?
TS: Se veramente ha la possibilità di andare a vincere un anello facile a Indiana con quei cinque e non ci va per rimanere a Boston, è matto.
GRUPPO 4: LE BOH NON VI CAPISCO
TS: Qui iniziano a farsi interessanti le cose. È un gruppetto composto da squadre molto diverse tra di loro che, per una ragione o per l’altra, si trovano in quella zona grigia tra l’essere quasi forti e quasi terribili. Ci troviamo squadre un tempo grandi e ora in crisi nera (LA), squadre di giovani prospetti interessanti misti a giocatori che forse, se saranno a) in forma, b) maturi e c) messi bene in campo, potrebbero fare molto meglio di quanto pensiamo (Cavs, Portland, Sacramento), squadre che sono perennemente mezze-scrause e che si trovano oggi a due — ma anche una — trade di distanza per finire o in zona playoff o in modalità Tank totale (Raptors, Bucks). Io personalmente avevo messo sia Blazers che Bucks nel gruppo 3, piuttosto che nel gruppo 4, e vorrei capire cosa vi ha spinti a pensare che possano andare così male.
I Blazers hanno Lillard che viene da un’annata splendida e che ha ammesso pubblicamente di “vergognarsi” di come ha giocato in difesa l’anno scorso (che mi sembra il prerequisito fondamentale per un suo ulteriore salto di qualità), hanno Aldridge che è uno dei 5 migliori PF offensivi della Lega, hanno Batum e Wes Matthews che sono da due anni almeno sull’orlo di diventare campioncini, e hanno messo a segno delle trade molto interessanti portandosi nel roster Thomas Robinson (che ha un potenziale immenso se solo inizia a giocare a pallacanestro al posto di fare solo l’alieno), Dorell Wright (che sa tirare da 3 come pochi altri) e, finalmente, un “vero” centro, sotto forma di Robin Lopez (“vero” è tra virgolette perché RL deve iniziare a prendere rimbalzi prima di meritarsi la parola vero senza virgolette). Inoltre il rookie McCollum sembra un prospetto vero, si parla già di lui come possibile Rookie of the Year.
I Bucks, non so, non mi convincono mai, però quest’anno rischiano di diventare i preferiti dell’Internet. LARRY SANDERS!, Henson, il perennemente sottovalutato Ersan Ilyasova, O.J. Mayo, il ragazzino greco-nigeriano dal nome impronunciabile che anche i commentatori ormai chiamano “The Greek Freak”, chissà. Con un Est così debole, secondo me potrebbero finire nei playoff a sorpresa.
Delle altre squadre del gruppo posso solo dire che odio i Lakers, che amo i Cavs di Kyrie, che credo nel ritorno di Bynum, che a Sacramento mi sta mega-simpatico Boogie Cousins e che non me ne frega niente di niente di Toronto.
MB: Come non te ne frega niente di Toronto? Ma scherziamo? Si son mossi alla grande sul mercato (han preso Drake) e in più son l’unica squadra posizionata geograficamente sopra il confine oggi che stiamo per assistere alla presa di potere canadese nel mondo della palla a spicchi! OK, ho esagerato un attimo, però… Drake è quel Drake, che come i Raptors “è partito dal fondo e ora…”. Beh, lui l’ho visto personalmente al top, festeggiare nel privé dello “Story” di South Beach il titolo 2013 degli Heat col suo amicone LeBron; i Raptors invece all’ultimo controllo sono ancora sul fondo delle classifiche NBA e soprattutto non hanno troppa fretta di spostarsi. Andrew Wiggins – l’ha già scritto giustamente Tim – è il rookie più atteso nella NBA dai tempi di LeBron, e stavolta l’hype sembra davvero giustificato. Due cose: 1) ogni GM/dirigente NBA ammette senza problemi che sarebbe già stato il n°1 al Draft lo scorso giugno se fosse stato eleggibile; 2) il ragazzo è canadese (come pure l’ultima prima scelta assoluta, Anthony Bennett, ma trattasi di tutt’altra merce). Ora: come se la regola fosse quella valida per l’Atletico Bilbao (solo baschi in squadra, da noi ripresa in maniera più blanda da Gianni Brera, che teorizzava solo bauscia per Milan e Inter e gente di mare per Sampdoria e Genoa) siccome il ragazzo di casa LeBron è finito nella “sua” Cleveland, gli dei del gioco potrebbero/dovrebbero indirizzare Wiggins a Toronto. Una Toronto che nel frattempo, grazie al fascino del loro nuovo “Ambasciatore Globale” (il “Blueprint” è quello indicato da JAY Z a Brooklyn) ha reso la piazza attraente il giusto ai vari free agent disponibili. Non guasta – no, non guasta – che grazie a questa signora qua, la gita oltre confine è già oggi molto apprezzata dai giocatori di tutta la Lega…
Per quanto riguarda le altre: tu dici di aver messo nel gruppo 3 Bucks e Blazers, io ho fatto lo stesso con questi ultimi e con i Lakers, due squadre che per me non ha senso vedere qui. Portland ha un fenomeno – ma un fenomeno vero – in Lillard, parecchi altri buoni ed è migliorata con gli arrivi del Lopez meno forte (Robin) e di Dorell Wright per la panca. I Lakers saranno quel che saranno ma non scommetto mai volentieri contro una squadra che ha a roster il “Mamba” (figurarsi se accompagnato pur sempre da Steve Nash e Pau Gasol) ed è allenata da un D’Antoni spalle al muro che tutti danno già per spacciato (e forse a ragione). I Bucks? No, quelli maluccio. Non mi faccio ingannare dai playoff dello scorso anno (con record perdente) e la nuova coppia dietro (Knight-Mayo) non vale quella che se n’è andata (Jennings-Ellis).
