Si parla molto spesso di nativi digitali e ancora più spesso si osserva la naturalezza con cui i bambini utilizzano le device di ultima generazione come smartphone e tablet. Non essendo “assuefatti” dalle tecnologie precedenti, coloro che sono ancora in tenera o giovane età non sembrano, infatti, presentare alcun problema nell’adattarsi a quelle che per gli adulti sono interfacce nuove e radicalmente diverse dalle precedenti. Stanno dunque nascendo alcuni progetti per produrre giocattoli in grado di sfruttare la naturale predisposizione tecnologica dei bambini per insegnar loro, attraverso un’esperienza di gioco, i principi della programmazione.
Vikas Gupta era un dirigente di Google ma dopo che l’anno scorsa ha avuto una figlia ha iniziato a chiedersi come avrebbe potuto trasmettergli la propria passione per i computer e i linguaggi di programmazione. Questo l’ha portato a lasciare il proprio lavoro a Google e fondare Play-i insieme a un ex-ingegnere di Apple. L’obiettivo di Play-i è quello di produrre piccoli robot che insegnino i concetti basilari della programmazione informatica attraverso un’esperienza di gioco. Gupta ha lanciato una campagna su Kickstarter che in breve tempo ha guadagnato quasi 800.000$.
Play-i ha finora reso disponibili due robot, Bo e Yana, due giocattoli che possono insegnare a programmare ai bambini attraverso la musica, la danza e l’interazione. Bo, per esempio, può essere programmato per consegnare un fiore o per suonare una melodia allo xilofono. I robot di Play-i sono fatti per familiarizzare i bambini con sequenze astratte di azioni causalmente concatenate e inoltre modificano radicalmente il proprio comportamento con il tempo.
I robot di Play-i sono un bell’esempio di come ripensare la relazione tra infanzia, tecnologia e apprendimento, ma ci sono anche altri progetti che abbracciano una filosofia simile. Sempre su Kickstarter, c’è cloudBoard, una tastiera giocattolo componibile per programmare le azioni sullo schermo attraverso comandi modulari fisici che funzionano come un puzzle componibile in diversi modi per diversi scopi. Infine c’è Kano, un computer basato su Raspberry Pi pensato per essere montato e utilizzato fin dai 6 anni. Lo scopo degli sviluppatori è stato infatti quello di rendere l’esperienza altrettanto facile e divertente di giochi classici come i Lego.
Non bisogna dimenticarsi che dispositivi ludici come i videogiochi hanno per lungo tempo rappresentato una vera e propria avanguardia tecnologica. Negli ultimi decenni l’infanzia è stata, di fatto, un territorio di sperimentazione per le nuove tecnologie. I videogiochi pensati per i bambini sono stati per certi versi il più grande esperimento sociale di interazione in tempo reale con gli schermi. A prescindere dalla tecnologia, la dimensione ludica permette agli esseri umani di apprendere senza fatica poiché, se l’apprendimento in sé può essere impegnativo, il gioco e la narrazione sono pratiche che ne alleviano decisamente la fatica.
Quello tra tecnologia e infanzia è un campo esplorato dal mercato ma che ancora non è stato sfruttato al massimo per quanto riguarda la didattica. Esistono ancora pregiudizi come quando si pensa che un libro è “più formativo” di un videogioco. Eppure entrambe sono esperienze ludico-narrative che sviluppano l’immaginazione. È dunque giunto il momento di considerare i prodotti della tecnologia come un’opportunità educativa a tutti gli effetti e non più soltanto come passatempo ludico. La tecnologia non può solo essere fruita, bisogna imparare a piegare la tecnologia a delle esigenze concrete. Se le generazioni attuali stanno in parte subendo il difficile adattamento a un mondo in continua evoluzione, è loro compito fornire alle nuove generazioni tutti gli strumenti per avere un ruolo effettivo in quello di domani.
La storia di Play-i è tratta da Wired.com