Restano Cavs e Kings. I primi per me son già oggi da playoff, ovviamente guidati da Uncle Drew, anche se temo si accorgeranno in fretta di aver sbagliato la prima scelta assoluta. I secondi invece accolgono un McLemore che (con Oladipo) a mio avviso è un potenziale candidato al premio di Rookie dell’Anno e poi hanno il leggendario DMC, che magari non RUN ma segna, prende rimbalzi e spiega pallacanestro a piacimento. Certo, quando il cervello è collegato, evento alquanto raro almeno prima dell’avvento di Maestro Shaq, l’illuminata e illuminante guida spirituale del bizzoso centro ex-Kentucky. All’ARCO Arena, dopo aver rischiato di perdere i ragazzi e vederli emigrare a nord verso Seattle, potrebbero quanto meno tornare a divertirsi. Vincere, quello è un altro discorso.
FP: Mauro, però devi capire una cosa: abbiamo passato quanti? Sette anni? a seguire Bargnani in quel palazzetto orrendo, con la mascotte orrenda, con i colori orrendi, con la zampetta a tre artigli al centro, per orgoglio nazionale. Per quanto mi riguarda, anni e anni passati dalla commozione per la notte del draft del Mago all’insofferenza per le mattinate a cercare i suoi jumpshot dalla lunetta nella replica delle partite più soporifere di Toronto. Prima l’angoscia perché Bosh lo oscurava, poi l’antipatia del pubblico, e quelle ore del mattino (e sono felice di non essere uno che si fa le nottate – ci riesco solo per le finali) occupate a cercare i due tiri entrati dell’ultimo quarto di scontri inutili con i Nets. Da quest’anno moratoria Raptors, non li guardo più finché non li allena Nash e ci gioca Wiggins a fine carriera. Ci spostiamo discretamente a New York, ci godiamo la telenovela sugli alti dei Knicks, il gioco della sedia tra Metta, Amar’e e Bargnani, ci risparmiamo la terza maglia mimetica. Detto questo, da tifoso poco colto trovo ingiusta la storyline di LeBron che torna ai Cavs, non penso che Irving abbia bisogno di questo cuore spezzato a tavolino, ma siccome l’anno scorso penso di non averlo visto giocare neanche una volta mi dedicherò a conoscerlo. Io devo dire che ho smesso di seguire i Cavs non tanto perché se n’è andato LeBron ma perché i Cavs hanno deciso di affrontare la perdita cambiando il font e la trionfale scritta di centro campo, adottando uno stile praticamente da college, e io ho accettato la dritta e smesso di seguirli. Dei Lakers mi attira molto la maglia nera o petrolio o viola scurissimo che ho visto su Google Immagini, e voglio capire se Bryant ha finalmente una crisi isterica. Secondo me sì, visto che sembra non poter puntare a superare Kareem né a vincere mai più un titolo, certo non da MVP (cioè tra qualche anno, con un free-agent più forte di lui). Insomma non ho ancora visto il suo lato oscuro perché ogni lato oscuro era nascosto dalla prestanza e dagli obiettivi di squadra o individuali. Questo è il primo anno in cui forse non avrà niente.
TS: Secondo me quest’anno Kobe se ne fotterà di tutto e tirerà 40 volte a partita.
FP: Per questo penso che lo vedremo pazzo. Perché 40 tiri a partita nel nulla sembreranno ridicoli e lui perderà la faccia e lo capirà.
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* Direttore della Milan Review e di Ultimo Uomo
** Direttore della Rivista Ufficiale NBA
*** Scrittore, traduttore e giornalista